di Antonio Turi
La giornata mondiale contro la violenza sulle donne ripropone e amplifica un tema quanto mai sensibile dello stato culturale della società occidentale. E dico occidentale perché il tema, da noi, viene declinato in un modo semplicemente impensabile nei paesi del terzo mondo, dove questo tipo di violenza rappresenta semplicemente lo status quo dei rapporti uomo donna e troppo tempo dovrà passare prima che si possa anche solo pensare a un modo nuovo di concepirli.
E proprio in occasione di questa ricorrenza si sente chiedere da ogni parte l’emanazione di una legislazione specifica per questo tipo di delitto, con pene speciali e definite.
Eppure fermo restando la condanna a ogni tipo di sopruso, non posso evitare di pensare che il modo di affrontare il problema di quegli episodi di violenza che sono rivolti contro le donne possa essere fuorviante e creare una serie di equivoci di non poco conto.
Per esempio, cosa significa condannare la violenza contro le donne? Che invece esiste una forma di violenza accettabile? Cioè che contro le donne no, ma contro, che so, i pinguini cileni sì?
Il problema della violenza contro le donne rientra in quell’ambito molto più vasto di riflessione sulla violenza e sull’uso o abuso che se ne fa. Non ha bisogno di nessuna legislazione specifica. Chi colpisce un altro essere umano per futili motivi, soprattutto se si tratta di un soggetto più debole, dovrebbe già trovare nel codice penale il massimo della pena e, di riflesso, i più deboli la tutela di cui hanno bisogno.
Sarebbe un passaggio importante se finalmente le donne si rendessero conto che non esiste un problema della violenza contro le donne ma un problema di concezione della violenza e del suo uso tout court. Se riusciamo a operare una autentica trasformazione culturale in questo ambito, allora avremo un intervento efficace in ambito sociale.
Condannare, per paradosso, all’ergastolo, chi tira uno schiaffo a una donna otterrà, forse, l’effetto che molti uomini di fronte a questa prospettiva invece di colpire la propria donna andranno a sfogarsi in un bar, per strada, in qualsiasi altro luogo nel quale correranno meno rischi. Sicuramente avremo meno donne colpite e percosse, ma più vittime nella società in generale. Sarebbe questa una vittoria per le donne?
5 commenti
Il problema che Turi “ha tentato” di porre mi è chiaro.
Ed è proprio questo il problema.
Quello che vi domando è perché porsi questa domanda solo quando si tratta di violenza sulle donne. Perché non quando indaghiamo altre specificità? Come il razzismo, ad esempio! O la pedofilia.
Perché in questi casi non ci domandiamo se il problema è culturale o penale?
Perché risulta subito evidente, se pesto una persona perché sono un razzista, che devo pagare molto duramente?
Perché ci risultano subito chiare le definizioni, invece quando si tratta di donne… di femminicidio, giù ad analizzare persino se il termine è una bella parola (che poi vorrei sapere perché una parola che indica un orrore dovrebbe essere piacevole…).
Come spiegarmi una frase come questa:
“cosa significa condannare la violenza contro le donne? Che invece esiste una forma di violenza accettabile? Cioè che contro le donne no, ma contro, che so, i pinguini cileni sì?”?
E chi ha mai detto che non vada condannata la violenza contro un pinguino cileno?
E quindi? E’ scontato e banale asserire che nessuna forma di violenza sia accettabile, ma questo che vuol dire? Che non si possa prendere atto delle diverse forme, o cause, o modalità, alle quali far corrispondere risposte diverse?
Se la domanda era: daresti l’ergastolo ad un uomo che usa violenza ad una donna (e non certo uno schiaffo!, come si vuole banalizzare), la risposta è NO, perché sono contraria all’ergastolo. Ma se ci chiediamo se è giusto infliggere una pena certa e commisurata al delitto che si compie, SI, senza alcun dubbio. Una pena formulata apposta per questo tipo di reato. Che ha una sua precisa e chiara specificità!
Come spiegarmi questo:
“Sarebbe un passaggio importante se finalmente le donne si rendessero conto che non esiste un problema della violenza contro le donne ma un problema di concezione della violenza e del suo uso tout court.”
“Condannare, per paradosso, all’ergastolo, chi tira uno schiaffo a una donna otterrà, forse, l’effetto che molti uomini di fronte a questa prospettiva invece di colpire la propria donna andranno a sfogarsi in un bar, per strada, in qualsiasi altro luogo nel quale correranno meno rischi. Sicuramente avremo meno donne colpite e percosse, ma più vittime nella società in generale. Sarebbe questa una vittoria per le donne?”
E quindi? “Sarebbe questa una vittoria per le donne???”.
E perché il problema si pone per le donne? Perché non ci si chiede se sarebbe un problema per gli uomini? per tutti? O le vittime si dovrebbero preoccupare se invece di essere massacrate, l’uomo di turno vada a prendere a pugni qualcun altro? E magari sentirsi in colpa per quell’altro?
Vorrei oltretutto spiegare a Turi, che la quasi totalità degli uomini che sfogano la loro violenza sulle donne, proprio perché violenza che ha la sua peculiarità, sono dei vili, che mai andrebbero a sfogarsi in altri luoghi con le stesse modalità, magari con qualcuno alla pari. La violenza degli uomini sulle donne trova la sua forza nell’isolamento in cui si riesce a chiudere la propria vittima, nel quale gli uomini riescono a trovare e rafforzare la propria legittimazione di carnefici.
Scusate, ma io proprio non capisco. Il problema è culturale, non vi è dubbio. Ma perché porlo in contraddizione a quello penale? Poniamo la società in grado di affrontarli entrambi. Quando un uomo compie un delitto, paga. Quando la società non affronta i suoi problemi, paghiamo tutti.
Cara Caterina, “Bastano le azioni penali a educare un uomo?”
Non è affare delle vittime.
Tutto il discorso sarebbe apparso più corretto se Turi si foste posto il problema della rieducazione per chiunque commetta reati. Se si fosse domandato se le nostre carceri affrontano correttamente questo nodo. Quanto la nostra società si preoccupa delle recidive.
buonasera stefani, avrei voluto leggere questa sera e risponderti. ma sono cotto, lo faccio senza dubbio domani 🙂
Eccomi qui.
In primo luogo so da Caterina che il mio intervento ha suscitato molte polemiche e alcune delle repliche che mi sono state riferite sono a mio avviso quanto meno pretestuose.
Per quanto riguarda il tuo intervento, Stefania, intanto grazie per il tono pacato, e poi per l’opportunità che mi dai di chiarire alcuni punti.
Io non ho mai sottovalutato il problema della violenza diretta contro una donna. Mi rifiuto però di prenderlo in considerazione come problematica particolare, meritoria di pratiche specifiche. Questo perché non credo che sia una pratica. perdonami la parola ma in questo momento non me ne vengono altre, che possa essere riferita a un fenomeno specifico. A mio avviso un uomo che colpisce una donna, in quasiasi modo nella sfera fisica, non lo fa perché maschilista, non lo fa perché ha una pessima concezione del genere femminile o altro, lo fa perché è un violento. Punto.
A mio avviso sbagli a ritenere che i colpevoli di violenza contro le donne sono dei vigliacchi che fuori da quel contesto avrebbero paura e non userebbero violenza in nessun altro modo. Esattamente il contrario. Ad essere violenti contro le donne sono proprio, appunto, i violenti, quelli che sono violento in ogni momento della loro vita.
Mi sarebbe piaciuto ritrovare i dati di una ricerca che verificava che quasi il 90% dei reduci dei marines americani ha compiuto violenze gravi contro la propria partner.
Allora quello che dico è: non continuate ad affrontare il problema della violenza maschile contro le donne come appartenente alla sfera dei rapporti di genere o familiari o altro, bensì come una delle forme che la concezione e l’uso della violenza nella vita quotidiana può prendere.
Infine il problema penale: non lo sottovaluto per niente e non penso che le pene per i violenti debbano essere lievi. Però per me non ci deve essere nessuna aggravante in rapporto al genere o alla condizione della vittima. Se picchi o uccidi, se sei un violento, devi essere perseguito per quello che fai, non in rapporto a chi usi violenza.
Quando la Lega dice che vuole leggi speciali contro gli immigrati perché sono gli autori di furti e crimini vari, noi ci ribelliamo perché diciamo: non puoi perseguire il passaporto, devi perseguire il crimine e il fatto che un crimine sia perpetrato da uno straniero non può costituire aggravante.
Ecco, per me lo schema logico è proprio questo: penalmente colpire la violenza in quanto tale, e colpirla duramente. Socialmente intervenire non sul rapporto uomo donna, ma sulla concezione e sull’uso della violenza nella vita quotidiana. Riuscirai a difendere le donne dalla violenza dei loro uomini non agendo sulle logiche del rapporto di genere ma sulla concezione e sull’uso della violenza.
Spero di essere stato chiaro.
Un saluto
Gentilissimo Turi, mi dispiace, ma non sono d’accordo. Io la violenza maschile la conosco. Bene. E non ho dubbi, purtroppo, su quello che affermo: è una violenza che ha una sua specificità. E proprio perché si nutre di quella cultura, a cui lei fa riferimento, e che dovremmo impegnarci a cambiare.
Esistono uomini violenti, donne violente, e uomini che si sentono legittimati a possedere le loro donne, a considerarle proprie. La violenza, in questi casi, è la manifestazione del pensiero malato che c’è dietro. E, glielo assicuro, a dispetto delle ricerche a cui lei fa riferimento, la maggior parte di questi uomini sono vili, negano agli occhi degli altri la loro brutalità. Si nutrono di una certa concezione delle donne, molto diversi dai marines che sfogano sofferenza e dolore repressi.
E poi, mi scusi, che esempio mi fa? Della lega che vuole colpire gli immigrati… E’ proprio qui che io colgo la contraddizione. La Lega è razzista. E noi riconosciamo il razzismo nei suoi atteggiamenti violenti. Non diciamo “quel leghista è violento”. Diciamo che prima di essere violento è razzista. Ecco, io dico che ci sono crimini, violenti, che nascono da una cultura, nel nostro caso “maschilista”, che vanno affrontati da questo punto di vista.
Grazie per la conversazione
Stefania
rifletterò su quello che ha scritto. e cmq è una delle poche volte in cui si riesce a ragionare in modo costruttivo e pacato.
grazie 🙂
Grazie a lei.