Mia posa la cornetta sul mobile e lascia che suo padre parli alla statuina di Padre Pio che avevano comprato durante una gita a San Giovanni Rotondo, quando ancora erano una famiglia. Si allontana, prende il coltello dalla sua cameretta, va in bagno. Suo padre dice che vorrebbe riabbracciarla, tanto. E’ un monologo il suo, ormai. Mia accosta la punta fredda del coltello alla base del collo. Spinge appena. Il dolore è sottile, il calore del sangue che esce è un piacere intenso che la fa gemere appena. L’uomo, dall’altra parte dell’apparecchio, forse la sente e la voce gli si fa impastata.
Poi accade qualcosa. Qualcosa che nemmeno Mia si aspetta. Ha le mani sudate, e trema. Lei si sforza di non darlo a vedere nemmeno a sé stessa, ma la voce di suo padre le crea un’esplosione di odio dentro tanto forte che se lo avesse lì davanti a lei lo ucciderebbe senza pensarci. Mia non è abituata a odiare, non odia nessuno, non vuole il male di nessuno. Vuole essere lasciata in pace. Solo questo. Ma quell’uomo, che è la causa di tutto ciò che lei è oggi, lo vorrebbe morto. Mia non è contenta di essere ciò che è. Vorrebbe in cuor suo essere come tutte le altre ragazze della sua età. Vorrebbe fare quello che fanno tutte. Andare a mangiare una pizza il sabato sera, al cinema la domenica pomeriggio. Vorrebbe passeggiare per la via più importante del centro affiancata alle sue amiche e ridere di tutti. Vorrebbe un’amica a cui raccontare i suoi segreti più intimi, un ragazzo a cui dedicare le frasi delle canzoni, frasi da scrivere sul diario segreto. Vorrebbe, Mia. Ma non può volere niente. E si stupisce di questa rabbia che le attraversa la pancia. E ancora di più quando il coltello scivola troppo in profondità, disegnando una linea dai bordi sfrangiati al lato del collo. Il coltello cade sonoramente nel lavandino. Mia grida. Non per il dolore, ma per il sangue che schizza a bagnare lo specchio e il muro. Non le era mai successo. Esce talmente copioso che già le ha inzuppato la maglietta. Mia si preme una mano sul collo e implora perché il sangue la smetta di uscire. Ma non solo quello non smette, aumenta. La paura fa aumentare i battiti del cuore e il flusso del sangue. Mia comincia a perdere la cognizione dello spazio. La sua immagine riflessa nello specchio si appanna come se ci avesse alitato sopra. “Dio no, Dio no, ti prego” balbetta Mia. Deve aggrapparsi al lavandino per non scivolare sul pavimento, che già si sta arrossando. “Tipregotipregotiprego”. Mia scivola tra il wc e la doccia, rimanendovi incastrata in una posizione che ricorda uno che legge a letto. Ha gli occhi aperti, increduli a fissare il sangue che si allarga sulle piastrelle del pavimento. Ansima appena, Mia, un ultimo barlume di vita. Pensa a sua madre, a come reagirà al suo rientro. Pensa a suo padre, che adesso sta gridando il nome della figlia nella cornetta del telefono. Ha sentito qualcosa, ha capito e non può fare nulla se non gridare. Mia sorride. Buffo. Non avrebbe mai pensato che le sarebbe venuto da sorridere in punto di morte. Sorride perché pensa a suo padre, che assiste impotente alla morte della sua unica figlia. Per lui questo è il giusto prezzo da pagare, pensa. Il giocattolo che lui ha rotto sta per smettere del tutto di funzionare. Non ha paura, Mia, la sua in fondo non è una morte vera. Lei è già morta tanti anni prima, in quella camera che era il suo rifugio, uccisa da chi avrebbe dovuto proteggerla dai mali del mondo. Mia chiude gli occhi e si consegna al sonno. Mia. Che non è mai stata di nessuno.
L’immagine è presa da L’Insonne” è un fumetti creato da Giuseppe Di Bernardo e Andrea J. Polidori. I testi sono di Simone Togneri, i disegni sono di Luigi Criscuolo.