Ho perso la nozione del tempo. Da quanto sono qui, accanto alla finestra?
Prima Puntata
Ho perso la nozione del tempo. Da quanto sono qui, accanto alla finestra? Solo il ticchettio della pioggia sui vetri mi riporta alla realtà. Già. Ma quale sarebbe? Mi sembra di non saperla più riconoscere e mi sento come sospesa, sia fisicamente che mentalmente. In stasi.
Sto lottando tra dovere e volere. Mai avrei pensato di dover affrontare anche questo: la mia mancanza di decisione e di determinazione sono le zavorre che mi incollano su questa sedia, accanto alla finestra che gronda acqua anche all’interno perché l’ho lasciata socchiusa e non me ne sono accorta. La chiudo allungando mollemente la mano alla ricerca della maniglia, ma intanto rimango concentrata sulla mia intima lotta.
Quando tutto è iniziato c’era il sole e stavo andando a lavoro: una giornata apparentemente tranquilla. Improvvisamente è stato come se l’asfalto stesse franando proprio sotto i miei piedi: l’appoggio non sembrava più stabile come prima, mi girava la testa e avevo la nausea.
“Signora, non si sente bene? Vuole una mano? È così pallida.” La voce era gentile, con una punta d’ansia, e sembrava provenire da molto lontano.
“Grazie”, mi sentii rispondere, “è stato soltanto un capogiro, ora sto bene.”
“La accompagno in un bar, a prendere un bicchiere d’acqua?”
“No, la ringrazio. Sto bene. Grazie ancora.”
Invece non stavo bene per niente. Ricordo di aver impiegato più di mezz’ora per arrivare in ufficio, anche se è solo dietro l’angolo. Quando Marisa, mia amica e collega, mi ha vista entrare mi ha subito fatta accomodare sul divanetto blu adibito alle lunghe attese e mi ha portato da bere acqua e zucchero, credo.
“Dai Marisa, sto bene ti dico.”
“Michela, mi spiace, ma non hai una bella cera. Proprio no!”
“Cosa vuol dire avere una bella cera? Non sono mica una candela, ho solo avuto un capogiro. Capita, soprattutto con il caldo afoso di oggi”, ho ribattuto un po’ troppo piccata.
“Michela, mi sta venendo un dubbio.”
“Un dubbio su di me? Lavoro o cosa?”
“Intendo dire… hai pensato che potresti essere incinta?”
“Cosa? No! È escluso, lo sai che non rientra nei nostri piani. Luca non ne vuole neanche sentire parlare.”
“Si lo so, ma…”
“Niente ma, sto bene e possiamo iniziare a lavorare. Cosa c’è di bello da scrivere oggi sul nostro giornale?”
L’intenzione era proprio quella di non pensare. Non volevo che il dubbio di Marisa potesse diventare anche il mio. Il resto della giornata era passato con tutta la calma alla quale ero stata sempre abituata. Mi ero ripresa, stavo bene e non vedevo l’ora di tornarmene a casa.
“Ci vediamo domani Marisa.”
“Ciao e riguardati.”
“Lo farò, anzi stasera mi farò coccolare da Luca.”
La signora Alda, che veniva da me tutti i pomeriggi, mi aveva aiutato a preparare una cenetta con i fiocchi e se ne era andata non appena Luca era rientrato.
L’ho conosciuto sei anni fa in una scuola di specializzazione, l’ho sempre chiamata così. È stato il mio professore.
L’ho odiato sin dal primo momento. La sua voce tranquilla e sicura cozzava con la mia irrequietezza. La sua fermezza nel richiedere compiti e prove mal si fondeva con il mio desiderio di non volermi trovare lì, di essere altrove. La sua insistenza, caparbietà e tenacia erano in lui le qualità che in me si trasformavano in difetti. Lo odiavo.
“Signorina Michela, ha cominciato a leggere il libro che le ho dato…”
“No!”
“Guardi”, continuava per niente impressionato dalla mia rigidità, “che è importante. Per lei, non lo dico per me…”
“Allora non lo dica. A me ci penso io!”
<<continua>>