L’uomo la tocca prima con delicatezza. Poi chiude le dita sul seno destro di Mia e stringe. Lei geme. Non di piacere. Lo rimprovera di fare piano. Lui risponde che farà il possibile. Lui. Tutti uguali gli uomini che incontrano Mia. Tutti uguali perché disperati come lei. Una che si porta dentro la notte, non può che incontrare gente come lei. E’ matematico. Le persone “normali” non legano con lei. Come Greta. Come i suoi compagni di scuola, che nemmeno la immaginano in questo momento. Loro, le gambe sotto al tavolo a ingozzarsi di pastasciutta e polpette mentre seguono lo spezzone del primo pomeriggio del Grande Fratello. Mia, che una gamba la tiene incastrata tra il sedile e lo sportello e l’altra tra il sedile e il cambio. Lui che, sotto di lei, sembra recitare una preghiera mentre lei lo lascia entrare.
Niente pranzo anche oggi. Il pensiero attraversa la testa di Mia solo per un istante. Forse una focaccina dopo, da Leo. Basta. Lui la tocca, la guarda come se fosse la donna più bella del mondo. Mia non lo guarda. Tiene gli occhi chiusi. Lo fa perché così pensa di essere da qualche altra parte. Da Leo, magari, a mangiare la sua focaccina. Nessuno la obbliga a fare quello che fa, ma non le piace comunque. Solo che quando non sai dove sbattere la testa, qualsiasi parete va bene. Anche quella di un cesso. L’uomo le afferra le natiche e la trascina verso il basso, contro il suo sesso, mentre lui spinge e inarca la schiena. E’ come se volesse trafiggerla, arrivare dove non è anatomicamente possibile arrivare. Lei geme di nuovo, facile fraintendere. Lui sorride. Una puttana, anche se giovane come quella, è sempre una donna. E per lui, da stallone quale crede di essere, non esiste donna, anche se puttana, che non goda con lui. E’ matematico. Come l’incontro di due persone disperate.
Lui è arrivato al capolinea. Lei no. E’ lontana anni luce, ma non importa. Non ricorda nemmeno quando è venuta l’ultima volta. Se le è mai successo. Sta ferma, ansima per lo sforzo. Lui la guarda come si guarda la propria cagnetta che ha appena messo al mondo due cuccioli senza vita. La chiama tesoro. Le passa una mano tra i capelli, poi scende sul collo. Percepisce una cicatrice sotto le dita, la segue fino a che non sparisce sotto al colletto. Mia abbassa la maglietta e si scosta. Lui la tira verso di sé, allunga il viso verso il suo. L’alito di lui sa di fiori morti. Le sfiora le labbra e lei si ritira. Indietro. Violentemente. Questo non era compreso nel prezzo. Lui insiste, la tira di nuovo verso di sé. Lei si divincola, ma è incastrata sopra di lui. Nel tentativo di liberarsi lo urta in faccia. Lui si arrabbia. Diventa cattivo. La colpisce con uno schiaffo. Il messaggio è chiaro: fai quello che ti dico io.
Mia non è una stupida. E’ una ragazzina, ma ha imparato a sopravvivere al mondo degli adulti. Sa quando è il caso di lottare e quando bisogna arrendersi. Così cede e lo bacia. Nel modo più dolce di cui è capace. Ma è un bacio vuoto. Non c’è amore in quell’atto. Come non c’è stato prima. E’ stato meccanico come infilare una spina in una presa. Lui chiude gli occhi e la lascia fare. Lascia che la lingua di lei si insinui attorno a quella di lui e balli una danza senza passione. Un atto dovuto. Lui adesso è contento e dice che lei è stata una brava bambina. Obbediente. Lei apre la portiera e scende. Si riveste fuori della macchina mentre lui, ancora seduto, esegue la stessa operazione. Lui dice che tornerà a cercarla. Lei fa un cenno affermativo con la testa. Lui le chiede se vuole un passaggio per tornare verso la statale. Lei dice che andrà a piedi. Su quella macchina non ci salirà una seconda volta. L’uomo riparte sgommando. Un’ultima dimostrazione di quella stessa virilità che ha lasciato addosso a Mia un sapore aspro. Lei lo guarda, immobile in piedi. In bocca ha i fiori morti di lui. Sputa.
<<continua>>