La convinzione che la donna più affascinante sia quella che riesce ingannare un uomo raccontandogli una storia alla quale lui non possa non credere. Lo afferma Daniel Guebel, scrittore argentino di più di 20 libri, intervistato da Francesca Capelli.
«Spiegami una cosa: perché alle lettrici italiane dovrebbe piacere il mio romanzo?». A chiederlo così, a bruciapelo, è Daniel Guebel, 56 anni, scrittore e giornalista argentino, autore di racconti, opere teatrali, sceneggiature televisive. E naturalmente romanzi, di cui uno – “Carrera e Fracassi” – pubblicato in Italia dalle edizioni “La Linea” (352 pagine, 16,50 euro). Se è l’intervistato a fare la prima domanda, l’effetto è spiazzante. Ma non c’è da meravigliarsi. Siamo nell’emisfero Sud, viviamo a testa in giù e a Buenos Aires tutto funziona al contrario. Anche le interviste.
“Carrera e Fracassi” racconta le avventure tragicomiche di due rappresentanti di elettrodomestici della stessa ditta: Julio César Carrera e Carlos “Cacho” Fracassi (appunto). Il primo insicuro e riservato, l’altro volgare ed egocentrico. Un’incompatibilità caratteriale che ne fa una coppia strepitosa per una serie di avventure surreali, tra scambi di mogli, un viaggio in provincia “per vendere frullatori in un paese alluvionato” e risollevare le sorti dell’azienda, un audace quanto inutile furto. Una coppia che ricorda Don Chisciotte e Sancho Panza, o Bouvard e Pecuchet (protagonisti dell’omonimo romanzo di Flaubert). Sullo sfondo l’Argentina della crisi economica del 2001, che si risveglia dalla sbornia dopo la presidenza di Menem, gli anni della finanza facile e della parità del peso con il dollaro.
Un romanzo che fila via come un film.
Infatti all’inizio avevo pensato di farne una sceneggiatura. Poi mi sono reso conto che volevo scrivere un romanzo. Anzi, un’opera didattica. Insegnare a Osvaldo Soriano, che molti autori argentini considerano un maestro, come si scrive un romanzo popolare. Peccato che sia morto…
E’ molto cinematografica anche l’attenzione per il dettaglio visivo. E’ un caso o è una caratteristica del tuo stile?
Il dettaglio per me è movimento nella scrittura. E più i personaggi sono grossolani, come Cacho Fracassi, più si deve lavorare di fino, come un orafo.
Ecco, parliamo di Fracassi. Da dove esce un personaggio così? Cognome a parte, credo che un lettore italiano possa ritrovarci i tratti peggiori dei suoi connazionali.
Infatti mi sono ispirato in parte al personaggio di Lello Mascetti di “Amici miei” e – lo ammetto – al vostro ex presidente del Consiglio Berlusconi. Fracassi è un Sancho Panza malvagio e sessualizzato. Ma il mio è un romanzo comico nel quale, alla fine, la volgarità si trasforma in santità. Una storia di purificazione su come gli uomini vedono le donne e come le donne trasformano gli uomini.
Il cognome ha un suo significato metaforico?
Sì, “fracaso” in spagnolo significa “fallimento”. E procedendo per antinomie, Carrera – tanto remissivo e timido – ha il nome di un dittatore, Giulio Cesare. Ma per tutti c’è una redenzione.
Nei tuoi romanzi la storia e l’attualità dell’Argentina sono molto presenti, ma mi pare che tu appartenga a una generazione di scrittori che si è liberata dall’obbligo di parlare della dittatura.
Di questo, dei desaparecidos, si sono fatti carico i giornalisti e i figli, con i loro libri. Però a un certo punto del mio lavoro mi sono reso conto che il tema rientrava in maniera ellittica. Nel mio libro “La perla del emperador” (pubblicato da Emecé nel 1990), per esempio, ci sono personaggi che appaiono e scompaiono. Non può essere un caso.
E qual è la tua relazione di scrittore con l’elemento autobiografico? Penso per esempio a “Derrumbe” (Literatura Mondadori, 2007), che racconta di un divorzio e ha per protagonista uno scrittore.
Se prendiamo un episodio della nostra vita e lo trasformiamo in romanzo, ci rendiamo conto che il dolore ha una struttura di racconto. Certo, non tutto può essere raccontato. Io credo che il vero elemento autobiografico nell’opera di uno scrittore sia l’arco costituito dai suoi personaggi, dalle diverse voci narranti dei suoi libri.
La raccolta di racconti “Los padres de Sherezade“ (Eterna Cadencia, 2008) è un omaggio alle “Mille e una notte”, che consideri la base di tutta la letteratura. Che cosa ti lega a questa opera?
La convinzione che la donna più affascinante sia quella che riesce ingannare un uomo raccontandogli una storia alla quale lui non possa non credere.
L’intervista finisce qui, manca solo una risposta: quella alla domanda iniziale. Ora la so. «Perché è un bel libro. Perché fa ridere e sorridere mentre ci parla della vita, della morte, del desiderio e dei suoi surrogati. E di qualcosa a cui non sappiamo rinunciare, anche quando ci rende goffi e ridicoli. Per la cronaca, si chiama amore».
Francesca Capelli è giornalista, autrice per ragazzi e traduttrice. Nel 2012 ha finalmente realizzato il suo sogno di vivere a Buenos Aires, dove si occupa di letteratura, teatro e cinema. E’ mancina e ne va fiera.