Avere o meno un figlio sia prima di tutto una scelta personale oltre che di coppia e che come tale, deve essere rispettata.
Prendo spunto nello scrivere questa pagina da un articolo uscito la scorsa settimana sulla rivista “Grazia” che porta la firma di Chiara Brusa Gallina. Un articolo che ha fatto scalpore e che, non lo nascondo, ha suscitato anche la mia curiosità, tanto che dopo aver sentito la notizia alla radio, mi sono precipitata in edicola per leggere di cosa si trattava.
L’articolo, dal titolo tanto accattivante quanto provocatorio – “E’ vero che le donne intelligenti non fanno figli?” – nasce dalla riflessione su un libro scritto da una femminista americana, Jessica Valenti, la quale – sebbene madre di una bambina – sosterrebbe nel suo libro “Why have kids?” che ci sono validi e seri motivi per non avventurarsi nell’esperienza della maternità.
Per quanto ammetto in tutta sincerità che non conosco questo libro e quindi non posso esprimermi al riguardo prima di averlo letto, credo che possa comunque già il titolo essere uno spunto più che valido per riflettere sul perché vogliamo diventare madri.
Infatti se un tempo la donna assumeva una propria identità e realizzazione personale nel far figli e nell’accudire la prole (questo era il suo compito principale, a parte la cura della casa e il preparare da mangiare), ad oggi non è più così. La donna, al pari dell’uomo, si può realizzare e quindi trarre gratificazione in vari ambiti e in vari modi; la maternità rappresenta solamente una dimensione della propria vita e del proprio essere donna, non più l’unica ed esclusiva.
Eppure sono comunque in tante le donne che nonostante percorsi di studio impegnativi, lavori – talora anche con ruoli e incarichi importanti – e una vita sociale e personale appagante, cercano e desiderano avere figli. Perché?
Perché nonostante l’evolversi dell’idea e del concetto di essere donna e nonostante siano stati fatti passi in avanti in merito all’emancipazione femminile, il desiderio più antico di questo mondo continua a rimanere forte e ancorato in molte di noi?
Iniziamo col dire che non tutte desiderano avere dei figli e quindi prendiamo le distanze da posizioni assolute e rigide: “tutte vogliono figli” oppure “no kids”.
Ritengo che avere o meno un figlio sia prima di tutto una scelta personale oltre che di coppia e che come tale, debba essere rispettata. Non possiamo partire dal presupposto che una donna debba necessariamente essere madre per sentirsi completa e appagata o al contrario, come si legge nell’articolo, se è intelligente e ha un curriclum doc non sceglie di fare figli.
La popolazione femminile che opta per la maternità è molto variegata: ci sono donne comuni e donne con livelli d’istruzione alti, altre ancora con lavori e incarichi importanti; e ancora, donne con famiglie alle spalle pronte a fornire supporto e aiuto e altre che non possono contare su ausili familiari, donne con condizioni economiche agiate o quantomeno decorose e altre in lotta con le difficoltà di far quadrare il bilancio familiare a fine mese… un mondo di donne diverse ma tutte accomunate dal desiderio di avere figli.
Sono in tanti a pensare, come la filosofa Francesca Rigotti autrice del libro “Partorire col corpo e con la mente”, che il desiderio di maternità sia in realtà un bisogno primario che ad un certo punto della propria vita incomincia ad emergere fino ad intensificarsi, anche se realizzato ad età e in tempi diversi e talora, invece, non concretizzabile.
Altri studiosi ancora vedono nella maternità la concretizzazione della generatività che ciascuno di noi ha interiorizzato e che trova una delle sue espressioni proprio nell’accudimento e nella crescita dei figli.
Forse molto più genericamente si può pensare che ciò che spinge una donna a cercare la maternità possano essere fattori in parte genetici e biologici (siamo geneticamente predisposte per procreare) e in parte psico-affettivi, legati sia alla propria idea di donna e quindi alle aspettative e progetti ad essa legati sia ai modelli femminili di riferimento (a livello familiare e sociale).
Sulla base della mia esperienza professionale, tuttavia posso dire che è difficile fare delle generalizzazioni, perché ciascuna donna è un mondo a sé, con una propria storia personale, di coppia e familiare e quindi i motivi che possono spingere alla maternità possono essere vari e diversi.
E non credo che sia tanto importante soffermarsi sul perché, quanto semmai sul fatto che nonostante i tempi moderni, le donne continuano a voler essere anche madri e quindi desiderano avere figli… magari in numero inferiore rispetto al passato, ma comunque li vogliono.
Non solo. Nella concretizzazione di questo loro desiderio, non vedono un ostacolo o un impedimento al portare avanti la propria vita personale e di coppia (anche se all’inizio soprattutto, non è semplice) e anche il proprio lavoro, ma semmai un arricchimento e una spinta in più.
In linea con quello che scrive Katherine Ellison nel suo libro “Il cervello delle mamme”, essere madre aumenta e determina lo sviluppo di varie potenzialità e capacità, in virtù anche e soprattutto di un cervello plastico che si modella sulla base delle esperienze che viviamo e degli apprendimenti che acquisiamo.
Sebbene voglia dedicare uno spazio ad hoc a questo tema, non posso intanto esimermi dal dire che queste capacità e abilità costituiscono un plus-valore utile e importante anche nelle altre dimensioni della vita, incluso il lavoro.
Citando il titolo del libro di Ann Crittenden, possiamo sintetizzare dicendo che “If you’ve raised kids, you can manage anything” (“se hai allevato figli, puoi fare tutto”), perché “the leadership begins at home”.
Purtroppo, a parte qualche felice eccezione, questo potenziale non è ancora riconosciuto e valorizzato né da parte del mondo del lavoro né da parte delle donne stesse che, prigioniere di stereotipi e pressioni sociali come anche gravate dalla mancanza di aiuti in termini di conciliazione, spesso finiscono per rinunciare (parzialmente o totalmente) al proprio percorso professionale e/o vivere male la propria dimensione di madri lavoratrici.
3 commenti
Il titolo del libro della Valenti è provocatorio e semplificante (così si vende). Di fatto c’è una relazione tra aumento del livello di istruzione femminile e riduzione del tasso di fecondità in un Paese. Intelligenza e istruzione certo non coincidono, ma questa relazione credo manifesti che il desiderio di maternità varia in rapporto al contesto sociale e alla cultura di una donna. Il desiderio, questo come tutti gli altri, nella società umana è sempre mediato dal simbolico, quindi dalla cultura. Penso che sia importante dirlo, oggi che il ruolo materno sta tornando in auge come il non plus ultra della realizzazione dell’essere donna (e fa tanto comodo in un sistema economico in cui il lavoro di cura non è retribuito né valorizzato). Ho cercato di dare un quadro della complessità della scelta nel mio libro che raccoglie testimonianze di donne senza figli “Una su cinque non lo fa. Maternità e altre scelte” (F. Angeli 2012).
Plaudo all’articolo, profondo e tuttavia conciso, nel suo toccare i punti salienti. Ma anche al commento di Eleonora.
Aggiungo solo che essere madre credo sia anche una “faccendo bio-chimica”. Vero che la cultura in cui si vive ci orienta circa gli ideali (più o meno materni) da seguire, ma suppongo anche che, come accade in tutte le specie, ci siano femmine della nostra che “dal profondo” non sentono di aver voglia di maternità.
Ce ne sono tante che nonostante questo partoriscono e poi crescono male (o anche malissimo, a seconda del grado di disadattamento alla condizione genitoriale) i figli. Magari non hanno avuto altra scelta che sposarsi e partorire… Ma in un contesto culturale diverso si sarebbero dedicate ad altro.
Essere madre è un conto. Essere una madre completa, un altro.
Mai avuto istinto materno e mi sono sentita dire di tutto, arida, egoista,incompleta, invecchierai sola.
Tra l’altro sono gay, sono precaria, ho pochi soldi, acciacchi di salute, e ho più di 40 anni. Ma niente, periodicamente trovo ancora chi mi rompe l’anima con sta storia.
Chi vuole i figli li faccia, riflettendo su sovrappopolazione, esaurimento delle risorse e prospettive basse di indipendenza dei figli, ma lasciamo che chi i figli non li vuole possa vivere liberamente la sua scelta.