TUTTO E SUBITO?
In anni passati “tutto e subito” era uno slogan assai frequentato dai giovani di una generazione che chiedeva al mondo libertà, lavoro, divertimento, realizzazione personale, e lo chiedeva in tempi brevi. Oggi, al contrario, sembra di vivere il tempo del “niente e mai”. E per le donne la frase assume un significato particolarmente doloroso.
Ne sa qualcosa Anne Marie Slaughter, americana, coniugata, madre di due figli in piena tempesta ormonale e fino a pochi mesi fa “donna in carriera”. Una carriera importante. La Slaughter lavorava infatti al Dipartimento di Stato, prima donna a essere stata nominata Director of Policy Planning, tra le più strette collaboratrici della signora Clinton. Lavoro gratificante e impegnativo. Anzi massacrante. Orari impossibili, trasferte continue, riunioni che si susseguono a ritmi serrati. E una sera Anne Marie dice basta. Rivuole la sua vita. E si dimette. Senza pentimenti o ripensamenti.
Lo fa con un certo clamore, scrivendo, per la prestigiosa rivista Atlantic Monthly un pezzo dal titolo significativo: “Why Women Still Can’t Have it All”, ovvero “Perché le donne non possono ancora avere tutto”. Dove per tutto si intende professione, famiglia, figli, una vita sociale e personale ricca e realizzata. E diciamocelo, oggi come oggi questa sembra una conquista ben lontana da essere raggiunta. Nei vecchi e nei nuovi continenti. Certo, Mrs. Slaughter, e lo ammette senza timore, è parte di un’elite privilegiata, che può comunque permettersi di fare rinunce dolorose senza che il portafoglio ne risenta più di tanto. E in tempi di crisi come quelli odierni in cui molte donne si affannano per trovare un lavoro o per mantenerlo, non è poco.
Ma l’interrogativo di Anne Marie può interessare tutte le donne, che si tratti di occupate o disoccupate, di manager o di badanti, non si tratta infatti solo di trovare un equilibrio tra professione e famiglia quanto di trovare piuttosto armonia tra il lavoro e la propria esistenza, perché non è detto, come sottolinea la Slaughter, che anche chi di non ha figli non abbia comunque obblighi familiari, madri da accudire, case di cui occuparsi, spese da fare, pasti da cucinare. E coniugare tutto ciò diventa sempre più difficile. Gran parte di questa impossibilità ad ottenere ciò che desideriamo è data certo dalla mancanza di incentivi e strutture adeguate che ci aiutino e ci sollevino, nonché dalla ancora scarsa collaborazione offerta dai nostri compagni e mariti (a differenza di ciò che accade Oltreoceano), ma soprattutto dal fatto che i ritmi e i tempi dell’organizzazione del lavoro siano quasi esclusivamente “machi”, a misura d’uomo.
Però il fatto che l’articolo della Slaughter abbia riscosso consensi soprattutto tra le donne delle giovani generazioni dovrebbe far riflettere tutte quante noi. Perché lo slogan “Women Can have it all”, urlato nelle piazze, sbandierato sui giornali, finito persino sui magneti che appiccichiamo sui nostri frigoriferi, a sentire le ragazze di oggi, suscita solo ansia, aggiunge stress e responsabilità alle nostre già troppo stressate esistenze. Forse perciò è giunto il momento di ragionare sui tempi, le priorità, le esigenze di noi donne. Fino a dove siamo disposte a spingerci per arrivare a quello che più che successo chiamerei realizzazione personale? Quali rischi siamo pronte a correre? E soprattutto siamo sicure che le modalità della nostra realizzazione siano state da noi decise? O non sono invece sempre modelli maschili quelli a cui facciamo riferimento? In poche parole per essere una donna di successo, nel senso più profondo del termine, bisogna essere uomo? Rinnegare la nostra anima femminile? E il mito della superdonna, quello della “wonder woman”, la donna bionica che tutto fa e tutto può, non ha fatto forse il suo tempo? Non ci si sta ritorcendo contro?
E se invece, a sorpresa, cominciassimo a contemplare la “slow woman”? Una nuova slow woman?