di Rita Cugola
Un vero e proprio attentato alla parità di genere. Un bieco tentativo di “soppressione del principio di uguaglianza dei sessi e di rifiuto dei diritti femminili”.
Con la recente approvazione di un nuovo articolo della Costituzione, in cui viene specificato che “lo Stato assicura la protezione dei diritti della donna, sotto il principio della complementarità con l’uomo in seno alla famiglia, e in qualità di associata all’uomo nello sviluppo della Patria”, l’Assemblea costituente tunisina ha inferto un colpo durissimo alla dignità e al diritto di cittadinanza femminili. Amnesty International e l’Associazione tunisina delle donne democratiche ne sono certi.
Alle numerose lotte condotte nell’ambito della cosiddetta primavera araba in Tunisia (esplose il 17 dicembre 2010 a Sidi Bouzid dal gesto di autoimmolazione del giovane ambulante Mohammed Bouazizi, e conclusasi il 14 gennaio 2011 con la caduta del regime di Ben Ali, al potere da 23 anni) le donne hanno avuto un ruolo di primo piano. Hanno combattuto, resistito, supportato esattamente al pari degli uomini. Eppure i risultati ottenuti, che facevano ben sperare in termini di evoluzione democratica, rischiano ora di far precipitare la Tunisia in un passato da dimenticare, lontano anni luce dalla sua dimensione reale.
Dodici parlamentari hanno espresso un parere favorevole all’art. 27 (quello ora incriminato) e tra di essi alcune donne, le quali, a ben vedere, è come se avessero votato contro se stesse.
E’ interessante notare che la questione della parità tra i sessi era tra l’altro già stata oggetto di esame e di approvazione unanime proprio da parte di quella stessa commissione che sta adesso procedendo a riscrivere la Costituzione, tanto che la nuova versione dell’art. 22 recita: “i cittadini sono uguali per quanto concerne diritti e libertà davanti alla legge senza discriminazione di sorta”.
In quest’ottica, quindi, l”art. 27 parrebbe violare ogni procedura democratica in base alla quale un argomento approvato diventa incontestabile.
Selma Mabrouk, deputata della coalizione Ettakatol, ne ha diffuso entrambe le versioni, per una valutazione attenta:
versione originale:
Lo Stato garantisce i diritti delle donne e le loro conquiste in tutti i settori. E’ fatto divieto di promulgare qualsiasi legge che possa compromettere tali diritti.
Lo Stato si impegna a lottare contro tutte le forme di discriminazione o di violenza fisica o psicologica contro le donne
(approvato da 8 deputati: Selma Baccar, Hasna Marsit, Mourad Amdouni, Noureddine Mrabti, Ahmed Brahim, Mohamed Allouch, Brahim Gassas, Selma Mabrouk);
versione modificata:
Lo Stato assicura la protezione dei diritti delle donne e delle loro conquiste, sotto il principio della complementarietà con l’uomo in seno alla famiglia e in quanto associata all’uomo nello sviluppo della patria.
Lo Stato garantisce l’eguaglianza delle opportunità per le donne in tutte le responsabilità.
Lo Stato garantisce la lotta contro qualsiasi tipo di violenza sulle donne.
(votato da 12 deputati: 9 del partito Ennahdha, 2 del CPR (Souhir Dardouri et Mohamed Karray) e un indipendente, Brahim Hamdi)
La Mabrouk richiama l’attenzione su due aspetti in particolare della revisione apportata all’art. 27. In primo luogo, come si evince dall’esame del testo, nella nuova rilettura il concetto di “eguaglianza” sembra aver ceduto il posto a quello di “complementarità” tra i sessi. Poi – cosa alquanto più grave – la dicitura “sotto il principio della complementarità con l’uomo in seno alla famiglia” lascerebbe supporre che potrebbero anche scomparire i diritti delle donne nubili, in quanto lo Stato garantirebbe solo quelli complementari in seno al nucleo familiare.
La considerazione a cui giunge la Mabrouk è drastica: “Nonostante per due volte io abbia avanzato obiezioni sull’illegalità insita nella ridiscussione di emendamenti già approvati, Madam Ferida Laabidi ha concesso ai suoi colleghi parlamentari la piena libertà di scelta nei confronti di questo cavillo costituzionale”, ha concluso.