Passata l’euforia delle feste, possiamo finalmente tornare a misurarci con i problemi reali e con la concretezza delle cose da fare, magari portandoci dietro la vecchia usanza di stilare un elenco di buoni propositi per l’anno nuovo.
Alcuni eventi, a cavallo fra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, hanno tristemente riportato sotto i riflettori la realtà di una condizione femminile che, al di fuori dell’Europa, è ancora ancorata a rituali tribali, per non dire peggio. E stiamo parlando della importante risoluzione Onu sull‘infibulazione, ma soprattutto di quanto accaduto in India, con le notizie di donne stuprate su autobus e mezzi di linea, nell’indifferenza degli altri passeggeri e, spesso, con la complicità del personale di bordo prima, della polizia dopo.
Certo, dell’esistenza di queste realtà non apprendiamo oggi. Che fuori dalle luci sgargianti della società occidentale, la situazione fosse triste era cosa più che nota. Però proprio queste emergenze possono anche servire a riposizionare in meglio le lotte che ancora restano da condurre qui da noi. Perché se è vero che situazioni di degrado esistono dappertutto, anche in Europa, è però altrettanto vero che la condizione delle donne non è comparabile a quella del resto del mondo.
Qui, gli episodi di violenza sono solo sacche di resistenza, residui di un modo di concepire le donne e il ruolo della donna nella società ormai superato e battuto. Non si vuole con questo sminuire il dolore o la violenza che accompagna questi eventi. Solo non si può negare che il contesto nel quale avvengono non è quello dei paesi del terzo mondo. Soprattutto che il quadro legislativo non li accompagna e tutela, anzi, li punisce adeguatamente. Forse non ancora completamente nel nostro paese, dove la presenza della chiesa cattolica ancora impedisce l’introduzione di importanti strumenti in favore dei diritti delle persone, ma resta il fatto che anche in Italia le donne trovano nelle leggi vigenti tutti gli strumenti necessari per difendersi. Casomai, quello che manca, magari per obbiettivi deficit culturali, ma manca, è la capacità o, a volte, la voglia di servirsi di questi strumenti.
Sarebbe bello se fra i tanti propositi di questo inizio d’anno, ci fosse quello di chiedersi in che misura la battaglia più importante per il nostro femminismo sia quella, dopo anni di contrapposizione, di costruire in dialogo di genere che invece di combattere le differenze le accolga e le valorizzi. Perché forse a una società ugualitaria, oggi, sono più pronti gli uomini delle donne.