Molte mamme lavoratrici, anche quando sono convinte e contente della loro dimensione materna come anche di mantenere fermo il loro lavoro, sono spesso attanagliate dai sensi di colpa.
“Quando sono al lavoro, penso a mio figlio e mi sento in colpa perché vorrei essere con lui; quando sono con lui e mi chiede di giocare e stare insieme, mi sento fagocitare dal pensiero delle cose che devo fare sia per casa che per il lavoro”. In questi termini, una giovane madre libero professionista mi descriveva il suo sentirsi costantemente inadeguata sia a casa che al lavoro, in preda a sensi di colpa e quindi a un costante stato di tensione e di stress.
Perché noi mamme siamo spesso vittime di sensi di colpa nei confronti dei nostri figli e magari anche del lavoro?
Dietro a questo fenomeno dilagante e spesso motivo di disagio (stress, ansia e depressione), ci sono vari motivi.
Per quanto ciascuna donna abbia la propria storia personale e familiare, possiamo fare alcune riflessioni generali.
Intanto iniziamo col dire che le donne di oggi si trovano a vivere un’epoca storico-sociale di transizione e quindi come tale, complessa e difficile.
Infatti tante trentenni e quarantenni di oggi che si approcciano alla maternità proprio nel periodo in cui anche il loro lavoro e la loro carriera richiedono molte energie per decollare, hanno alle spalle mamme e nonne spesso casalinghe e madri a tempo pieno. Pertanto si trovano a confrontarsi con un modello interiore di madre che risulta distante e diverso rispetto alla dimensione di maternità che si trovano loro in prima persona a vivere. E questo può determinare sentimenti di disorientamento, sensi di colpa e di inadeguatezza.
A tal proposito, ricordo le parole di una giovane madre che nel descrivermi il suo costante senso di insoddisfazione, portava il confronto con la madre (all’epoca casalinga e madre a tempo pieno) che la faceva sentire sempre inadeguata: “non tengo abbastanza in ordine la casa”, “non sono brava nel far trovare sempre un pasto decente e caldo a mio marito e a mio figlio”, “non sono precisa come mia madre”… Questa giovane donna partiva da un errore di fondo: aveva fatto una scelta di vita diversa rispetto a sua madre e quindi decidendo di lavorare, inevitabilmente non poteva dedicarsi alla casa e alla famiglia con le stesse energie e lo stesso tempo della madre; tuttavia questo non significava che fosse da meno.
Il contesto sociale non aiuta, perché quando si parla di figli e soprattutto quando si presentano difficoltà, la prima ad essere messa sul banco degli imputati è la madre: “è agitato perché la madre non è molto presente”; “è distratto perché la mamma”… La storia della psicologia parla chiaro: fino a non tantissimo tempo fa, addirittura la responsabilità di patologie gravi, come l’autismo o l’anoressia, venivano attribuite a madri fredde e anaffettive.
Inoltre è ancora dilagante la convinzione popolare che i figli abbiano bisogno di madri sempre e comunque presenti per essere sereni, laddove, al contrario, le ricerche scientifiche hanno oramai da tempo evidenziato che la serenità dei bambini dipende dalla serenità e dall’amore dei genitori piuttosto che dalla quantità di tempo trascorso insieme.
A tal proposito, Katherine Ellison, nel suo libro “Il cervello delle mamme”, ricorda un articolo del New York Times pubblicato nel 2004, in occasione della festa della mamma, in cui venivano messe a confronto mamme lavoratrici con mamme casalinghe. In merito al grado di benessere e di soddisfazione personale, emergeva una significativa differenza a favore delle madri lavoratrici che si descrivevano soddisfatte nell’85% dei casi contro il 77% delle madri casalinghe.
Pertanto se è vero che la depressione della madre costituisce un fattore di rischio per la depressione nei figli, allora è auspicabile che l’essere appagate e soddisfatte da parte delle madri (lavoratrici) possa incidere in modo significativo nel favorire il benessere e la serenità dei figli.
Come scrive Lilli Gruber nel suo ultimo libro “Streghe” (2011), “i media continuano a proporre come modello mogliettine felici e madri prolifiche, una rappresentazione della femminilità rimasta sostanzialmente invariata fin dagli anni cinquanta. Invece le donne vogliono i figli ma anche un lavoro”.
La donna – molto di più dell’uomo – è anche vittima di un costante e martellante bombardamento di must: “devi essere una brava madre”, “devi essere una brava donna di casa”, “devi essere efficiente”, “devi produrre”, “devi essere bella e in forma”… E nessuna di noi rimane indenne da queste doverizzazioni, soprattutto laddove non vi è consapevolezza e non vi sono gli strumenti per affrontarle e gestirle.
Infatti quello che schiaccia molte madri e donne in generale, è il forte senso del dovere e in linea con questo, la pretesa esagerata di essere efficienti su tutti i fronti, di dare il massimo e magari di avere tutto sotto controllo… a parte chiaramente il termometro dello stress e dell’ansia, che nel frattempo sale alle stelle!
A ciò si aggiunge il fatto che il mondo del lavoro è ancora misurato e calibrato su parametri maschili e questo non aiuta la conciliazione lavoro e famiglia, laddove peraltro il carico familiare grava ancora prevalentemente sulle spalle della donna.
In questo scenario di pressioni, è naturale che possa scattare il senso di inadeguatezza sia rispetto alle richieste lavorative sia nel far fronte al carico familiare, e alla fine chi ne fa le spese in termini di stress e ansia è la donna.
Alla luce di quanto detto, risulta chiaro che sebbene il contesto sociale e gli stereotipi culturali non aiutino, molto dipende da noi donne. Se impariamo a gestire la pretesa (irrealistica e utopistica) di dover far tutto e far tutto bene, se ci alleniamo a delegare compiti e attività che magari possono essere svolti da altre persone e impariamo a vivere il momento presente (sia al lavoro che con i figli) senza pensare a quello che manca o che dovrà essere fatto, i sensi di colpa si attutiscono drasticamente e finalmente si può iniziare a respirare, a sentirsi meno appesantite e magari a trovare soddisfazione e piacere in quello che si fa.
Inoltre prendiamo le distanze dagli stereotipi che ci vogliono mamme e solo e comunque mamme e incominciamo a vedere il lavoro per quello che veramente può rappresentare, ovvero motivo di soddisfazione e realizzazione personale, quindi di serenità nostra e indirettamente anche dei figli e della famiglia.