L’attuale regime iraniano sembra intenzionato a proseguire il suo cammino di islamizzazione del territorio e a farne le spese maggiori sono le donne.
Uno degli obiettivi del governo è infatti quello di dar vita a una nuova generazione femminile del tutto conforme ai principi religiosi imposti dal radicalismo religioso.
E’ solo dello scorso giugno la notizia relativa all’improvvisa comparsa di una fantomatica “pagella” atta a costituire uno strumento scolastico di valutazione circa il corretto modo di indossare l’hijab da parte delle bambine e già una nuova bomba discriminatoria sta per abbattersi sul capo delle studentesse.
In 36 atenei nazionali, le materie vietate alle ragazze passeranno infatti da due a 77.
Discipline quali contabilità, letteratura persiana e anglosassone, geografia nonchè alcune branche della chimica e parecchie specializzazioni ingegneristiche diventeranno appannaggio esclusivamente maschile.
Le ragioni di queste misure scandalosamente restrittive e sessiste non sono affatto chiare e comprensibilmente hanno suscitato vive reazioni tra i critici oppositori del presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Il giornalista Minou Badiei, ad esempio, ha ventilato l’ipotesi di un preciso disegno appositamente tracciato dai vertici del potere, perchè, sostanzialmente “vogliono che le donne stiano a casa e siano private di ogni diritto sociale, educativo, professionale”.
Dalla voce di certe agenzie di stampa traspare inoltre qualche ulteriore segnale d’allarme sociale: le notizie diffuse in merito lasciano infatti intuire che 270 materie verranno sottoposte ad attento esame da parte degli esperti di didattica, in modo da cancellare nei limiti del possibile la mentalità occidentale da programmi e testi scolastici.
L’Iran intellettuale è ovviamente in subbuglio e non esita a individuare nelle drastiche decisoni del regime l’ennesimo tentativo di indebolire il movimento femminista locale.
“Dalla politica di segregazione si evince l’imposizione di quella cultura patriarcale che punta a rafforzare il ruolo della donna in ambito domestico per svilirne la visibilità e la potenzialità di affermazione sociale”, ha ribadito in una lettera aperta alle Nazioni Unite Shirin Ebadi, celebre avvocatessa insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2003 e paladina dell’universalità dei diritti femminili.
Alcuni esponenti del mondo accademico poi, come il rettore dell’Università della Tecnologia Petrolifera Gholamrez Rashed, ribadiscono la propria contrarietà alla presenza delle donne nelle aule e Mohammad Hossein Ramesht, cancelliere dell’ateneo di Isfahan, ricorda l’alto tasso di disoccupazione che in Iran continua ad affliggere la maggioranza delle laureate. Come dire: per le donne, studiare è del tutto inutile e inopportuno.
Qualcuno, però, è fortunatamente di parere opposto. Radio Zamaneh, emittente in lingua persiana con sede ad Amsterdam attribuisce l’intera responsabilità della bieca manovra al supremo leader religioso, l ‘Ayatollah Khamenei, che sin dal 2009 ha indicato le università come “terreno fertile per la nascita di comportamenti eversivi e non conformi ai principi islamici”.
Dal canto suo, la potentissima casta clericale non ha dimenticato di rammentare anche il pericolo eventuale che un alto livello di istuzione possa magari indurre le donne ad accantonare quei progetti di maternità e matrimonio ritenuti irrinunciabili per il benessere del paese e prerogativa unica ed essenziale del sesso femminile.
1 commento
Beh, senza voler paragonare la nostra situazione a quella delle iraniane, ma anche qui ci stanno rimandando a casa a fare le serve all’uomo, sottopagandoci e proponendoci lavori da schifo, e guai se vogliamo qualcos’altro che non un uomo e/o l’ennesimo lavoro precario.