di Rita Cugola
Sotto la spinta delle pressioni internazionali, il governo Saudita accetta di revocare, per le sportive, il divieto di partecipazione alle Olimpiadi che si apriranno a Londra il prossimo 27 luglio.
Fonti dell’ambasciata araba a Roma hanno infatto resa nota l’intenzione del Comitato Olimpico Saudita di selezionare le atlete migliori, destinate a difendere i colori della propria bandiera al fianco dei “colleghi” maschi.
Se tutto procederà come previsto dunque – e non vi saranno ulteriori ripensamenti – assisteremo a una svolta epocale nella storia non solo dello sport ma anche della sofferta emancipazione femminile in un paese ancora caratterizzato da una mentalità fortemente imperniata dal conservatorismo wahabita associato al proibizionismo più acceso, che risponde a esigenze di moralità del tutto anacronistiche.
In Arabia Saudita sono davvero poche le atlete, siano esse professioniste o dilettanti; l’intransigenza dei religiosi al potere, infatti, contrasta aspramente qualsiasi velleità sportiva delle donne alle quali, proprio in quanto tali, viene del resto proibito di gareggiare in strutture aperte a a sguardi eterogenei.
Finora, comunque, sembra che sia stata individuata una sola candidata a incarnare la competitività femminile saudita a Londra. E’ la ventenne Dalma Rushdi Mahlas, campionessa di “salto allo stadio” (una specilità ippica), già vincitrice della medaglia di bronzo alle Olimpiadi della Gioventù di Singapore nel 2010. Solo pochi mesi fa, nel corso di una conferenza sull’integrazione delle donne nell’universo sportivo, Dalma – priva del tradizionale velo imposto alle donne dal regime – aveva espresso la propria speranza di riuscire, un giorno, a far parte della prossima squadra olimpica.
“Farò di tutto per dimostrare di non essere inferiore agli uomini“, erano state le sue parole, “e credo che alle atlete, in ogni parte del mondo, debbano essere offerte le medesime opportunità“.
Se da un lato è vero che agli imminenti Giochi non potremo ancora assistere a performance femminili nell’ambito dell’atletica leggera, del nuoto o delle altre specialità implicanti l’abbandono di un abbigliamento penalizzante sotto il profilo motorio (le donne arabe sottostanno pur sempre all’obbligo di non scoprire il proprio corpo in pubblico), resta comunque il fatto che per la prima volta una rappresentanza femminile del Regno di Abdullah II farà finalmente il suo ingresso trionfale (è il caso di dirlo) nel mondo dello sport internazionale.
E’ una piccola ma apprezzabile conquista, nel tortuso percorso verso l’auspicata parità tra i sessi