di Sara Sesti da l’Università delle donne
Quanto è importante dare una possibiltà a qualcuno che ha perso ogni speranza? E quanto lo è trovare un talento, una dote, in chi non ha mai avuto la possibilità di esprimersi? Scoprire questa felicità è l’invito del grande Ken Loach nel suo ultimo film La parte degli angeli, premio della Giuria al Festival di Cannes 2012.
Ambientato nella Glasgow operaia del dopo Thatcher e del dopo Blair tra un gruppo di giovani sbandati, violenti e ignoranti che buttano via una vita senza futuro, il film ha come protagonista Robbie, un ragazzo che ha già sperimentato la galera e che si trova ancora davanti a un giudice, in attesa di ascoltare la sentenza per aver selvaggiamente picchiato alcuni teppisti che lo hanno provocato, convinto di non avere scampo e di essere in procinto di tornare in carcere.
La rassicurante presenza della giovanissima compagna Leonie, cui mancano pochi giorni al parto, e soprattutto la sua intenzione di impegnarsi a raddrizzare la propria vita per diventare il miglior padre possibile, sembrano convincere il giudice ad essere clemente e a dargli un’ultima occasione, condannandolo solo a svolgere alcuni mesi di lavori socialmente utili.
Il supervisore ai sevizi sociali è Harry, una persona buona e generosa, quasi certamente il miglior adulto che Robbie abbia mai avuto la fortuna di incontrare e che si fa carico del suo futuro. Il lavoro si svolge in strutture pubbliche: in ospizi e cimiteri dove, insieme ad altri giovani nelle sue condizioni, il ragazzo fa l’imbianchino o aiuta a mantenere il verde.
Come un padre, Harry aiuta Robbie nel suo sforzo di diventare egli stesso un buon padre, e nei ritagli di tempo lo introduce ai piacevoli misteri del whisky, una bevanda sconosciuta ai giovani perchè troppo cara. In un giorno festivo Harry porta il gruppo a visitare una distilleria e scopre la particolare sensibilità olfattiva e gustativa di Robbie che dimostrerà un talento particolare nel distinguere tra gli whisky quelli grami da quelli ottimi e da quelli eccezionali. Decide quindi di introdurlo nell’ambiente dei professionisti della degustazione.
Insieme a tre compagni di sventura – una ladruncola e due “parassiti” sociali – Robbie scopre il significato dell’ “Angels’ share“, “la parte degli angeli“, quel due per cento che il whisky perde per ogni anno di stagionatura e che, nella fantasia popolare, vola in cielo per essere bevuto dagli angeli.
Quando i quattro scoprono l’esistenza di una botte rarissima di uno splendido “single malt” prodotto diversi decenni prima da una distilleria chiusa da tempo e il cui contenuto, venduto alle persone giuste, potrebbe fruttare centinaia di migliaia di sterline, viene loro l’idea di un ‘colpo’ del tutto anomalo.
Se il film di Loach fosse solo realistico, la sua conclusione sarebbe tragica. Ma è proprio a questo punto che il realismo si trasfigura in fiaba.
Indossato il kilt, i quattro amici partono per le Highlands, dove, con un ingegnoso imbroglio riescono a portare a termine un’ impresa che garantirà loro un bel po’ di soldi.
Per una volta e alla faccia dei disastri sociali di quel liberismo che da sempre il regista racconta, i “poveri diavoli” si riprendono finalmente quella parte di speranza e di un futuro sereno che spetterebbe a tutti, a anche a loro.