di Rita Cugola
Alla fine le donne hanno vinto. Nonostante il parere contrario degli integralisti religiosi (lo sport potrebbe condurre le donne verso l’immoralità, dicono) e l’assenza di sezioni femminili all’interno delle 29 federazioni sportive presenti a Londra, l’Arabia Saudita ha infatti presentato le sue due prime atlete della storia.
Sono la velocista Sarah Attar, specialista degli 800 metri e la judoka Wodjan Ali Seraj Abdulrahim Shahrkhani (nella foto), iscritta nella categoria dei 78 kg. All’appello è mancata l’amazzone ostacolista Dalma Mahals (vittima di un infortunio che le ha impedito di qualificarsi per la selezione), inizialmente indicata come superfavorita tra le candidate alla partecipazione olimpica.
Questa volta, dunque, ciascuna delle 203 nazioni presenti ai Giochi londinesi ha schierato almeno un’atleta (nell’edizione del 1908 le donne rappresentarono l’uno per cento dei partecipanti).
Le complicazioni , come temuto, non si sono certo fatte attendere.
Solo a qualche ora dalla conclusione della cerimonia inaugurale di apertura, la Federazione Internazionale di judo ha precisato che, in base al regolamento sportivo (ma anche per ragioni molto più pratiche, come la libertà di movimento e l’ampiezza della visuale) nel corso degli incontri previsti la Shahrkhani non avrebbe potuto indossare l’hijab, il tradizionale velo che lascia scoperti solo gli occhi.
Immediata la reazione del Principe Nawaf ben Faysal, presidente del comitato olimpico saudita. Ricordando di non aver affatto ostacolato la decisione del Regno Saudita di includere una rappresentanza femminile nell’elenco dei partecipanti alle Olimpiadi ha insistito invano sulla assoluta necessità che le atlete gareggiassero abbigliate conformemente al precetto islamico.
Non è andata così, lo abbiamo visto. E’ stata infatti adottata una soluzione di compromesso. Una cuffia appositamente creata per l’occasione ha permesso infatti alla judoka saudita di nascondere i capelli al pubblico sguardo (in ottemperanza ai dettami religiosi vigenti in Arabia) pur nel rispetto dell’ordinanza federativa. Stessa sorte per Sarah Attar ( nella foto), che ha corso con una sorta di cappellino grigio.
Le due hanno ottenuto risultati piuttosto deludenti. Il fatto stesso di aver avuto modo di scendere in pista davanti al mondo intero e di gareggiare al fianco dei migliori atleti del pianeta, – nel tentativo di dimenticare (e di far dimenticare a tutti), almeno per un attimo, la lunga vicenda, mai conclusa, di discriminazione non solo socio-politica ma anche sportiva che le attende al loro rientro in patria – ha però costituito una vittoria davvero trionfale. Da annotare negli annali di storia universale dell’umanità.