Le uniche voci fuori dal coro sono quelle, per ora, di Irshad Manji, autrice dell’intenso Quando abbiamo smesso di pensare? e di Maryam Namazie,attivista iraniana che da Londra è sempre la prima a denunciare,a nome di One law for all, i rischi del fondamentalismo islamico. Il resto è un coro bipartisan nel quale si condanna la satira e chi la pubblica, definendola incitamento all’odio, e poi si deplorano le violenze dei fanatici islamisti. Si chiudono le scuole, si blindano i quartieri, i toni e gli scenari sono quelli bellici ai quali siamo stati abituati leggendo libri di fantapolitica o vedendo al cinema i thriller a loro ispirati.
Si dice, a proposito dei fanatici che hanno già ucciso e provocato feriti e macerie, che siano una minoranza, rispetto alla maggioranza moderata del mondo musulmano e allora la domanda è: dove sono? Perchè non parlano? Per quale motivo si dà così poco spazio a questa maggioranza moderna e laica che non approva il fanatismo religioso islamico, che invece sembra tenere in scacco ormai quasi dovunque i movimenti della primavera araba?
Vorrei raccontare un episodio recente che mi ha messa di fronte ad uno degli errori a mio parere più gravi che in Italia continuiamo a fare, per ignoranza e malinteso senso di accoglienza, rispetto alla questione islam: in una iniziativa politica alla quale sono stata invitata doveva partecipare anche una rappresentante di un paese a maggioranza musulmana, una attivista laica, non velata, giovane. All’ ultimo minuto, come può capitare, l’ospite ha avuto un problema, e ha comunicato che non avrebbe potuto partecipare. Invece di verificare se era possibile avere presente un’altra attivista della stessa area (o rinunciare) si è scelto di invitare una donna, sempre dello stesso paese, ma di tutt’altra appartenenza: velata e religiosa. Chiaramente la piega che ha preso il dibattito è stata molto diversa da quella originale: l’intervento della giovane islamica è stato decisamente sotto l’egida delle parole del Corano, una vera e propria lezione confessionale. Quello che credo sia davvero pericoloso è confondere i piani: si può provenire da un paese musulmano ma non necessariamente si è fedeli religiosi dell’islam, così come lo si può essere e, nel caso si sia donna, si può non portare il velo.
C’è differenza tra invitare ad un dibattito don Gallo piuttosto che un porporato fedele all’attuale pontefice, così come ci sono rabbini progressisti e rabbini tradizionalisti, così come c’è differenza tra scegliere una voce valdese o una buddista. Tra Lorella Zanardo e l’ex ministra Carfagna c’è un abisso, e invitare l’una o l’altra determina il taglio che vogliamo dare ad una iniziativa e significa dare voce ad una o un’altra visione delle donne e delle relazione tra i generi. Voglio dire che scegliere di dare voce e visibilità alle donne (e agli uomini) che lottano, in occidente come nei paesi d’origine, per la laicità, per la separazione tra stato e religione, per il primato della sfera pubblica priva di connotazioni confessionali (dalla scuola alla giustizia, scongiurando i rischi, già reali in Inghilterra e in Canada, paesi nei quali già sono in opera i tribunali islamici della shaaria per le dispute familiari nelle comunità islamiche, fortemente voluti dagli iman fondamentalisti) significa affermare che non c’è un solo islam, un solo oriente, un solo monolitico mondo arabo e musulmano, così come nel esiste solo un occidente o un cattolicesimo, o un solo modo di essere credenti.
C’è, poi, la grande questione della libertà di espressione, di stampa e di critica. Ho visto alcuni spezzoni dell’ultimo film che ha scatenato la furia omicida dei fondamentalisti, e ho intuito che era un brutto prodotto. Non sempre, anche in Italia, la satira, sia essa televisiva, scritta o a fumetti è intelligente, anzi è difficile che percentualmente lo sia, e più di tutto è estremamente difficile che non sia misogina, persino violenta, solitamente contro le donne o gli omosessuali. Ma, a parte, cori censori che invocano misure restrittive, e sacrosante stigmatizzazioni e reazioni indignate e ragionate, non si assaltano scuole, giornali e sedi politiche, e se questo accade, (non dimentichiamoci che il regista Theo van Gogh di è stato ucciso nel 2004 per Submission, film invece non volgare o grottesco, incentrato sulla violenza dell’islamismo contro il corpo femminile) non si smette di esercitare un diritto che viene sospeso solo, (e non a caso), nelle dittature di ogni colore. Tacere su quello che sta accadendo nel mondo arabo e musulmano, giustificare la violenza contro la (pur brutta) satira significa creare una breccia pericolosa nel diritto alla libertà di stampa, di critica e di satira, che non può avere limitazioni di fronte a nessuna espressione di fede. Se si ammette questo, siamo già in mano al fondamentalismo.
1 commento
Sono d’accordo con le tesi di fondo, guai a rinunciare al diritto alla libertà di stampa.