di Sabina Ambrogi da Goleminformazione
Con la scusa di denunciare la condizione delle donne molestate per strada, il documentario “Femme de la Rue” che sbanca sui media francesi propaganda l’equazione “i ricchi non sono maschilisti, i poveri e gli immigrati sì”. Ma le associazioni per delinquere di stampo culturale fanno finta di non accorgersene.
Sofie Peeters studentessa di cinema fiamminga, si è trasferita da Louvain (città delle Fiandre) nel quartiere popolare di Annessens, a Bruxelles. Da allora ha notato che ogni volta che camminava per strada subiva tentativi di approccio di ogni genere.
Come la studentessa ha detto in diverse interviste se n’è fatta innanzitutto una colpa:
“ma sono io vestita in modo particolarmente provocante e qualcosa del mio atteggiamento tradisce una disponibilità eccessiva?”
Una volta accertato che non era colpa sua, si è armata di telecamera nascosta e ha così registrato il comportamento di uomini in strada quando vedono una ragazza passare: dal complimento più o meno colorito, all’invito insistente, all’insulto aggressivo.
Il risultato è stato un documentario dal titolo “Femme de la Rue”, donna di strada, che è anche il modo per designare le prostitute.
Da allora, complice anche il vuoto estivo che i media devono riempire, il documentario è diventato una specie di cult, supportato da una valanga di reazioni su twitter, dove l’hashtag molestie di strada (#harcelementderue) è diventato uno dei più seguiti nel web d’oltralpe.
Indignazione dunque e anche grande stupore perché si tratta pur sempre della capitale europea, e che questo testimonierebbe una regressione della “libertà delle donne”.
Una volta che i media francofoni e fiamminghi se ne sono impadroniti, la parola è passata subito alla politica. La ministra degli Interni Joëlle Milquet, ha sollecitato il governo federale a preparare una proposta di legge per condannare argomenti sessisti. Delle candidate alle elezioni comunali hanno passeggiato per le strade del quartiere di Annessens distribuendo volantini. Lo choc delle donne importunate è stato tale che si stanno già studiando delle leggi ad hoc per punire gli insulti con delle multe. Resta il complicatissimo dettaglio di come cogliere in flagrante il reo. Il v ha spiegato che:
“si capisce che le persone che aggrediscono sono dei frustrati. Si ha il diritto di vestirsi come si vuole in città. E quelli che non vogliono capire saranno puniti. Anche se non si potranno mettere a verbale “le ingiurie”, è importante stabilire il principio”.
Il documentario vola all’estero. Ne parlano tutti. The Guardian riporta la storia e il video.
In un forum aperto da Le Monde, l’associazione francese Osez le féminisme! Commenta la diffusione di questo film e le reazioni. Secondo l’associazione le molestie:
“alimentano il sentimento che la strada sia uno spazio maschile nel quale le donne non possono circolare liberamente né di giorno né di notte”.
La strada resterebbe dunque:
“lo spazio riservato degli uomini in cui vengono imposte le loro regole.”
Se il film ha avuto il merito di sollevare un dibattito su una sorta di aggressione perenne, tassa iniqua e spesso snervante, alla quale tutte le donne sono sottoposte soprattutto in giovane età, dall’altra, l’amplificazione del dibattito su una materia vecchia come il mondo e francamente poco urgente ha rivelato tutta la sua ambiguità.
Il dettaglio infatti è che il quartiere in cui si svolge tutto è uno dei più poveri di Bruxelles e che i molestatori sono per la maggior parte immigrati del Maghreb, e quindi musulmani. E anche se l’autrice si dispiace che spesso il tema si concentri sulla questione dell’immigrazione rilascia una dichiarazione abbastanza incauta, che rivela tutta la sua inconsapevolezza:
“credo che nove volte su dieci si tratti di “allocthones” (definizione usata nei Paesi Bassi per indicare immigrati). Non è tipico di Bruxelles ma è tipico dei quartieri poveri, dove il machismo è diffuso”.
Ed è vero. Infatti non solo non accade nulla del genere al centro di Bruxelles dove le sole persone dalla pelle scura sono il personale delle ambasciate e delle istituzioni comunitarie, ma non accade nulla del genere neppure a Parigi e meno che mai a Londra, e nemmeno a Roma o in qualsiasi altra città europea.
Succede invece se ci si sposta nelle periferie più depresse, dove la povertà e un’integrazione mai avvenuta cui segue l’affermazione automatica delle proprie tradizioni più retrograde, sono le cause principali di questi atteggiamenti di pressione nei confronti delle donne. Le prime vittime del resto sono appunto quelle che abitano in questi quartieri. A Annessens, luogo in cui Sofie ha “passeggiato” a registrare appunto il machismo maghrebino perché di questo s’è trattato, sono al 60% disoccupate, subiscono pressioni e discriminazioni sociali, hanno difficoltà insormontabili a portare a termine gli studi e garantire una vita migliore ai propri figli. Molte sono escluse dall’insegnamento e dall’apprendimento perché portano il foulard, molte altre, malgrado studi e sforzi sono rispedite al loro ruolo di casalinghe. Un mondo di discriminazioni e di imposizioni che sarebbe da denunciare e da combattere con forza. Invece si tratta di un documentario di una giovane ragazza bianca benestante che rivendica il diritto di attraversare un quartiere povero a alta densità di immigrati esattamente come attraverserebbe l’Avenue Louise in pieno centro di Bruxelles. E questo diritto, le verrà assicurato con delle punizioni comminate dal governo ai maschi del quartiere che hanno fatto male a essere poveri, disoccupati e ignoranti. Il tutto applaudito ovunque come forme di grande progresso.
La sintesi socioculturale di “Femme de la rue” sarebbe infatti: se sei bianco o anche nero ma sei ricco, non sei maschilista. Se invece sei povero e immigrato lo sei. E anzi lo manifesti verbalmente con arroganza. Non è perciò il contenuto del documentario abbastanza scontato, ma è la comunicazione complessiva che ha dato importanza a questo, sostenuta dall’indignazione femminista nella sua più ottusa incapacità di visione di insieme, che sono il vero argomento. Così è diventato l’ennesimo veicolo per riposizionare una questione di discriminazione femminile sullo scontro religioso, in cui comunque l’occidente appare sempre superiore. Del resto anche la replica dalla parte musulmana si è affrettata a rafforzare la tendenza. Un membro di «Sharia4Belgium» , in un video su YouTube dà della prostituta alla studentessa:
“Se va in giro mezza nuda con la faccia truccata lo fa per eccitare, di che si lamenta?”.
Non troppo diverso da quel che ha qualche tempo fa a Parigi il deputato della destra Patrick Balkany, sui fischi maschilisti in Parlamento al vestito a fiori della ministra Cécile Duflot:
“Se si è conciata così era per essere guardata più che ascoltata”.
2 commenti
Ricordo come un incubo una vacanza che ho fatto vent’anni fa, a Nizza, in Costa Azzurra, con molestie continue da parte della popolazione maschile locale, che non digeriva una ragazza da sola che girava, prendeva il gelato, prendeva l’autobus, andava in libreria, faceva passeggiate. Il tutto in pieno giorno, il tutto in tutti i quartieri di Nizza, a cominciare da quelli centrali. Maghrebini? No, francesi di mezz’età con la pancetta o professionisti distinti in giacca e cravatta. Un po’ come quel tizio che qui a Torino mi ha chiesto un paio d’estati fa se gli facevo un servizietto orale.
Brava Sabina, sei riuscita articolare il tema in molti aspetti della sua complessità. A questo vorrei aggiungere un paio di considerazioni. Primo, fa un po’ ridere l’idea che in Francia si possa pensare che solo i poveri sono maschilisti, tanto per dirne una la vicenda Strauss Kahn insegna!
Ma c’è un ulteriore aspetto cui vorrei accennare. Attente a non fraintendermi, però. Il fatto che in non poche città europee, Roma compresa, a volte degli immigrati poveri aggrediscano delle donne in forme dalle più lievi alle più terribili, si lega secondo me anche a una questione di cui non si parla mai, anche perché è molto difficile farlo senza subito essere tacciate di “giustificazionismo”. Invece si tratta di osservare la realtà. Si tratta di una questione complessa, che qui posso solo accennare. Nell’emigrazione molti uomini giovani si trovano “fuori contesto”. Sia su un piano culturale, sia in termini ben concreti: vale a dire che sono in un’età in cui sarebbe normale avere rapporti sessuali anche frequenti, ma fanno una vita in cui questa normalità di fatto non si dà per niente. E questo in un contesto socio-culturale in cui per di più le sollecitazioni alla sessualità sono continue e abbondanti. Questo “doppio spiazzamento” viene di fatto pagato dalle donne. Su questa questione secondo me bisognerebbe riflettere con attenzione, ma come dico è quasi impossibile farlo. Ma, nel nostro interesse, a me parrebbe necessario lavorarci su in modo attento e culturalmente creativo.