Trovato nella mail del blog
Storie di ordinario mobbing universitario? No, non solo.
”Il I giugno 1994 sono stata assunta dall’ Università “G. d’ Annunzio” di Chieti-Pescara come tecnico di laboratorio di VI livello presso la cattedra di Genetica Umana diretta dal Prof. Dal 1983 frequento come studentessa interna( iscritta alla facoltà di Medicina e Chirurgia ) e successivamente come volontaria e poi borsista, il laboratorio di Citogenetica Umana diretto sempre dal….
Mi occupo di allestimenti di colture cellulari per linfociti di tipo T, preparazione di terreni di coltura, analisi cromosomiche , tecniche di bandeggiamento cromosomico; mi occupo inoltre principalmente di colture di midollo osseo e della ricerca di anomalie cromosomiche correlate ai vari tipi di leucemia, imparando tecniche di Citogenetica Molecolare e ottenendo buoni risultati avallati da un discreto numero di pubblicazioni scientifiche.
Nei confronti del mio lavoro , che tra l’altro amo molto, mi sono sempre mostrata disponibile e attenta, scrupolosa e pignola. Mi piace molto lavorare e lo faccio con passione, faccio tutto quello che i miei “capi” mi chiedono , senza battere ciglio, trascurando me stessa, i miei interessi, la mia vita di relazione, mio marito. Diciamo che tutto andava bene, i rapporti con i colleghi e le colleghe erano cordiali. Nel 1999 decido di candidarmi per le elezioni del Comitato per le Pari Opportunità della mia Università. Vengo eletta Presidente del C.P.O., ma costretta a lasciare il laboratorio dove fino ad allora avevo lavorato, perché direttore e colleghi non avevano gradito né la mia candidatura, tanto meno la mia elezione. I motivi di questo loro atteggiamento mi sono fino ad oggi sconosciuti. All’improvviso mi erano diventati ostili, rendendomi l’ambiente di lavoro invivibile ricattandomi , per rientrare nelle loro “grazie” mi sarei dovuta dimettere, mi rimproveravano su tutto , accusandomi di prestare poca attenzione al lavoro, cosa non vera.
Non accettai quindi di dimettermi dal C.P.O., innanzitutto mi premeva salvaguardare la mia dignità di persona e di lavoratrice. Vengo trasferita per un mese presso il laboratorio di Farmacologia Clinica diretto dal Prof…. in attesa di un trasferimento “definitivo”, poi un trasferimento in Patologia Clinica , direttore il Prof. mio carissimo amico. Sfortuna volle che fu trasferito all’Università di Ancona, ma il Prof…. direttore del dipartimento di Scienze Biomediche , dipartimento al quale ancora appartengo , non voleva che me ne andassi, perdendo così una” unità lavorativa”.
Vengo trasferita nel laboratorio di Microbiologia Clinica diretto dal Prof…. il quale mi sembrava molto poco entusiasta del mio arrivo, mi sono sempre sentita poco gradita all’ambiente . Non sapevano che ruolo darmi. Mi proposero di “convertirmi “ in segretaria del Prof. rinunciando alla mia figura professionale che è quella di tecnico di laboratorio. Risposi che certamente gli avrei dato una mano nelle mansioni amministrative ma che non ero disposta a rinunciare alla mia attività di laboratorio , ci tenevo troppo.
Mi furono insegnate poche cose, lavoravo come autodidatta, abbandonata a me stessa, senza essere guidata in un campo pressocchè nuovo per me , utilizzavo internet e navigavo in siti americani per poter acquisire delle conoscenze solide in campo microbiologico,nel frattempo non venivo invitata alle riunioni di lavoro, dicendomi che era troppo presto per parteciparvi , doveva passare del tempo… Continuavo a lavorare da sola , e dovevo subire i malumori del responsabile del laboratorio, Sig…. per il quale ero diventata una specie di capro espiatorio, se c’era per esempio, un obiettivo del microscopio sporco la colpa era la mia, con gli altri taceva. Il suo comportamento nei miei confronti era decisamente instabile e denigratorio,tutto ciò che facevo non gli andava bene fino al giorno in cui mi chiese con aria mansueta e raddolcita, all’improvviso, se potevo dargli un voto di preferenza come rappresentante del personale tecnico-amministrativo nell’ambito del dipartimento di Scienze Biomediche a cui appartenevamo.
Non avendo peli sulla lingua subito gli rispondo che non lo avrei votato, che era giusto votare altre persone per dare anche a loro la possibilità di mettersi alla prova e che avrei votato una collega come atto di coerenza nei confronti della politica di pari opportunità che cerco di portare avanti da diverso tempo. Al mio rifiuto di votargli il… mi dice che il suo comportamento nei miei confronti da quel momento sarebbe cambiato, che non avrebbe più preso le mie difese, mi domando ancora oggi da cosa, comportamento tra l’altro molto discutibile, come ho già detto sopra.
Un pomeriggio mentre ero in laboratorio , il… comincia ad insultarmi alla presenza di altri colleghi urlando che ero una “svergognata”, una “traditrice” ed altro ancora. Esasperata da questo comportamento decido di querelarlo e così avviene. All’indomani della lite , come del resto avevo previsto, mi convoca nel suo studio il Prof…. dicendomi di lasciare il laboratorio,” senza possibilità di replica” e di restituirgli la chiave dello stesso. Umiliata, offesa e già duramente provata decido di non restituirgliela se non prima di essermi consultata con il mio avvocato. La mattina del 22 luglio del 2002, mi reco in laboratorio come tutte le mattine, infilo la chiave nella serratura della porta del laboratorio e la trovo cambiata! Mi precipito da alcuni miei colleghi, raccontando il fattaccio, mi sentivo stremata, stanca, incredula, sentimenti che purtroppo sento ancora oggi.
Scrivo al D.G. informandolo della situazione, gli scrive anche il mio avvocato, chiedo le ferie, ritorno il 26 agosto e ritrovo la stessa situazione, senza trovare una lettera di risposta . A quel punto consigliata dal mio avvocato ritorno a casa, informo la stampa locale.
A casa vivo dei giorni pieni di angoscia e di depressione a tal punto da chiedere l’aiuto di uno psicologo, perché avevo bisogno di un sostegno, nonostante mio marito sia stato ed è tuttora di grandissimo aiuto.
Dall’Università nessun cenno. Ci rivediamo il 23 settembre 2002 in tribunale. Mi ridanno la chiave negando , ovviamente, la verità, mi reintegrano nel mio posto di lavoro.Ritorno all’Università , mi danno una scrivania allocata su un soppalco priva di telefono e di P.C., non mi danno mansioni, resto tutto il giorno ad inventarmi il lavoro. Mi isolano, fanno gruppo a sé, ignorano la mia presenza, come se non ci fossi stata. Mi sento offesa, derisa, a disagio. Loro si mostrano indifferenti e strafottenti, con risatine e comportamenti ambigui. Chiedo di lavorare, ma per me non c’è mai niente da fare…
Vengo a sapere che il corpo docente dell’Ateneo mi ha fatto “terra bruciata”, mi considerano una ”rompiscatole”, una che “crea problemi” da tenere lontana. Infatti, chiedo di trasferirmi in altre strutture ma i “capi” trovano scuse per non farmi lavorare. Ottengo un “impiego temporaneo” in un’altra struttura dell’Ateneo, pensavo che il mio calvario fosse finito invece si ripete la stessa situazione, non mi fanno lavorare…”
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Lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Egregio Presidente della Repubblica Dottor. Sergio Mattarella,
Ci rivolgiamo a Lei per chiederLe sostegno e vicinanza nei confronti di una famiglia e di una studentessa universitaria della “Sapienza di Viterbo”, che per amore della giustizia e del prossimo, sta sacrificando la propria vita contrapponendosi al peggior nemico esistente in Italia: Omertà. Questa ragazza, nel dolore e nell’indifferenza più totale da parte di istituzioni ed organi competenti, sta portando avanti la più dura delle battaglie: “sconfiggere la malattia”. Da tredici mesi vive una vita impossibile, denigrata ed ostacolata in ambito accademico, sottoposta a continue minacce velate, da parte di colleghi e docenti, solo per aver infranto la regola del silenzio. Tutti sanno, tutti vedono e nessuno trova il coraggio e la forza di contrastare il potere gerarchico della “penna”. Oggi la “mafia” ha un volto nuovo, non colpisce con armi, ma con la violenza psicologica, inodore, invisibile, sottile e tagliente, da distruggere sogni e speranze altrui. Non la vedi, ma lascia tracce inviolabili sulla pelle minando la dignità umana. La gente si oppone ad un regime totalitario, dove tra programmi diversificati da un Polo Didattico ad un Altro, viene annientata la cultura, ove strutture fatiscenti, in luoghi dimenticati da Dio, non hanno mezzi idonei per contribuire ad una corretta formazione universitaria, controbatte ad una errata gestione non solo dei luoghi ma delle risorse umane. Ma soprattutto si oppone, a Docenti sessantenni, troppo intente ad intrecciare relazioni intime con giovani allievi, garantendo loro protezione e promozione. Usufruendo di luoghi adibiti alla didattica ed alloggi studenteschi per scopi personali, a discapito di coloro, che credono ancora in una “Formazione Accademica”. Siamo stanchi di vedere i nostri figli vittime di “abusi di potere”, ma soprattutto stanchi di vedere giovani pieni di speranze morire lentamente sotto i colpi della mediocrità altrui. Se la Cultura Italiana è finita nel Vortice dell’ignoranza è grazie a queste persone. Facciamo appello a Lei in prima persona, come Capo di questo Stato, per ottenere maggior controllo negli Atenei e porre fine a tali giochi politici. I nostri figli hanno diritto a “Formazione e Cultura”, non alla “Sepoltura”. Confidiamo nella sua sensibilità e vicinanza al popolo, a tutela dei Diritti Umani. RingraziandoLa anticipatamente per l’attenzione riservataci.
Cordiali Saluti
Genitori e Studenti.