di Maria Cristina Koch
Cambiare può far bene all’aazienda, non solo alle donne.
Colloquio con Luisa Pogliana sui temi del libro ”Le donne il management la differenza”
D. Per iniziare, a cosa serve questo libro?
Serve a cercare di rispondere a una domanda, a un problema che prima di tutto io ho vissuto nei molti anni del mio lavoro da manager. Quando sono arrivata a coprire ruoli per cui lavoravo in stretto rapporto con persone del vertice aziendale, ho messo un piede nel mondo del potere. Nel mistero del potere.
E più che altro ho visto che era invece uno sfinimento di riunioni come guerre di galletti, dimostrazioni di chi comanda e quanto, dove il problema reale per cui eravamo riuniti era secondario, liquidato sbrigativamente.
Persino io, che mi consideravo un’ingenua fanciulla di provincia che non capiva niente di management, vedevo con sbalordimento questa cialtroneria dei potenti dell’azienda, e pensavo che fosse un limite mio, un’incapacità di venire a capo di questa insensatezza.
E ricordo bene un paio di occasioni in cui ho rinunciato -proprio deciso di rinunciare- ad assumere ruoli a quel livello, perché pensavo che non sarei stata capace di reggere in quell’ambito. Non è stato un tormento da poco. Ecco, per me questo libro viene da lì.
Poi quando ho lasciato l’azienda, il bisogno di elaborare questa esperienza mi ha portata a scrivere un libro sull’essere donna e manager, che ha suscitato molti incontri di discussione con altre donne. E lì, tra i molti aspetti, ho preso consapevolezza che in realtà era un vissuto comune a molte ed era un nodo irrisolto.
Così, con le mie socie dell’associazione -che nel frattempo abbiamo messo in piedi per ragionare su questi temi- e coinvolgendo altre manager, abbiamo deciso di affrontare questa questione, anche se non è stato facile parlarne.
Abbiamo sentito l’esigenza di cercare una via d’uscita dal paradosso che ci troviamo davanti.
Molte manager, pur capaci e con idee innovative su molti aspetti della vita aziendale, tendono a tenersi fuori dai ruoli decisionali più alti, i posti di potere.
Le ragioni dell’estraneità sono chiare: in azienda il potere è maschile, e si manifesta come dominio e controllo, spesso autoreferenziale, con concezioni, logiche e modalità in cui le donne non si ritrovano.
Perché hanno una diversa concezione del potere: lo intendono come una potenzialità, come possibilità di influenzare le politiche aziendali secondo la propria visione.
Così, quando dicono che non ne vogliono sapere del potere, in realtà stanno dicendo che non lo vogliono così com’è, che questo non è il miglior modo di dirigere un’azienda.
Ecco, con questo lavoro abbiamo cercato di uscire da questa trappola, da questo aut aut tra adeguarsi o escludersi dai luoghi dove le politiche aziendali si fanno.
D. Com’è questa idea diversa di management che viene dalle donne? Qual è l’impatto della differenza femminile?
Colpisce innanzitutto la concezione dell’azienda come luogo in cui convergono soggetti con punti di vista e scopi diversi, ma non necessariamente conflittuali in modo irriducibile.
C’è la convinzione che è possibile -anzi, è necessario- trovare un punto di incontro tra questi interessi, tenere conto di tutte le parti che costituiscono l’azienda e contribuiscono a creare valore: chi detiene la proprietà e le persone che lavorano, le donne e gli uomini.
Le persone non possono star bene se l’azienda va male, l’azienda non può funzionare bene se le persone stanno male.
Qui sta la differenza, che va ben oltre ciò che nelle aziende conosciamo come diversity management, oltre ciò che si definisce leadership femminile.
Definizione che riconduce la differenza a una serie di attitudini femminili, specificate puntualmente. Come una ‘variante tecnica’, complementare al modello manageriale maschile. Un apporto di capacità aggiuntive capaci di rivitalizzare le aziende
lasciando però intatto il modo paradigmatico di intendere l’azienda e la sua direzione.
La differenza femminile nel management si manifesta, piuttosto, in un pensiero che mette in discussione le pretese regole che stanno alla base del modello dominante di management: una delle cause, non solo della penalizzazione delle donne nel lavoro, ma anche dello stato in cui molte aziende versano oggi.
La differenza femminile ha questa portata: allarga e cambia gli orizzonti manageriali, si mostra come fertile e costruttiva rivisitazione del mondo dell’impresa e del lavoro.
D. Qual è allora la portata di questo orientamento?
Ha una portata politica perché informa pratiche di cambiamento, e perché supera il modo oggi dominante di concepire le aziende e l’economia.
Oggi prevale un pensiero fondato sull’idea che ognuno deve perseguire solo il proprio interesse perché l’arricchimento di pochi crea benessere per molti. Inoltre, si è affermata la prevalenza della finanza sull’economia reale, dove conta solo estrarre valore per portarlo altrove, sul mercato finanziario, senza guardare alle conseguenze.
Se valgono questi principi, chi ha il ruolo di manager non ha motivo di interessarsi alle persone che lavorano né di preoccuparsi del futuro dell’azienda.
Ma altre teorie economiche sostengono il contrario: vedono vantaggi per tutti nella cooperazione, e in una adeguata redistribuzione del valore creato.
Ecco, il ruolo manageriale dovrebbe proprio essere in questa direzione, essere questo che viene proposto da molte donne manager: prendersi cura dell’interesse comune in azienda.
D. E’ questo che intendi quando parli di un altro modo di governare le aziende?
Seguendo i pensieri e le esperienze di cui si parla nel libro, siamo partite dal potere e siamo arrivate a parlare di governo. Non sono solo parole.
Il potere non è legato a uno scopo, è una manifestazione di sé che non porta da nessuna parte. Nell’idea di governo la potenza è finalizzata a degli scopi costruttivi.
L’idea di governo esprime una cultura orientata alla guida, allo sviluppo, al cambiamento, al prendersi cura dell’azienda in tutte le sue componenti.
Ci porta vicino a un’idea di agire per il bene di tutti, operando le mediazioni necessarie.
Noi diciamo che a una cultura di potere si può sostituire una cultura di governo.
Per le donne, allora, non si tratta di prendere qualche posto in più nei luoghi decisionali dell’azienda, comunque.
Se non si cambia il modo di concepire i ruoli e di intenderne le finalità, non cambia niente.
C’è invece una grande possibilità di cambiamento se si portano queste idee nei ruoli decisionali più importanti.
E noi diciamo che è possibile.
Molte donne in questi luoghi hanno costruito la loro autorevolezza non facendo propria la cultura esistente, ma portando questa loro visione.
Hanno colto l’opportunità di avere più strumenti per cambiare la realtà aziendale.
E quando questo è avvenuto, anche le aziende hanno colto un’opportunità. Perché i benefici che ne sono venuti sono stati importanti e imprevisti.
Questa alternativa che viene dalle donne non riguarda solo le donne, è un’opportunità da cogliere per tutto il management e per le aziende.
Anche in questo senso noi vediamo la portata della differenza: possiamo dire che mentre la diversità segna un confine, la differenza continuamente lo attraversa.