di Caterina Dela Torre
”Io e te” prende spunto dal romanzo omonimo di Ammaniti ma che a differenza di questo lascia una porta aperta alla speranza.
Un film d’autore che porta la firma di Bertolucci. Segue la trama del romanzo ma preferisce dare un fine lieto o quanto meno lasciare il finale aperto.
La storia del quattordicenne Lorenzo con evidenti difficoltà di rapporto con i coetanei tanto da avvalersi dell’aiuto di uno psicologo s’intreccia con quella della ‘’sorellastra’’ che incontra nella cantina di casa quando decide ‘d’imboscarsi’ per evitare di partecipare alla settimana bianca con i compagni di classe.
L’incontro/scontro tra i due è disegnato molto vivacemente attraverso gli oggetti presenti nella cantina che appartengono ad un mondo passato (quello della baronessa che aveva venduto la nuda proprietà ai suoi genitori) ma che vengono fatti rivivere dai due fratellastri, come vestigia di un mondo che non c’è più ma che per questo non può far male.
Quel male o indifferenza degli adulti che ha condotto Lorenzo a ‘’fuggire” anche se per poco dalla famiglia ed Olivia, più grande, a prendere le strade del delirio della droga ( la sorellastra venticinquenne che non vede da lungo tempo è tossicodipendente e sta tentando di ripulirsi. Nel frattempo soffre di crisi di astinenza).
Bernardo Bertolucci torna a fare cinema dopo una lunga assenza causata dalla malattia che lo ha costretto su una sedia a rotelle. Ma la sua posizione non eretta sembra aiutarlo a mettersi al livello dei giovani soggetti prendendoli in considerazione invece di guardarli dall’alto come aveva fatto altrove.
Due attori perfetti per il ruolo del film: sono due corpi e due volti che si imprimono immediatamente nella memoria dello spettatore.
Bertolucci, nel un prologo in cui accenna a un immaginario rapporto incestuoso madre/figlio, sembra voler accennare la necessità di guardare invece alle tante solitudini del mondo adulto che a volte sembra non cogliere la confusa ma pressante richiesta di aiuto e di attenzione.
Regia Bernardo Bertolucci. Con Jacopo Olmo Antinori, Tea Falco, Sonia Bergamasco, Pippo Delbono, Veronica Lazar
Film da vedere.
7 commenti
Il film devo vederlo. Ho letto il libro d’un fiato, è stato un colpo allo stomaco, come ogni libro di Ammanniti. Non ho potuto non piangere alla fine. Mi chiedo se riuscirei a sopportare un film che non ne abbia colto la struggente drammaticità e che per amore di cassetta indulga in sdolcinatezze e false speranze. Ho amato la crudeltà del racconto, crudele invero esattamente come il destino di tantissimi giovani tossicomani. E guai a chi la tocca.
Timore ingiustificato quello di Alessandra Rossi, il film non induce false speranze. Solo preferisce dare un’opportunità, ai due ragazzi coglierla.
E’ difficile uscire da una tossicodipendenza ma si può.
Se si può uscire dalla tossicodipendenza? Ma certo che si Letizia, se non lo so io! Ho fatto volontariato in tal senso per anni, mi sono occupata altresì di disagi mentali.
Infatti, dicendo “ho amato la crudeltà”, pensi che avrei mai potuto riferirmi alla vita vera? Santocielo no 🙂
Letizia, io parlavo di libri e film!! Che pure quando si ispirano alla realtà, sempre arte resta.. E come tale ognuno la gradisce secondo suoi canoni.
Sia in cucina che nell’arte – pensiero personale – le reinterpretazioni di soggetti originali raramente mi soddisfano. C’est tout.
Era solo per consigliarti di andarlo a vedere senza timori, e solo in virtù del fatto che è un gran bel film. Se però preferisci mantenere intatto il sapore del libro…vedi tu, qui quella crudeltà non c’è.
Era solo per consigliarti di andarlo a vedere senza timori, e solo in virtù del fatto che è un gran bel film. Se però preferisci mantenere intatto il sapore del libro…vedi tu, qui quella crudeltà non c’è. Anche se Ammaniti ha partecipato alla sceneggiatura.
Cara Letizia, chiedo venia per non aver altresì palesato la mia ammirazione per Bernardo Bertolucci, un altro grande talento e soprattutto un altro grande pensatore. E più metto insieme lui ed Ammanniti in questo particolare contesto, più resto perplessa circa l’interpretazione “speranzosa” del racconto.
Uscendo dal contesto artistico, mi par di capire che entrambe concordiamo sul fatto che sia necessario seminare e divulgare speranza ed ottimismo. Specie laddove c’è tanta sofferenza, come ad esempio nelle strutture che aiutano i tossicodipendenti. E’ proprio lì che devono stare le persone che credono nel recupero possibile e non mollano mai :).
Diciamo che Bertolucci ha qualche motivo in più di noi per seminare speranza se non proprio ottimismo…dal basso della sua sedia ‘elettrica’ 🙂