di Isabella Landi (educatrice Servizio Adolescenti in Difficoltà – Comune di Milano) Associazione Amiche di ABCD.
Mercoledì 21 novembre al convegno “Le parole non bastano – Donne e uomini contro la violenza maschile sulle donne” – c’ero anche io. Sono tornata a casa confortata e con il mio carico di ispirazioni che vorrei condividere, a partire dalla domanda con cui si chiude il contributo di Cristina Obber: “Siamo pronti a tornare nei nostri contesti e ad aprire una relazione differente?”
Ecco mi sembra che l’essenza di questo convegno, come il titolo stesso suggerisce, sia proprio nel tentativo di indicare strade per andare oltre le asserzioni teoriche, le dichiarazioni d’intenti, i proclami politici e dare braccia e gambe alle idee condivise. L’attenzione e la cura si trasformano nella capacità di trovare nel nostro quotidiano la forza per una pratica silente costante, con l’umiltà che ci chiama fuori dai riflettori e coinvolge chi ci circonda: i nostri compagni e le nostre compagne, i nostri figli e le nostre figlie, e poi colleghi/e, amici/e, parenti, conoscenti…. fino a “contaminare” tutti gli spazi del nostro quotidiano. Per fare questo è necessario essere convinte/i che la fuoriuscita dagli stereotipi e della violenza non sia solo una questione etica, ma utile, in quanto essere capaci di relazioni positive e produttive – sembra ovvio, ma purtroppo non lo è – porta ad un maggior grado di benessere e di serenità esistenziale per il singolo e per la società. Legami ed affetti caratterizzano la condizione umana, e sono un bene comune, una ricchezza condivisa che conterà sempre di più in un mondo che si prepara a varcare la soglia della post modernità e del consumismo.
Come acquisire una maggior competenza in questo campo? Attraverso l’esercizio dell’autenticità, che significa anche ricerca di congruenza – data per scontata, ma nella maggior parte dei casi inedita – tra ciò che dichiariamo, ciò che pensiamo e ciò che mettiamo in pratica nei contesti che abitiamo, cercando di essere testimoni dei nostri valori. E’ questa per me la vera rivoluzione della pratica della Nonviolenza, da Gandhi in poi, che ha radici fortemente pedagogiche ed autoeducative. Certo non siamo stati cresciuti in questo modo e non viviamo in una società che ci aiuta e motiva in questo senso, tutt’altro. Ma è uno sforzo che va fatto, per noi e per i nostri figli; come emergeva nel convegno le parole d’ordine dell’universo maschilista, potere, forza, supremazia, dominio, controllo, imposizione, subordinazione… non sono una caratteristica biologica di esseri patologicamente malvagi, ma componenti della cultura profondamente violenta di cui, se gli uomini sono stati storicamente interpreti, siamo tutti e tutte intrisi: consapevoli o meno giochiamo il nostro ruolo, di carnefice e di vittima. E allora da dove partire? Sono stati proposti una serie di interrogativi generativi, tracce di un possibile cammino: “Quanto siamo disposti a dare per la libertà e l’autonomia dell’altro?” “Quanto siamo capaci di darci un limite nelle nostre relazioni?” Quanto sappiamo rinunciare alla nostra onnipotenza, ma anche al nostro vittimismo?” ” Quanto riusciamo a non pensare all’oggetto d’amore come un oggetto appunto e in quanto tale ad una cosa che sia in nostro possesso?” Le testimonianze di mercoledì pomeriggio sono state proprio di uomini e di donne che intrecciano nel quotidiano percorsi di crescita condivisa nella società civile.
Persone normali, eroi casalinghi, che nel corso delle loro vite si sono trovati davanti alle questioni della differenza di genere, della violenza, dell’abuso, hanno detto basta e hanno iniziato a cercare nuove prospettive. E a testimoniare come privato e politico siano profondamente intrecciati, e la loro contaminazione dia frutti inediti, cito fra le tante la testimonianza a due voci di Adriana e Marco dell’Associazione Identità e Differenza di Venezia, da molti anni anni compagni di vita e di impegno, nella loro rivelazione di come sia impossibile per loro distinguere quel che hanno imparato dalla politica e quello che è nato nel loro rapporto. Il pensiero è subito andato al mio compagno, a mio figlio e a mia figlia, ai ragazzi e alle ragazze che incontro ogni giorno nel mio lavoro, a colleghe e collegi, alle amiche e alle compagne con cui condivido questo cammino e mi sono detta” Si può fare… posso farcela anche io… la strada c’è … forse la sto percorrendo”.