di Paola Zaretti
“Il femminismo, inteso come movimento, è finito ma la politica delle donne deve continuare”.
Sono queste le parole di Alessandra Bocchetti in un’intervista rilasciata a Iaia Caputo e pubblicata nel suo libro intitolato ”Le donne non invecchiano mai.”
Ma che cos’è, che cosa definisce e distingue la “politica delle donne” dalla politica fallimentare dei partiti che conosciamo, quella politica che, abitata e governata da una pulsione autodistruttiva, ha portato il paese allo sfascio sancendo la morte del senso della Politica?
Quali sono i contenuti, quale lo Stile di questa politica al femminile? E’ un tema, questo, che va forse ripreso, riconsiderato.
Si tratta forse, in questa “politica delle donne” di una corsa sfrenata verso le istituzioni, in vista dell’ accaparramento di un posto dentro l’ordine simbolico maschile, dentro “le stanze tutte per sé” volute e create dagli uomini a loro esclusiva misura? Quelle stanze in cui, come ricorda Miriam Mafai, è permesso un solo tavolo da giuoco e un solo giuoco?
Non saranno la fine del movimento, la consapevolezza di questa fine – di cui parla Bocchetti – l’incapacità di elaborarne il lutto, ad aver prodotto e alimentato, in molte donne, una di-sperazione tale, un tale mal-essere da preferire al loro niente d’essere simbolico, – aggravato dal non essere neppure più parte attiva di un movimento oggi inesistente – la tanto detestata purga istituzionale da mandar giù, costi quel che costi, a naso tappato? Certo, ci si può rassegnare a tutto pur di esistere – anche all’alienazione cui si va incontro quando la “conversione al femminile”( Irigaray) è ancora di là da venire.
Ma c’è un altro punto della suddetta intervista che vale la pena di segnalare ed è una domanda che Bocchetti si fa e alla quale risponde nell’intento di soddisfare la richiesta della sua intervistatrice: ”perché quando si arriva al confronto con le istituzioni, con la politica ci si tira indietro?” Perché – risponde – non ci amiamo abbastanza, perché il nostro difetto è di non considerarci mai una priorità. Tuttavia bisogna fare qualcosa, ma per agire è indispensabile ritenersi responsabili; purtroppo le donne continuano a sentirsi vittime, e questo appiattirsi sull’immagine di vittima è davvero il lato oscuro del femminile.
Sarebbe dunque da imputare alla scarso amore che le donne nutrono per se stesse o a una loro incapacità di assumersi il carico di una responsabilità, la ragione principale della loro mancata affezione alla politica, la ragione del loro disertare le “stanze degli uomini?”?
Non è detto. Non potrebbe essere, invece, che la presa di distanza delle donne dalle “stanze degli uomini” sia un segno di amore per se stesse e di difesa della propria Salus (Salvezza) esposta al pericolo di umiliazioni, frustrazioni, strumentalizzazioni, svalutazioni, misconoscimenti e depotenziamento di desiderio? Le donne hanno sempre dimostrato di saper assumersi, fin troppo bene, non solo le loro responsabilità ma anche quelle degli altri – quando decidono di farlo per qualcosa che sta loro a cuore e che fortemente desiderano. Credo che le ragioni della loro disaffezione alla politica siano altre, più radicate e profonde e che una di queste – la più importante – vada individuata non tanto, come sostiene Bocchetti, in “un desiderio altamente imperfetto” suscettibile di correzione in vista di una sua perfettibilità ma nell’assenza di un desiderio imposto dalla loro totale estraneità ai luoghi del maschile in quanto luoghi della loro alienazione. Quanto alla tendenza al vittimismo – innegabile – bisognerebbe meglio indagare il nesso stabilito fra tale tendenza e l’incapacità di assunzione di responsabilità.
Ma c’è un altro passaggio dell’intervista che risulta interessante quando Bocchetti nel descrivere l’evoluzione del movimento femminista e il suo silenzio politico:
…Da un certo momento in poi le donne politicamente sono rimaste in silenzio: da una parte sono andate a sbattere contro il muro dei partiti di sinistra, che hanno simulato un interesse nei loro confronti, hanno finto di credere all’idea che una società formata da uomini e donne dovesse essere governata da entrambi, ma in realtà non avevano nessuna intenzione di farlo. Dall’altra, su un certo femminismo, al quale sento di appartenere, che ha sempre pensato che la politica fosse importantissima…ha prevalso un altro femminismo, quello che ha sposato “l’aristocrazia del nulla”; e cioè l’idea che le donne facessero benissimo a stare alla larga dalla politica istituzionale. Grande intelligenza, straordinarie speculazioni teoriche, ma il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti: un paese che ha perso l’anima, governato da soli uomini, in cui le donne sono scomparse.
Il riferimento critico alle rappresentanti dell’ “aristocrazia del nulla” è sin troppo chiaro nella sua inclemenza nell’addossare all’intelligenza e alle straordinarie speculazioni teoriche di alcune donne la responsabilità della perdita d’anima di un paese e di ciò che sta oggi accadendo.
Mi sembra, francamente, troppo e credo che Woolf, vista la sua presa di distanza dal “corteo degli uomini”, sarebbe d’accordo.
Teoria e prassi vanno insieme ma una cosa è certa: se una teoria senza pratica resta una teoria morta, una pratica senza teoria, lungi dal portare a un’’Azione Politica efficace, porta a degli “agiti”, sintomatici che, lavorando nel “sottosuolo”, incentivano la frammentazione del Corpo, del Pensiero e della Politica delle donne di cui lo scenario attuale offre una ricca e quanto mai triste testimonianza…
Paola Zaretti
Psicanalista e filosofa della differenza. Fondatrice di Oikos-bios Centro filosofico di psicanalisi di genere antiviolenza
5 commenti
Dichiarare la fine del femminismo così come lo abbiamo conosciuto e, soprattutto, vissuto non è come dichiarare la fine del patriarcato anche se verrebbe di fare un raffronto proprio per ciò che attualmente definiamo politica delle donne e, soprattutto, in considerazione delle note parole di Julia Kristeva sulla fine di una civiltà e su ciò che questa fine porterebbe con sé . Un passo più in là di tale definizione troviamo, infatti, quella di “politiche di genere” ovvero la formula con la quale si preferisce indicare la serie di attività previste in seno alle politiche istituzionali in favore delle donne. Manca quasi sempre del tutto, in tali “politiche”, la considerazione delle donne come soggetti assegnando loro lo statuto di destinatarie di attività unilaterali da parte della politica degli uomini – non importa se ad essere attive in questa politica sono anche donne – .
Manca cioè una vera interlocuzione con le donne, singole o associate in gruppi. Al più si destinano alle loro attività sparuti finanziamenti accordati con poca consapevolezza delle riforme costituzionali in base alle quali i cittadini diventano parte attiva della pubblica amministrazione se ne perseguono i fini che sono quelli del pubblico interesse. Il vero e concreto pubblico interesse sarebbe quello che si costituisce in base a due soggettività con istanze, bisogni e desideri distinti e specifici che, nel caso delle donne e degli uomini, dovrebbero essere tenuti in conto mediante un conflitto inteso come processi di rappresentazione della differenza sessuale. Si tratta di un conflitto a mio avviso, in sé non componibile mediante i metodi tradizionali della politica maschile in democrazia. Ma si fa di più e di peggio, come noto: si cancella il soggetto femminile relegando il conflitto fra i sessi a qualcosa che in realtà non ha luogo e non ha luogo nella politica.
Paola Zaretti ci avverte che la responsabilità del mancato conflitto fra i sessi sulla scena pubblica non si mostra più soltanto da parte maschile ma la si può attribuire all’inefficacia politica delle donne impegnate a dare spettacolo della propria frammentazione e, dunque, se ho ben capito, di fatto concordando con l’analisi di Alessandra Bocchetti circa l’impossibilità di definire l’attuale attivismo femminile un movimento. Conclusione alla quale aderisco, così come sono d’accordo nel rilevare che una delle ragioni, se non la principale, di questo stato di cose è da ricercare nella incapacità o nella non volontà diffusa di fare ricorso a quadri teorici sufficienti a sostenere l’idea (e le pratiche politiche che ne conseguono) della soggettività femminile. Teorie che esistono e sono frutto di un lavoro che si vorrebbe nuovamente cancellare connotandolo di ineffettualità politica proprio da parte di una delle teoriche maggiori del panorama femminista italiano. Il che mi stupisce come mi stupì al momento in cui per la prima volta venne reso pubblico il pensiero di Bocchetti sulla situazione attuale del femminismo. Non comprendo e non approvo a mia volta l’idea secondo cui l’incapacità del neofemminismo di fare riferimento alle elaborazioni rese disponibili dalle Filosofe e dalle Politiche della Differenza, debba essere attribuita ad un “nulla” presunto. La produzione politica e di pensiero femminile consiste invece in un “moltissimo” che purtroppo resta inutilizzato dall’attivismo femminile corrente. Attivismo al quale personalmente non partecipo e non intendo prendere parte se non facendo ciò che è nelle mie possibilità per mantenere presente e attivo l’immenso bagaglio di elaborazioni che sono solo da attualizzare per fecondare la politica delle donne fino a rendere questa formula piena di quel significato del quale altrimenti resta priva (e che infatti scade nella sua versione, quella sì, ineffettuale, di “politiche di genere”) . Per altro si è arrivati a considerare sinonimi “sesso”e “genere” trascurando che nel primo caso parliamo di dato ontologico e nel secondo di costruzione sociale delle identità.
Chiedo scusa ma nell’invio del commento è saltato un passaggio. riformulo pertanto l’ultima frase.
Per altro, nel corso di diversi tentativi di cancellazione della differenza sessuale persino dal linguaggio e particolarmente in quello in uso nelle politiche pubbliche, si è arrivati a considerare sinonimi “sesso”e “genere” trascurando che nel primo caso parliamo di dato ontologico e nel secondo di costruzione sociale delle identità.
Credo che bisognerebbe affrontare anche il problema dei tempi, inteso come processo necessario all’elaborazione e all’azione, perché a differenza degli uomini, le donne sono fortemente penalizzate in questo senso e purtroppo non se ne parla mai come si dovrebbe. Occorre saper considerare e differenziare le modalità maschili da quelle femminili nei contesti il cui impegno istituzionale e decisionale diventa importante, perché quando parliamo d’incapacità di assumersi il carico di una responsabilità politica o istituzionale da parte di una donna, dobbiamo fare riferimento anche ai tempi e ai modi che da sempre sono dettati dagli uomini i quali possono garantirsi tutto il tempo e lo spazio necessari per dirigere ogni parte di loro stessi allo scopo. Noi donne siamo fortemente penalizzate e se vogliamo garantirci un ruolo istituzionale importante, dobbiamo operare una governance di noi stesse molto rigida e severa perché tutto il resto (famiglia, genitori, figli… ma anche amori e a attività che rendono spesso la vita più gradevole) devono diventare impegni e/o attività di secondaria importanza e questo per molte di noi non è possibile e/o tollerabile. Se i tempi, ripeto, che attualmente sono gestiti da una mentalità maschile fossero ripensati dalle donne e non solo per le donne, secondo me la musica cambierebbe, il mondo continuerebbe a girare permettendo un più ampio respiro, affinché tutti quei tempi necessari a produrre quei cambiamenti volti a migliorare la qualità della vita delle persone, siano messi a fuoco da occhi in grado di osservare il valore dell’esistenza umana. Educhiamo(ci) alla conciliazione.
penso che in questo contesto vada e sopratutto incluso il discorso dell’ oikonomia e la riformulazione e ripensamento dell lavor come lo ha fatto frigga haug professoressa die economia e di politica a berlino nella sua visione e proposizione elaborata e pragmatica pensata anche come un bussola chiamata quattro in uno. che consiste nella radicale riduzione del’l lavoro per creare introiti (ad arrivare a quattro ore giornaliere), lovoro di famiglia, lovoro nella communità e molto importante, perche sempre dimenticato o non ritenuto come lavoro, lo sviluppo delle proprie facoltà, interessi e portazioni. il connettere di questi quattro e che fa la differenza…
realizzando con un po di distacco geografico, che richezza di pensiero, esperienze di donne klug (uso l’espressione tedescha) che ha questa italia strapazzata, e che queste hanno ed avranno molto da dire.
sono fiduciosa ed impressionata. non ce da perdersi l’animo, troppa e la richezza di questo tipo di donna forte e klug…rimane tanto da fare ma fatelo in primo luogo per voi.
come lo ha espresso in un intervista mary daly: ‘whether men are somewhere out on the periphery or not. I don’t have this goal of: “Oh, then we can all get together again!” That doesn’t seem to be a very promising future. So why would I think about it? I think it’s pretty evident that men are not central to my thought.’
che non vuol dir che per chi vuole e deve non ci siano mariti, compagni, amanti, figli, colleghi…..
le faccoltà le avete…..con questo non voglio assolutamente dire che sta alle donne di rimmediare tutte gli danni fatti da istitutzioni e governi fallosi.
emily-patrice da zurigo
Come ho ripetuto molte volte, finché il mondo femminile continuerà a essere circoscritto alle percentuali delle famigerate “quote rosa” non potrà esistere alcun confronto sociale tra i sessi. Impossibile dialogare con chi insiste a considerare le donne solo come mero ornamento estetico, “belle” da una parte e “brutte dall’altra.
Lo spirito del femminismo ancestrale, quello vero, viscerale, consapevole e sofferto non esiste più, cancellato dalla cultura dell’effimero.
Tutto ciò è estremamente deprimente, sebbene non imprevedibile. Lo stupore maggiore tuttavia deriva dall’apatia generale che sembra pervadere la quotidianità. Ripeto: possibile che oggi resista soltanto lo spirito di rassegnazione? Le parole non bastano, si sa!