Fecondazione artificiale: sarà stata pure “difettosa”, ma il duente di Eleonora Mazzoni , quello che ha scoperto di avere studiando recitazione, non l’ha mai tradita e dopo alcuni anni le ha permesso di stravolgere i piani di madre Natura.
Un’ esagerazione? Provate a leggere la storia di Eleonora Mazzoni, nata a Forlì, attrice e autrice del libro “Le difettose”, Einaudi (che vi consiglio) e capirete.
Nel suo percorso – lo si leggerà più volte- tanta importanza hanno avuto il teatro, il sostegno dei suoi e quel fuoco creativo, tanto caro a Garcia Lorca, che è esploso sul palcoscenico.
Eleonora, lei lo fa capire in tante occasioni: “Recitare l’ha salvata”. Si è, infatti, formata alla Scuola di Teatro di Alessandra Galante Garrone e ha lavorato con Giorgio Albertazzi. Ma cosa le ha dato il teatro?
Albertazzi è stato uno dei miei insegnanti. Abbiamo lavorato sulla poesia, in modo particolare su quella di Garcia Lorca, poi ci siamo ritrovati come colleghi in occasione di due film (eravamo protagonisti con Giovanna Mezzogiorno di “Tutta la conoscenza del mondo” e “AD project” con la regia di Eros Puglielli). La mia formazione come attrice ha avuto enorme influenza. Ho “imparato a imparare” non solo con la testa, ma anche con le emozioni, il corpo, i sensi, il cuore, tutto insieme. Nel mio mestiere ogni volta che reciti, se vuoi farlo bene e non in maniera accademica e meccanica, deve accadere qualcosa, devi farti attraversare dalla vita. Lorca diceva devi avere “il duende”, parola difficilmente traducibile, devi cioè essere posseduto da una forza più grande di te stesso, che renderà grande quello che interpreti. E deve esserci ogni volta. Non basta che tu ieri sia stata brava e abbia dato il massimo, se oggi non ri-succede sarai la peggiore delle guitte.
Al teatro ha dato tanto. Fino all’età di 35 anni nella sua vita c’è stato solo quello. Poi ha cominciato a desiderare un figlio. Ma forse era un po’ tardi?
A 35 ho cominciato a pensarci. A 37 a provarci. Quindi tardi, rispetto ai tempi che ancora oggi nel 2012 la natura detta. Prima il mio istinto materno era basso, vicino allo zero. E’ stato sicuramente decisivo l’incontro con mio marito e il miglioramento del rapporto con mia mamma. Come Carla, la protagonista de “Le difettose”, avevo cercato di prendere le distanze da lei e da un certo modello (cioè sposarsi e fare figli presto, lasciando il proprio lavoro e i propri interessi), tanto da andarmene via di casa presto, molto presto (a 18 anni, una rarità in Italia). Il desiderio di diventare madre, a lungo represso, quando è esploso è stato devastante. Il bisogno di sperimentare, come la definisce Carla, “quella potente forza primordiale capace di squassarmi il corpo di donna troppo civilizzata”, la voglia di mettere al mondo un essere umano altro da me, per un certo periodo ha divorato ogni altro desiderio, diventando pericolosamente “l’unico pensiero della giornata, la sola attività pulsante che come un tarlo svuota dall’interno il resto, interessi, passioni, impegni, lasciando l’involucro a salvaguardare la vita sociale e la presentabilità“.
Poi cosa è successo?
Dopo più di un anno di tentativi mirati senza risultati io e mio marito abbiamo cominciato a fare tutte le analisi possibili e immaginabili. Risultavamo entrambi sani e fertili, ma il figlio non arrivava. Un terzo delle gravidanze che non arrivano non ha cause organiche. E’ allora che ci hanno consigliato la fecondazione artificiale. All’inizio una pensa di poter rimanere subito incinta. Fiduciosa nei passi da gigante che ha fatto la medicina, mi inebriavo al pensiero che la scienza avrebbe saputo ripagarmi di quello che la natura non era disposta a concedere. Quando, invece, ho fallito – perché se c’è qualcuna che la cicogna la becca al primo colpo, la maggioranza di chi frequenta i reparti delle donne “difettose” deve provarci e riprovarci – mi sono dovuta rendere conto che il desiderio e la volontà non bastano. Anch’io come Carla sono passata attraverso “tre fecondazioni artificiali fallite e due aborti naturali riusciti”.
Quale è stato il momento peggiore?
Il momento più drammatico è stato quando ho perso per la prima volta al terzo mese il bimbo. Alle spalle avevo già un tentativo di Icsi non andato a buon fine e la mia via crucis durava da più di due anni. E’ successo che sono rimasta incinta naturalmente e inaspettatamente. Poi la gravidanza si è fermata. L’ho vissuto come un accanimento e una crudeltà del destino. Mi sono stati molto vicini mio marito e mia sorella. Mi ha deluso il mio ginecologo, freddo e distaccato, privo di tatto e sensibilità.
C’è stato un momento in cui ha deciso di mollare?
Credo che in una questione così intima per una donna come il diventare madre, la decisione di mollare o no nasca dal profondo di sé. Per questo occorre ascoltarsi. Per questo gli altri – famiglia, amici, medici – hanno poca voce in capitolo. Nessuno ti può dire fino a che punto conviene spingersi e quando occorre fermarsi. E sempre dal profondo di sé si trova la forza. Alcune lasciano perdere dopo un tentativo, altre ci riprovano dodici volte. Nessuna ha torto, nessuna ha ragione. Basta rimanere in contatto con se stesse e non perdersi. Ogni volta che si deve ricominciare è una lotta.
Ma non ha mai pensato all’adozione? Perché in tante la rifiutano?
L’adozione è una scelta che deve maturare dentro. Anche lì, ad un certo punto,ci si può rendere conto di essere pronte, di aver ad esempio elaborato il lutto di non essere diventate madri biologiche. Deve essere pronto anche tuo marito. Noi ci siamo arrivati dopo cinque anni e mezzo di tentativi naturali e artificiali.
L’anno scorso sono arrivati i due gemelli. L’ha mai considerato un miracolo?
Il miracolo è stato che quando stavamo pensando all’adozione sono rimasta incinta. I tempi sono stati incredibili. Il 12 marzo 2011 mi sono sposata – noi non ne sentivamo la necessità, ma per adottare è obbligatorio – il 31 marzo ho consegnato “Le difettose” a quelli di Einaudi. Anche il libro ha avuto positivi effetti terapeutici sulla mia mente e il mio corpo. I primi di aprile ho fatto il mio ultimo transfer – deciso a fine 2010. Se non fosse andato a buon fine prima dell’estate avremmo iniziato le pratiche per l’adozione e dopo otto mesi sono nati Emma e Matteo.
<<continua>>
1 commento
immagino che questa signora si sia sottoposta a cure ormonali per avere i figli, dopo due fecondazioni artificiali e due aborti. perchè tanta sofferenza e travagli per il corpo?
perchè non adottare subito? che cosa hanno di diverso i genitori adottivi?