Il mondo del lavoro ha bisogno anche di mamme”)
Personalmente sono sempre stata convinta che come le donne– incluse le mamme – possono apportare un importante e significativo contributo nel lavoro e nella società (vd. post “Il mondo del lavoro ha bisogno anche di mamme”), ritengo con altrettanta fermezza che anche lavorare e quindi avere un’occupazione possa avere un impatto positivo sulle mamme e indirettamente anche sui figli e sulla famiglia.
E’ vero che oggi – tolte le doverose eccezioni sempre più rare e preziose – lavorare risponde prima di tutto a criteri di necessità, perché mantenere una famiglia con un solo stipendio è assai difficile e arduo con i costi della vita che continuano ad aumentare; come è altresì vero che lo status di “non lavoratore” spesso non risponde tanto ad una questione di scelta personale, bensì rappresenta una conseguenza forzata della crisi generale e quindi della mancanza di offerta lavorativa.
Tuttavia nonostante questa fotografia della realtà storico-sociale ed economica attuale, vige ancora la credenza popolare che per una donna, madre di famiglia, sia meglio starsene a casa ad occuparsi dei pargoli e della casa e cosa ancora più importante, queste convinzioni sono spesso interiorizzate dalle donne stesse che vivono con fatica e sensi di colpa la loro dedizione al lavoro, soprattutto se l’impegno richiesto è intenso.
Recenti ricerche evidenziano come la realtà sia sostanzialmente diversa, in quanto le mamme più serene – tolte le doverose eccezioni che confermano la regola – risultano essere quelle che lavorano (magari part-time o comunque con margini di flessibilità) rispetto alle madri full-time, dedite completamente a figli e cura della casa.
A tal proposito, nel 2004, in occasione della festa della mamma, il New York Times pubblicò un articolo in cui mettendo a confronto madri lavoratrici e non, emergeva un maggior livello di benessere e soddisfazione personale nelle prime.
Non solo. I figli stessi interpellati al riguardo, si dicono più soddisfatti se la mamma lavora, come emerge da un’indagine condotta dall’associazione “Donne e qualità della vita” che fa capo alla Dottoressa Serenella Salomoni.
D’altronde se è vero che la depressione materna può costituire un fattore di rischio per la depressione nei figli, allora è auspicabile che la serenità e la soddisfazione delle madri (lavoratrici) possa avere un’influenza positiva anche sui figli.
Perché il lavoro può fare bene alle mamme?
In primo luogo, come oramai abbiamo già detto più volte, il lavoro costituisce un mezzo e una modalità per realizzarsi e gratificarsi, per esprimersi e affermare i propri pensieri e progetti, oltre a contribuire fortemente allo sviluppo di un’identità sociale della persona, e tutto questo non può che avere un impatto positivo sul benessere personale come anche sulla stima e sulla fiducia in se stesse.
Inoltre lavorare significa anche stare a contatto con gli altri, avere occasioni e opportunità di relazionarsi e confrontarsi con altre persone, e quindi stimolo di crescita e arricchimento personale.
Il sentirsi e l’essere impegnate anche outside può contribuire – soprattutto se l’ambiente lavorativo e il tipo di lavoro sono soddisfacenti e appaganti – anche alla serenità e alla soddisfazione personale. Non dimentichiamo, infatti, che la socializzazione rappresenta un potenziale fattore protettivo rispetto allo sviluppo di sintomi depressivi.
Il nostro essere in contatto con l’esterno, costituisce anche una prima modalità indiretta per far conoscere la realtà esterna ai figli, soprattutto se piccoli, e stimolarli a loro volta ad aprirsi agli altri. Nella mia esperienza personale, infatti, molti bambini che ho conosciuto come “casalinghi” e ansiosi nei confronti dell’esterno e delle novità, sono solitamente figli di genitori poco socievoli e con scarse relazioni interpersonali.
In quanto modelli di riferimento per i nostri figli, il vederci impegnate anche sul fronte lavorativo può contribuire a trasmettere loro il valore e la disponibilità all’impegno, che poi viene interiorizzato e fatto proprio.
Infine lavorare significa avere l’opportunità di concentrare le energie mentali e fisiche anche su altro che vada al di là dei figli e della famiglia e questo oltre a costituire un fattore di arricchimento e soddisfazione personale, consente anche di avere minori probabilità di polarizzarsi – talora in modo esagerato con pensieri drammatici o ossessivi – su questioni riguardanti i figli e la casa.
Ho conosciuto donne, almeno nei primi mesi e anni di maternità, ossessionate dall’igiene e dalle cure dei figli e trovare poi un miglioramento e un graduale equilibrio col rientro al lavoro. Fatto assolutamente comprensibile se si tiene di conto che tornare a lavorare implica delegare a qualcun altro (asilo, tata o nonni) il pargolo e quindi non avere oggettivamente la possibilità di esercitare un iper-controllo, e che uscire fuori e magari avere uno scambio e un confronto con altre persone che direttamente o indirettamente vivono o hanno vissuto esperienze simili, consente di ridimensionare e normalizzare ciò che altrimenti rischierebbe di essere talora drammatizzato o ingigantito.
Da persona che crede molto in quello che fa e che si dedica con passione alla propria professione, mi piace condividere l’idea che il lavoro non sia solo uno stipendio da portare a casa, un compito da eseguire (must) ma molto altro, ovvero una potenziale fonte di espressione personale, uno stimolo per sentirsi ed essere attive, di ricarica e soddisfazione, di arricchimento e crescita personale, motivo di benessere e gratificazione personale e quindi di conseguenza, anche familiare.
Francesca Lemmi, psicologa clinica, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e specialista in sessuologia clinica. Oltre alla salute e ai disturbi psichici degli adulti, dall’inizio della sua attività si occupa di prevenzione e cura del disagio infantile e adolescenziale. Ha lavorato prima presso la Neuropsichiatria Infantile e poi presso il Centro per la diagnosi e la cura dei disturbi alimentari del Dipartimento di Endocrinologia dell’Ospedale di Pisa, specializzandosi nella prevenzione e cura dei disturbi alimentari in età evolutiva e adulta. Da anni lavora come libero professionista a Pisa e Viareggio. Lavora come consulente psicologo nelle scuole con progetti riguardanti temi quali l’intelligenza emotiva, lo sviluppo di abilità sociali e di comunicazione, gestione dell’aggressività (prevenzione del bullismo), promozione dell’autostima e orientamento scolastico. Inoltre gestisce progetti di formazione per gli insegnanti. Svolge attività di formazione rivolta a adulti, coppie, genitori e adolescenti e in particolare, da anni si occupa di genitorialità con corsi di formazione per genitori e corsi per la gestione dello stress rivolti a madri lavoratrici.Infine svolge attività di consulente peritale soprattutto in merito a tematiche riguardanti minori.
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