E’ venuta via dalla casa di Greta con la certezza che non ci avrebbe messo più piede. Il giorno dopo a scuola Greta non l’ha neanche salutata. La madre, a cui Mia non è piaciuta nemmeno un po’, doveva averle messo il cervello in lavatrice.
Mia si taglia, e ogni taglio è una liberazione, ogni goccia di sangue che esce è un nuovo respiro. Sotto le luci al neon, notte dopo notte, Mia incide nella carne il suo disagio, mescolando le lacrime al sangue che imbratta il lavandino candido. Alle volte basta poco per placare il suo tormento, anche solo una scalfittura. Altre si farebbe a pezzi. Sta attenta a non ferirsi tanto da dover ricorrere a un pronto soccorso, dove farebbero domande su domande, soprattutto sui tagli vecchi, sulle cicatrici. Le mani e le braccia sono una cartina geografica fatta di linee nette color latte. Alcune s’intrecciano e attorcigliano ad altre rigonfie e arrossate, che a volte fanno prurito. Altre ancora sono appena rimarginate, delicate a tal punto che basta strofinarle perché si rimettano a sanguinare di nuovo. In estate, quando la pelle si ambra leggermente, le cicatrici spiccano nettamente, quasi per affermare la propria identità attraverso il colore biancastro. A volte si tratta di segni brevi e ripetuti, altre di lunghi tratti che non s’interrompono mai. Alcuni sono profondi, altri lievi, quasi appena accennati. Altri ancora sono larghi e dai bordi sfrangiati, altri invece sottili e dritti come se fossero stati disegnati da un geometra. I segni Mia li ha dappertutto, sulle braccia, sulle mani, sul collo e sulle gambe, seppur in quantità minore, sulle caviglie e sul polpaccio, qualcuno anche sui piedi. Uno in particolare sale a spirale dal tallone, abbracciando tutta la caviglia come un tatuaggio tribale, e termina dietro al ginocchio. Una cicatrice orribile, ricordo di una telefonata che, tempo addietro, non sarebbe dovuta arrivare mai, uno stimolo esterno fortissimo e doloroso, che aveva riattivato ricordi che lei credeva ormai spenti per sempre. Non basta seppellire un dolore in fondo alla memoria per cancellarlo, perché prima o poi torna a galla. Come le braci sotto la cenere, che restano vive per giorni. Bisogna affrontarlo e superarlo per essere sicuri di non ritrovarselo davanti nel momento peggiore.
Quel giorno Mia fu costretta a tagliarsi di più e più a fondo, piangendo tanto forte da non riuscire a vedere cosa faceva con quel coltello. Era come se, per la prima volta, ne avesse perso il controllo. Così sedette sul bordo della vasca, le gambe all’interno, e disegnò quella spirale. Sanguinò per giorni, s’infettò e gonfiò tanto che Mia pensò di doverla mostrare a un dottore. La medicò per quanto ne sapeva, la tenne fasciata, protetta dalla polvere e dagli sguardi dei curiosi e dopo due settimane del taglio era rimasta una crosta che si sarebbe staccata lasciando un rilievo biancastro. Un’altra testimonianza. La peggiore. Ognuno dei tagli ha un preciso significato, appartengono a Mia più di qualsiasi oggetto lei possieda. Quei segni sono Mia. Ha trasformato il suo corpo pallido in un libro, e un giorno qualcuno ci leggerà tutta la sua vita.
<<continua>>
L’immagine è presa da L’Insonne” è un fumetti creato da Giuseppe Di Bernardo e Andrea J. Polidori. I testi sono di Simone Togneri, i disegni sono di Luigi Criscuolo.