Essere donne, mamme e lavorare nella solidarietà. Intervista a Francesca de Ceglie
di Maria Ferrante
Dalla Dolce Vita di Roma, dove lavorava come esperta umanitaria per il Programma Alimentare Mondiale, si trasferisce per due anni in Darfur portando aiuti alimentari alle popolazioni civili colpite da carestie e guerra. Lì la conobbi io: una sera ci siamo incontrate per caso ben oltre il coprifuoco, sotto tetti di paglia intrecciata, tra lampade a petrolio e rum di contrabbando fatto in casa. Si trasferisce nel 2009 in Cambogia con un bambino di appena quaranta giorni, dove vive ora da tre anni con la sua famiglia. La intervisto una sera in un raro momento di calma in compagnia del suo figlioletto, un dolce, sveglio e biondissimo bimbo che parla tre lingue (quella della mamma, quella del papà austriaco e –ovviamente- l’inglese).
Intervista a Francesca de Ceglie, Programme Officer del Programma Alimentare Mondiale, operatrice umanitaria, mamma, moglie, viaggiatrice, sognatrice e Donna nel Mondo a tuttotondo.
Francesca, ci racconti un po’ di te e della tua scelta di lavorare nel mondo delle carriere internazionali, ma di essere allo stesso tempo moglie e mamma?
Penso che la vita sia fatta di scelte, ma anche di tante sorprese e opportunità da affrontare di petto e da saper cogliere. Nel mio caso è stato così. Ho perseguito la carriera internazionale nel settore umanitario per passione, indole ed interesse, ma anche grazie alla mentalità aperta ed esterofila della mia famiglia. Nell’amore mi sono imbattuta in un momento inaspettato, non sapendo che si sarebbe trasformato nella colonna portante della mia vita. Altre sfide come la maternità capitano a volte senza essere pianificate e si trasformano nel viaggio più avventuroso, difficile e gratificante che si possa immaginare. Dopo quattro anni nella sede centrale del Programma Alimentare Mondiale, sia io che mio marito eravamo pronti per una nuova sfida lavorativa. E’ stata la prima scelta davvero coraggiosa e difficile che ho dovuto affrontare, non solo perché si trattava del Darfur, ma anche perché significava separarsi in due sedi diverse di questa martoriata regione: una sfida professionale e personale al tempo stesso. Verso la fine dei miei due anni in Darfur, un’esperienza indescrivibile, ho scoperto di essere incinta. Oliver ha riempito le nostre vite di gioia e di nuovi significati, ma le difficoltà non sono certo mancate, soprattutto nel primo anno. Trovarsi di punto in bianco in un nuovo paese con un neonato, senza punti di riferimento e senza il supporto di famiglia e amici di sempre, è stata la sfida più difficile della mia vita. Strano a dirsi, ma con un bimbo appena nato ci si può sentire incredibilmente soli e s’iniziano a conoscere davvero tutti i nostri limiti e le nostre insicurezze. Devo dire che io sono anche fortunata, ho un marito e una famiglia che mi sono stati molto vicini e mi hanno supportato nei vari passaggi, questo può fare la differenza. Se tornassi indietro rifarei le stesse scelte, alle volte un po’ di leggerezza può aiutare ad accedere a nuove fasi della propria vita. Questo è successo a me, una romana come tante con mille sogni nel cassetto, un pizzico di coraggio ed uno di fortuna per poterli realizzare.
Credi che le donne negli Organismi Internazionali possano conciliare tutte queste diverse esigenze, così come stai facendo tu?
Credo che nell’ambito delle carriere internazionali, all’arrivo dei figli una donna che lavora ha due alternative: accettare i compromessi che –a ragion di forza- ne derivano sul piano del lavoro o su quello della famiglia. Questa scelta è la stessa che devono affrontare tante donne ogni giorno, ma credo che in alcuni ambiti dove è richiesta dedizione totale e soprattutto dove il viaggiare è indispensabile anche in luoghi disagiati, sia un po’ forzata. Io ho scelto la prima via, mettendo per un po’ in pausa la mia carriera, e trovando altri modi per sentirmi intellettualmente impegnata, come gli studi. Dopo aver usufruito del periodo di maternità, ho inoltre lavorato come consulente. E’ stata dura reinventarsi, ma è stata un’esperienza importante dalla quale ho imparato moltissimo. Conosco alcune colleghe che hanno scelto l’altra via e che vivono lontane da marito e figli perché il loro lavoro non permette la presenza in loco della famiglia, per contratto o per ragioni di sicurezza. Penso che in quest’ambito lavorativo, forse più che in altri, sia necessario essere realisti e imparare ad accettare alcuni compromessi perché, secondo me, avere tutto contemporaneamente e senza rinunce da qualche parte non è possibile. L’importante è chiedersi ciò che si vuole davvero ed anche come si definisce il proprio successo personale. Il mio è un sognare concreto fatto di tanti piccoli passi ogni giorno, una rinuncia qua e là, magari un viaggio di lavoro e qualche ora di sonno in meno. Insomma di tanti piccoli e grandi compromessi, che per me non sono rinunce in senso negativo, ma atti d’amore verso le persone importanti della mia vita e verso me stessa. Credo che siano proprio questi compromessi che ci consentono di essere la donna che vogliamo e di vivere la vita che abbiamo scelto.
Compromesso. Una parola difficile nella realtà odierna dove spesso la perfezione è il metro di misura. Non posso esimermi dal citare il recente articolo di Anne-Marie Slaughter sull’Atlantic Magazine (Luglio 2012) che ha già fatto il giro del mondo. Slaughter, tra le altre cose, ritiene che la generazione di donne alla quale anche tu appartieni ha già compreso che “women can’t have it all” o quantomeno non nello stesso momento, eccellendo su tutto e senza i dovuti compromessi. Tu sei una donna in crescita che non ha paura di rallentare il passo né di cambiare strada se necessario. Non nascondi nemmeno le tue difficoltà e la tua vulnerabilità, nella consapevolezza che non tutto può sempre essere perfetto. Sembra che anche tu sia di questa linea di pensiero?
Sì, concordo con questa visione. La trovo più realista e concreta del “we can have it all”. Forse sì, possiamo anche avere tutto, ma non contemporaneamente, senza rinunce, compromessi e alle volte, a caro prezzo. Nella realtà moderna occidentale ci sono molte donne che vogliono avere tutto in ogni caso e alla perfezione (e chissà, magari ci riescono anche, beate loro!). Io devo dire che, incontrando moltissime persone di diversi tipi, nazionalità e culture, con il tempo ho imparato a categorizzare meno le scelte e le persone, soprattutto le donne, così diverse e variopinte! Infatti ci sono donne che sono pienamente soddisfatte essendo esclusivamente mamme, oppure essendo solo professioniste. Poi ci sono le donne con famiglie allargate o sole con i figli che spesso sono ancora additate dalla società e invece ne rappresentano una colonna portante. Tutte donne diverse, ma che lottano ogni giorno per trovare il giusto equilibrio tra le varie componenti della loro vita. Io mi ritrovo in quest’ultimo gruppo e sono consapevole che ogni scelta comporta delle conseguenze. Una forte realizzazione di questo, per esempio, l’ho avuta quando dall’ HQ mi hanno chiamata una sera tardi per chiedermi se ero disponibile ad andare a gestire i programmi di emergenza in Siria, era appena scoppiata questa nuova terribile crisi. Professionalmente era una bella sfida ed anche un’ottima opportunità di crescita. Attratta chiaramente dalla possibilità di contribuire allo sforzo umanitario, sono stata sveglia tutta la notte a leggere le ultime informazioni del caso e a decidere che fare. Dal punto di vista personale però ormai si accende subito una lampadina che mi richiama alla realtà: sono una mamma, e come tale non posso e non voglio allontanarmi per periodi lunghi dalla mia famiglia, ne’ posso mettermi in situazioni di pericolo. Non ho dubbi ne’ rimpianti su questo, ma è una scelta che deve essere sempre presa con la giusta dose di consapevolezza, perché’ c’è molto sul piatto della bilancia e importanti sacrifici da affrontare qualunque sia la scelta. Credo che per le “mamme in carriera” esistano poche possibilità di crescita in molti settori del mondo del lavoro attuale, ancora meno di poter accedere a posizioni di senior leadership. Nell’ambito delle relazioni internazionali poi, le possibilità reali per una donna di arrivare al top e di avere anche una famiglia sono davvero poche. Basti guardare alle donne ai vertici negli Organismi Internazionali, pochissime, e la maggior parte senza famiglia e/o figli. Eppure ci sono molte colleghe coraggiose che se non vogliono mollare le redini al lavoro, sono costrette a vivere lontane -alle volte anche per mesi- dalla famiglia. In ogni caso ho un grandissimo rispetto per le donne che perseguono la propria strada e allo stesso tempo la felicità della famiglia in maniera decisa, concreta e realista. Nemmeno io ho smesso di sognare di poter essere la donna che voglio: moglie, madre, amica, nonché professionista che contribuisce nella società nel modo che più sento mio.
Francesca, hai una carriera all’interno del più grande programma umanitario delle Nazioni Unite, una famiglia, coltivi varie passioni e studi alla School of Oriental and African Studies: come definiresti quindi la leadership al femminile?
Quello di cui abbiamo parlato fino ad adesso, questo è quello che intendo per leadership! Essere consapevoli di quello che si è e di ciò che si vuole. Accettare lo sforzo che ne deriva per metterlo in pratica nella propria vita, con coraggio ed impegno, ma anche con accettazione dei propri limiti e delle proprie vulnerabilità, come dici tu. Leadership è anche saper ascoltare, comprendere e aiutare amici e colleghi. Prendere decisioni importanti e avere opinioni forti su cose che contano, io ne ho fin troppe a volte!
Ed ora la domanda con cui mi piace concludere le interviste: che cosa significa per te essere donna?
Per me essere donna significa essere coraggiosa e forte e saper rispettare me stessa e gli altri. Provengo da una famiglia di donne forti: mia nonna, le mie zie, mia mamma, mia sorella e mia cugina sono la mia ispirazione. Tutte donne che hanno sempre retto le redini del carro, in famiglia e al lavoro!
Donna è anche sapere essere una regina, in maniera semplice e ad effetto: “Basta un pezzo di pane, olio, pomodoro e un pizzico di sale: e mi sento come una regina” dice sempre mia nonna di 89 anni, forse poco colta, ma incredibilmente saggia. E lo dice sul serio, cosi come io, seriamente, spero di continuare a sentirmi ogni giorno una regina, come lei.
2 commenti
Mi è piaciuto molto l’articolo “Sognare è Donna”. Non mi trovo nella stessa situazione di Francesca (non sono moglie nè madre), ma cooperante in India da quasi due anni e mezzo per un progetto di rafforzamento dei diritti delle sonne lavoratrici. E’ qui forse, molto di più che altrove (Uganda e Birmania), che ho maturato la mia attenzione alle tematiche femminili. E non solo perchè il mio lavoro mi porta quotidinamente a viverle pienamente, ma perchè mi sono resa conto quanto la “forza” delle donne sia “trasversale e universale”. Può sembrare contraddittorio, ma indipendentemente e/o a parità di condizioni, ogni donna porta in sè un desiderio di realizzazione che prescinde l’amito in cui si esprime. Perchè qualsiasi cosa faccia è sempre una cosa fatta per altri (e non solo per sè stessa).
Grazie Giovanna per il tuo contributo. Siamo contente che ti sia piaciuta l’intervista e che ce l’hai voluto far sapere! Quello che dici non è per nulla scontato né contradditorio, anzi, sono degli ottimi spunti che spingono la riflessione ancora più in là.
Sappiamo che come te ci sono tante donne coraggiose ed impegnate nel mondo (da Bogotá, a Roma, a Delhi e a Shanghai!) e qui si vuole creare uno spazio anche per loro. Da questo punto di vista, non importa se sono madri o meno, sole o in compagnia. Sono donne che lavorano, lottano, cadono e si rialzano, sorridono, ballano, sono impegnate nel Trasversale -come lo chiami tu- e che, anche quando ogni logica sfugge, non smettono mai di sognare.