Lacrime di disperazione e dolore. Ogni anno circa tre milioni di ragazzine sono costrette a sofferenze (per noi occidentali) inimmaginabili nel rispetto di una tradizione antichissima, carica di barbarie ma impossibile da ignorare.
E’ da questa sorta di retaggio culturale che viene imposta una ritualità crudele a cui le donne di una vasta parte del continente africano ma anche mediorientali, asiatiche, latinoamericane difficilmente riescono a sfuggire.
Le mutilaioni genitali femminili (Mgf) non perdonano. Lasciano cicatrici indelebili sul corpo e nell’anima di chi le subisce nell’età della ragione. Generalmente, infatti, vengono praticate su soggetti di sesso femminile tra i cinque e i quindici anni (ad esmpio in Egitto), ma talvolta gli aberranti interventi sono effettuati anche su bimbette più piccole (Mali e Mauritania), se non addirittura neonate di poche settimane (Yemen).
Le modalità chirurgiche restano più o meno invariate ovunque: coltelli rudimentali, lame di rasoio, pezzi di vetri rotti o forbici per incidere la carne, grosse spine e fili improvvisati per ricucire le ferite. Nessun tipo di anestesia nè di sterilizzazione strumentale, ovviamente.
Diversa è invece la dinamica dell’operazione. In alcuni territori è infatti adottata la pratica della semplice escissione clitoridea, che in certi casi può essere accompagnata dal taglio delle piccole labbra. Altrove (prevalentemente in Africa) viene privilegiata la temutissima (dalle vittime predestinate) e terribile infibulazione, termine derivante dal latino fibula, spilla. Al termine dell’ intervento, che contempla l’asportazione totale dei genitali fenmminili esterni , le estremità residue delle grandi labbra vengono ricucite tra loro in modo da lasciare solo foro nel rispetto delle elementari necessità fisiologiche.
La cicatrice residua dovrà però essere riaperta e nuovamente suturata la prima notte di nozze, quando la ragazza dovrà soggiacere al suo primo rapporto sessuale, ma non va dimenticato che occorrerà ripetere l’operazione anche in occasione di ogni eventuale parto futuro.
E’ assodato che Mgf tendono a cancellare ogni forma di identità femminile: l’atto sessuale appartiene all’uomo, che ne dispone il controllo e ne vanta il beneficio esclusivo, mentre alla donna viene richiesto solo di assicurare al marito una degna discendenza. A questo viene ridotto lo scopo della sua esistenza.
Le nuove generazioni femminili stanno tuttavia alacremente combattendo per sradicare definitivamente una simile usanza dal tessuto culturale della loro area di appartenenza. Fortunatamente, molti passi sono già stati compiuti in tal senso, se è vero che sempre meno ragazze accetterebbero di sottoporre le loro figlie a torture che fanno davvero accapponare la pelle.
La Nuova Costituzione somala – tanto per citare un dato recente – ha appena messo al bando le Mgf (aliene al codice islamico stesso), che tra l’altro stanno creando una vera emergenza anche in Occidente.
Il fenomeno legato all’immigrazione ha infatti messo in luce problematiche culturali e sanitarie inedite in questa parte del mondo. Dilemmi inaspettati dalle conseguenze non facilmente prevedibili di fronte alle quali si è rivelata indispensabile un’azione tempestiva e non soltanto a scopo precauzionale ma anche, beninteso, per cercare – se non di eliminare almeno di arginare al massimo – questi inconcludenti rituali carichi di inammissibile crudeltà gratuita ai danni delle donne.
In Italia, dove in base alla legge n° 7 del 2006 le Mgf sono espressamente vietate, vengono segnalate quasi 100 mila donne a rischio, di cui circa 8000 bambine.
Sovente sono le madri stesse a rimettere le proprie figlie nelle mani dei medici compiacenti o delle anziane delle comunità, affinchè l’operazione distruttiva venga compiuta a dovere. E se ciò non è possibile, allora una visita al paese natìo potrà essere il pretesto per ottemperare al dovere tradizionale.
Il Ministero della Sanità ha da tempo istituito un numero verde (800300558) a sostegno delle donne e delle bambine in cerca di aiuto, ma ovviamente non basta.
A ognuna di loro deve essere offerta una corretta informazione di base. L’obiettivo dovrebbe essere quello di garantire a tutte l’opportunità di decidere della propria vita con coscienza, Non in nome di una tradizione che deve proseguire (simile a una sterile catena di Sant’Antonio con picchi di orrore insondabile), ma con la dignità di appartenere all’umanità.
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