di Maria Cristina Famiglietti
Donne e democrazia: dalla Parigi di fine ‘700 alle dimissioni della Minetti
La democrazia ha come principio fondamentale la libertà dell’individuo e la salvaguardia della sua espressione all’interno del contesto sociale d’appartenenza. Libertà di pensiero, azione, credo politico e religioso. Queste sono le basi dell’uguaglianza tra individui.
Poste le premesse della moderna democrazia, dopo lunghi secoli di stand-by, con un grande lavoro di consapevolezza storica, durato all’incirca duecento anni, in questa calda estate 2012 torniamo a parlare di belle parole: donne, uguaglianza, democrazia e libertà.
Animi ribelli, alla fine di un Settecento illuminato quanto tormentato, iniziarono a scaldare le proprie forche e le proprie penne in una Parigi affamata e piena di topi, e a porre le basi del dissenso verso rigide regole, dittature sociali e di pensiero, monarchi stantie e pachidermiche forme di potere abusante.
I signori uomini, che andavano a combattere e che però nel contempo trovavano anche il tempo di scrivere i libri di storia, si accorsero che per parlare di uguaglianza non si poteva solo guardare al proprio fratello vicino, ma che qualche metro più in là, in rispettosa ed angelica retrovia, c’erano anche le spose, le madri, le sorelle e le figlie. Individui, di sesso femminile. Le cittadine parigine, fino ad allora relegate ad illuminare (verbo che sarà usato da molte in senso veramente umanistico) il focolare domestico, diventano protagoniste della scena pubblica, scendono in piazza e cominciano a parlare.
E’ qui che per i signori uomini nasce il paradosso della democrazia: nel vedere la donna una possibile portatrice di idee, una pari, ecco l’uomo inizia a sentirsi mancare la terra sotto i piedi. Della serie ”tutti gli uomini sono uguali (principio che con quello di libertà e fraternità faranno grande l’impresa del 1789), tranne le donne”.
E’ proprio su questo palcoscenico denso di avvenimenti cruciali per la storia dell’Europa moderna che muove i suoi passi una donna importante: Olympe de Gouges, scrittrice di commedie teatrali e libelli politici, parigina e paladina dei diritti delle donne e dei deboli. Illuminata frequentatrice di salotti culturali, così come di ambienti abolizionisti, durante la Rivoluzione scrive molteplici documenti di protesta nei quali non si nasconde dietro alcuna retorica, ma anzi parla apertamente di uguaglianza sociale, riforme economiche a favore delle donne del popolo. Frequenta la ”Società degli amici Negri”, i clubs parigini, e ha modo di conoscere, tra le tante signore della Rivoluzione, anche Madame Helvètius, moglie del più noto filosofo Adrièn. In questi salotti, in cui tra una tazza di te e l’altra si discuteva del futuro del popolo, il ruolo della donna fu grandemente elogiato; con l’appoggio del marchese di Condorcet e della moglie Sophie, Olympe abbraccia il movimento dei Girotondi. Siamo nel 1792.
Difendendo una monarchia costituzionale, portando avanti ragionevoli argomentazioni di crescita sociale e di democrazia, il 16 dicembre dello stesso anno 1792 chiede di assistere alla difesa del re Luigi XVI davanti alla Convenzione, sostenendo che le donne dovevano avere il diritto e la stessa responsabilità giuridica degli uomini.
In ogni suo scritto non si stanca mai di ribadire che le donne devono essere ammesse ai dibattiti politici, poiché «se una donna ha il diritto di salire sul patibolo, ella avrà anche il diritto di salire sulla tribuna».
Olympe spende la sua esistenza a difendere le donne; ottiene che le cittadine di Parigi vengano ammesse alla cerimonia nazionale ”Festa della legge” il 3 giugno 1792 e poi alla commemorazione della presa della Bastiglia il 14 luglio dello stesso anno.
Nel 1789, rivolgendosi alla discussa e ancor più capricciosa regina Maria Antonietta, Olympe scrive la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, documento moderno e contestatore, nel quale afferma l’uguaglianza politica e sociale tra i due sessi. Per anni spende il suo tempo per portare avanti il dibattito sui diritti delle donne, cercando l’emancipazione per sé e per le sue contemporanee, pensando alle generazioni future. Si batte per il diritto al divorzio e per il riconoscimento di paternità dei bambini nati fuori dal matrimonio. Chiede l’istituzione di alloggi popolari per i poveri e tanti mendicanti che affollavano le strade di Parigi, all’ombra di quelle ghigliottine affilate che fecero di quegli anni una leggenda.
Il 2 giugno 1793, sospettando che Robespierre avrebbe mutato in dittatura quei principi tanto cari all’ideologia libertaria, scrive una lettera piena d’indignazione nella quale, con grande coraggio, prende posizione contro gli abusi alla democrazia. Ovviamente subito censurata, fa seguito con altri scritti non meno potenti; il 6 agosto viene arrestata e rinchiusa nella prigione dell’abbazia di Saint-Germain-des Près. Il 2 novembre viene condannata a morte con ‘regolare’ sentenza del tribunale, dopo che lei stessa aveva chiesto un processo per difendersi dalle accuse che le erano state mosse ingiustamente. Salì sul patibolo con grande coraggio. Il signor procuratore del Comune di Parigi, Pierre- Gaspard Chaumette, ebbe il coraggio di ridere di lei e non mancò di dichiarare pubblicamente che Olympe si era meritata la condanna a morte poiché « aveva dimenticato le virtù che convenivano al sue sesso». Quando si dice democrazia!
Parigi, luglio 2012. Cambiano i secoli, ma cambiano anche le donne. E cambia purtroppo anche l’immagine di sé che cogliono dare al mondo. Mentre gli uomini restano sempre uguali, gestori del potere e garanti di un diritto discutibile. Nicole Minetti, la più discutibile e abile tra le cortigiane di Re Silvio (non mi dilungo sulla biografia di questa signorina, poiché le sue famose gesta sono tristemente note ai più) atterra a sorpresa nella Ville Lumière per sfuggire dalle ingiuste- perdonate al sottile ironia di questa prosa stanca- accuse della cattiva Madame Boccassini che la vorrebbe presente al processo Rubygate. Scappata dal suo paese, l’ex igienista dentale divenuta per caso, o per abilità ma questo lo decideranno i giudici, Consigliera (e mi raccomando poniamo l’accento come molte femministe vogliono sulla ‘A’ maiuscola, a rimarcare la parità di sesso e di potere, quindi diciamo consigliera) della Regione Lombardia, con tanto di favoloso stipendio e bonus presenza, scappata dal suo paese, dicevo, per sfuggire ad infamanti accuse e a giuste conclusioni giudiziarie, ora subisce anche la disillusione del suo fugace rapporto col potente re S. che le pose in capo la corona di favorita, l’uomo che dalle stalle la portò alle stelle ora le chiede le dimissioni dal Consiglio regionale e forse anche dalle stesse stalle di corte…
Duecento anni dopo la storia di Olympe, quella di Nicole smentisce ogni previsione: le donne vendono se stesse nella pubblica piazza, in quella stessa piazza dove prima si scendeva a reclamare diritti e parità, ora si scende a vendere il proprio corpo come nel più becero mercato delle vacche, attendendo il migliore offerente.
Una cosa è certa: se emancipazione c’è stata, questa non è passata attraverso il vaglio della virtù, ha sfidato il tempo infischiandosene delle lotte e dell’etica che resta ancora per molte una grande sconosciuta!
Maria Cristina Famiglietti, esperta di Comunicazione, Letteratura e di Linguaggi multimediali, ha insegnato Letteratura contemporanea e Linguistica all’Università di Pisa. Attualmente si occupa di tematiche inerenti la Sociologia e la Chiesa Cattolica, con particolare approfondimento riguardo la comunicazione e la dottrina sociale della chiesa, nonché la sociologia e la filosofia e la storia dell’arte. Autrice di numerosi articoli su autori del Novecento, sull’arte sacra, sull’espansione multimediale dei linguaggi dell’arte e della letteratura. Ideatrice di Tra le Righe. Festival Letterario del Frignano, importante rassegna letteraria da lei interamente creata e condotta nel 2010 in provincia di Modena, iniziativa che ha dato largo spazio alla diffusione del libro e della cultura su tutto il territorio regionale e nazionale.
4 commenti
Profonde considerazioni…Mando questo saggio ad alcune giovani amiche.
Ma… non tutti gli uomini sono uguali. E non tutte le donne. E da sempre ci sono state donne “cortigiane” al servizio di uomini potenti, così come d’altra parte ci sono uomini “cortigiani”. Il modello di potere è lo stesso.
Le donne alla fine sono come gli uomini; e ci sono quelli e quelle che puntano a determinati valori e altri e altre che puntano ad altri.
Dal mio punto di vista, fino a che il modello femminile di potere rimane quello maschile, lontano non si va.
Penso che siano le donne a doversi creare un posto diverso, partendo da loro stesse. E quando ci saranno abbastanza donne che lo fanno, potranno essere lievito per uomini e donne nuovi…. 🙂
Grazie per il ricordo della prima teorica politica moderna dei dei diritti delle donne, e delle sue coraggiose scelte di vita, ma non concordo sulla prospettiva: emancipazione senza virtù, che vuol dire? Alcune donne, oggi come ieri, si adeguano ai vecchi e nuovi dettati di tanta cultura maschiocentrica dominante e, appunto, non trovano, come non trovavano, di meglio, che vendere se stesse, intendendo con ciò anche il proprio corpo etc. etc. Perché farne il risultato dell’”emancipazione”? Semmai è una forma, aggiornata, di adeguamento ad uno dei due ruoli che da sempre le culture maschili hanno consentito alle donne. L’emancipazione, viceversa, quella delle nostre antenate che tra otto e novecento chiedevano la parità giuridica, come quella di Olympe, un secolo prima,comportava il rifiuto di questi (due) ruoli obbligati.
Cara MFC, ha ragione Anna Maria: non tutti gli uomini sono uguali, o meglio non corrispondono al tuo stereotipo. Cosi` come non tutte le donne (e vorrei dire “Per Fortuna”) non sono del modello Minetti, che rappresenta certo il classico esempio di degrado morale a cui un individuo uomo o donna che sia sottopone se stesso. D’altra parte le signore che pensano di elevarsi socialmente dandosi modelli maschili sbagliano profondamente: scimmiottano i peggiori comportamenti maschili, sviliscono la loro natura e il privilegio di esser intimamente diverse dai maschi. Aggiungo che ogni donna ha dentro se` la consapevolezza della propria dignita` e dei propri pregi femminili cosi` come le vengon trasmessi in primis dalla madre, quindi le donne devono elevarsi da se` senza chieder nulla al genere maschile pur preponderante (ma non ovunque) nella societa`. Concludo con un auspicio: dopo Napolitano speriamo finalmente di avere un Presidente della Repubblica Donna.