Mossa pubblicitaria o reale apertura?
Molto probabilmente la bionda cavallerizza di nazionalità saudita Dalma Mahlas non parteciperà ai Giochi Olimpici di Londra. Il suo cavallo avrebbe infatti subito un infortunio e non sarebbe in grado di gareggiare. O almeno, questa è la versione ufficiale di una vicenda che apre non pochi interrogativi.
Soltanto ieri infatti la BBC aveva confermato la presenza dell’atleta alla competizione internazionale. La notizia, avvalorata dall’Ambasciata araba a Roma, aveva comprensibilmente suscitato un certo scalpore poiché si sarebbe davvero trattato di un evento senza precedenti. Finora nessuna atleta del Golfo aveva mai concorso a gare di così ampio rilievo.
Notoriamente l’ortodossia esasperata del regime wahabita vieta qualunque concessione alla popolazione femminile del suo territorio, che risulta privata persino dei diritti più elementari, come quello di voto o di guida.
Inoltre, dal 2009 un’ordinanza governativa ha di fatto portato alla chiusura di tutte le palestre private femminili e ha messo al bando la pratica sportiva delle donne. La ragione di tanta intransigenza si evince facilmente dalle parole di un alto esponente religioso del paese: “Lo sport accessibile a tutti, uomini e donne, conduce inevitabilmente all’immoralità”.
In sostanza, perciò, risulta chiaro che in Arabia Saudita un’atleta non ha vita facile; di fatto, non le viene offerta alcuna opportunità per allenarsi e a dovere, specialmente in vista di un appuntamento sportivo così importante quale quello olimpico.
Tutto dunque lascerebbe supporre a un grosso inganno. Forse il coinvolgimento femminile ai Giochi di Londra era già stato escluso in partenza dal governo di re Abdullah II – nonostante li proclami iniziali – e allora il caso Dalma Mahlas sarebbe solo un bluff studiato abilmente a tavolino con scopi esclusivamente pubblicitari.
Gli effetti della recente primavera araba in paesi quali Egitto, Tunisia, Libia, Algeria, Yemen, che hanno trovato consolidamento nella caduta delle varie forme di tirannia, non devono infatti aver lasciato indifferenti i vertici del regime saudita (sempre più cauto e diffidente), il quale, dal canto suo, ha ritenuto perciò opportuno circondarsi di un’aura tanto effimera quanto ingannevole di apparente cambiamento interno e di maggiore apertura alla modernizzazione.
Facile, allora, per i soloni del potere, smontare le accuse avanzate dalle istituzioni internazionali in merito all’intransigenza religiosa e alla politica sessista dei wahabiti: basta far capire al mondo che l’Arabia Saudita non vieta affatto alle donne di partecipare alle Olimpiadi. Sarebbe anzi stata fiera di inviare a Londra la sua atleta più meritevole, come del resto aveva preannunciato. Tuttavia, ciò non sarà possibile per via di un banale inconveniente tecnico. Come dire: nulla di grave, signori, avremo altre occasioni da sfruttare.
Peccato però che a fungere da specchietto per le allodole del regime arabo in questo caso non sia stata scelta un’anonima agonista, bensì la figlia di un multimiliardario, una ragazza nata negli Stati Uniti e cresciuta a Londra.:)