Alla festa dell’ A.n.p.i. di Besana Brianza ho avuto il piacere di conoscere Lidia Menapace, 86 anni, partigiana della Resistenza, una delle voci più autorevoli della politica, del femminismo e del movimento pacifista del nostro paese.
Mi ha concesso un’ intervista di cui vi riporto le sue riflessioni sulle scelte delle donne.
-Com’ erano i rapporti uomo donna all’interno della Resistenza?
Certamente la resistenza non era fuori dal suo tempo e anche se in modo molto più nobile che in altri luoghi è stata attraversata da una cultura che identificava le donne in due stereotipi, la madre eroica o la compagna di liberi costumi. La resistenza ha certamente cambiato le relazioni tra uomo e donna, ma sono rari quelli che ne hanno scritto prendendo spunto da questo. Un comandante del Lago maggiore in suo libro di memorie ha detto che “dobbiamo essere particolarmente riconoscenti alle donne perché venendo in montagna a combattere mettevano a rischio non solo la loro vita ma anche la loro reputazione”.
-Come viveva lei questa discriminazione?
Ricordo un episodio personale. Venivo giù dalla Val D’Ossola in compagnia di un comandante partigiano; giunti al confine con la Repubblica sociale, nel momento di accomiatarsi mi chiede? “ Ma cosa dice il tuo papà che sei sempre in giro in bicicletta giorno e notte, tu che sembri una brava ragazza?”. Gli ho risposto “Mio papà è in campo di concentramento e credo che basti anche per una brava ragazza”. Me ne sono andata furibonda, pestando sui pedali. Era ben intenzionato, si preoccupava della mia incolumità, ma con me non avrebbe fatto discorsi politici. C’era un’ arretratezza culturale dovuta probabilmente alla presenza della Chiesa cattolica. Sul messaggio di fede non ho niente da dire, ma c’è ancora oggi un predominio politico della Chiesa a cui obbediscono anche le forze di sinistra ed è insopportabile. Questa mancanza di laicità fa sì che ancora oggi le scelte delle donne non siano rispettate, anche a sinistra.
-Nel rapporto uomo-donna vede un peggioramento rispetto ad allora?
Ultimamente sì; quando la politica tende a destra questa contraddizione si acuisce perchè il patriarcato rialza la testa. Cominciando dalle piccole cose.
Il censimento dice che le donne sono più degli uomini in questo paese ma nelle amministrative del voto delle donne non si è parlato, delle donne che sono state elette non si parla. Si parla in forma neutra di elettori, di precari, di operai, ma non si dice cosa sono e dove stanno le donne, c’è una reticenza storica per cui la donna sembra quasi un soggetto clandestino. E’ un segno di arretratezza pericoloso della nostra società perché se passa la politica del governo che tutto sommato si preferisce che le donne stiano a casa così si risparmia sui servizi sociali, questo si traduce in un freno alle lotte: una casalinga che ha una famiglia dove lavora soltanto il marito per forza gli dirà di stare attento a non farsi licenziare. Cercherà di mantenere l’ordine così com’é. E’ già successo. Questa cosa non può essere lasciata passare come se fosse una cosa da poco perché non lo è affatto.Perchè se tra le donne si diffonde la propensione a stare zitte e sopportare diventeranno un freno per le lotte e un servizio sociale omicomprensivo gratuito.
Lidia è entrata nella Resistenza a 19 anni, per fare la sua parte, con una presa di coscienza politica che ha coinvolto migliaia di donne d’ ogni parte d’Italia (35 mila le combattenti, 70 mila nei Gruppi di difesa).
Il suo sguardo sulla Storia è critico e non si risparmia nel ricordare come credeva di cambiare un mondo che tanto cambiato non è.
Racconta con piglio e melanconia La Storia di allora e di adesso.
In questi giorni sarà a Marzabotto, per la festa nazionale dell’ A.n.p.i. NON VE LA PERDETE!