di Luciano Anelli
Italiani e stranieri. L’immigrazione non dovrebbe essere un problema, visto che se ne parla da vent’ anni. Se ne è discusso a Taranto durante ”Lectori in fabula”
Igiaba Scego e Alessandro Leogrande sono due cittadini italiani che hanno dialogato di immigrazione nell’ambito della manifestazione “Lector inFabula – Democrazie al bivio”, svoltasi a Conversano. Due cittadini italiani che preferirebbero non dover parlare dell’immigrazione come di un problema. Il problema c’è però, è politico e dura da più di vent’anni.
Alessandro Leogrande, nato a Taranto nel 1977, è vicedirettore del mensile “Lo straniero”. Cura una rubrica settimanale sul “Corriere del Mezzogiorno” e collabora con quotidiani e riviste, tra cui “Saturno”, inserto culturale de “il Fatto Quotidiano”. Ha raccontato con reportage narrativi le nuove mafie, i movimenti di protesta, lo sfruttamento dei braccianti stranieri nelle campagne: Le male vite. Storie di contrabbando e di multinazionali; Nel paese dei vicerè. L’Italia tra pace e guerra; Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud (Mondadori 2008), con cui ha vinto il Premio Napoli – Libro dell’Anno, il Premio della Resistenza Città di Omegna, il Premio Sandro Onofri, il Premio Biblioteche di Roma. Ha curato le antologie Nel Sud senza bussola.
“La legge che lega il permesso di soggiorno al posto di lavoro, in un paese dove il lavoro si coniuga nei termini di precariato e lavoro nero, produce clandestinità. I lavoratori inoltre non hanno diritto di voto, proprio come i braccianti meridionali nei primi del ‘900, nonostante paghino regolarmente le tasse.” sostiene Leogrande. Due avvenimenti, negli anni ’90, hanno segnato profondamente il nostro paese: lo sbarco di 27.000 profughi albanesi nel porto di Bari nel 1991 e l’affondamento della Kater I Rades, nel 1997, speronata dalla corvette Sibilla nel canale d’Otranto provocando la morte di 81 persone . Questa seconda ondata migratoria vede il crinale dell’opinione pubblica cambiato, per la prima volta vengono applicate forme di respingimento verso il mare. “Riempire di storia le navi che affondano è un atto politico nei confronti della dimenticanza, è nostro intento dare dignità di racconto umano a storie che noi stessi non percepiamo come tali.” prosegue Leogrande.
Alle 18.57 del 28 marzo 1997 una piccola motovedetta albanese stracarica di immigrati, la Kater i Rades, viene speronata da una corvetta della Marina militare italiana, la Sibilla. In pochi minuti l’imbarcazione cola a picco nel Canale d’Otranto. È la sera del Venerdì Santo. I superstiti sono solo 34, i morti 57, in gran parte donne e bambini, 24 corpi non verranno mai ritrovati. È uno dei peggiori naufragi avvenuti nel Mediterraneo negli ultimi vent’anni. Ma soprattutto è la più grande tragedia del mare prodotta dalle politiche di respingimento.
Alessandro Leogrande ha indagato a lungo sul naufragio del Venerdì Santo: ha incontrato i sopravvissuti e i parenti delle vittime, i militari, gli avvocati, gli attivisti delle associazioni antirazziste e ha girato per le città e i villaggi dell’Albania da cui sono partiti i migranti. Tutto riportato nel suo libro “Il Naufragio-Morte nel Mediterraneo”.
Igiaba Scego è nata in Italia nel 1974 da genitori Somali. Dopo la laurea in Letterature straniere presso la Sapienza di Roma, ha svolto un dottorato di ricerca in Pedagogia all’Università di Roma Tre e attualmente si occupa di scrittura, giornalismo e di ricerca incentrata sul dialogo tra le culture e la dimensione della transculturalità e della migrazione. Scrive su “l’Unità”, “Internazionale” e su molte riviste che si occupano di migrazioni e culture africane, tra cui “Nigrizia”. Tra i suoi libri, Pecore nere (Laterza 2005) e Oltre Babilonia (Donzelli 2008). Collabora alla sezione “suoni e parole delle migrazioni” del progetto confini promosso dalla fondazione lettera27. Nel 2011, ha vinto il Premio Mondello come autrice italiana, con La mia casa è dove sono edito nel 2010 da Rizzoli.
“Mi occupo di immigrazione perché mi occupo di me, sono figlia di genitori somali venuti in Italia dopo il colpo di Stato del ’69. L’Italia non era una meta qualsiasi. La Somalia era uno di quei paesi che l’Italia aveva colonizzato. Io ho imparato l’italiano e l’Inno di Mameli in Somalia. Nonostante il grande movimento di scrittori migranti, i cosiddetti stranieri di seconda generazione, e la voglia di comunicare, raccontare storie dimenticate, le problematiche sono sempre le stesse da più di vent’anni, l’Italia produce stranieri non cittadini.” dice Igiaba Scego. Bisognerebbe semplicemente liberarsi dalla pesante maschera della retorica e rendersi conto che, per dirla con le parole di una giovane scrittrice senza aggettivi, raccontare l’immigrazione equivale a raccontare l’Italia.
Quando è scoppiata la guerra in Somalia Igiaba aveva sedici anni e stava a Roma. Non sapeva che per due anni non avrebbe più avuto notizie di sua madre. Non sapeva che la guerra si porta via tutto, anche l’anima. Igiaba è nata a Roma perché suo padre, ex ministro degli Esteri somalo, ci veniva a “studiare la democrazia” negli anni Cinquanta. Era rimasto stregato dalla sensazione che in quella città si potesse ricominciare a sognare. Se ne ricordò tanti anni dopo, quando il colpo di stato di Siad Barre costrinse lui e la famiglia all’esilio in un altro paese. Per questo Igiaba per lungo tempo ha sentito parlare della sua terra solo attraverso le fiabe della madre e i racconti nostalgici dei fratelli, che ricordavano i fasti passati. Lei della sua infanzia romana ricorda bene invece gli insulti dei compagni di classe per il colore della sua pelle e le incursioni a Trastevere con la madre, nel cuore della notte, per avere un po’ di pasta e qualche vestito dalle associazioni del quartiere. Ora è diventata la voce ironica e intensa della seconda generazione, sospesa tra il fascino per le proprie radici e l’amore per la terra in cui è cresciuta. “La mia casa è dove sono”, il suo ultimo libro, è il racconto di cosa significa portarsi dietro la propria casa in un paese nuovo, delle difficoltà di essere accolta, accettata, amata. È la storia di Igiaba ma, in fondo, parla di noi.
All’incontro ha fatto da moderatore Eric Jozsef, giornalista francese, corrispondente in Italia del quotidiano Libération e del giornale svizzero Le Temps. Vive in Italia dal 1992.
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