Esiste un reato, a mio avviso, ancor più grave del femminicidio: il silenzio
Esiste un reato, a mio avviso, ancor più grave del femminicidio: il silenzio. Donne, cominciamo quindi, se non a urlare, almeno a parlarne, sia che accada alla vicina di casa che in mondi a noi lontani. Chi, come me ne ha la facoltà – mi risulta essere in parecchie – ne continui a scrivere. Abbiamo da poco festeggiato il capodanno 2013 con il record dei record, più di 100 donne vittime di femminicidio in Italia nel solo 2012. Non ho il numero preciso e non lo voglio neanche avere: basterebbe una sola di noi, vittima di un omicidio di genere, perché il fenomeno assurga alla stessa gravità dei fatti. Ma abbiamo festeggiato anche col numero ancora più impreciso – e che mai sarà esatto – di gran lunga superiore, delle vittime di altrettanto reato nel mondo a noi parallelo: il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Asia.
Ambiti geografici, questi, in cui la violenza di genere si estende, seppur alla luce del giorno, negli angli più bui del quotidiano, rendendo milioni di donne come degli esseri già morti in vita. Parlo delle spose bambine, del traffico di prostitute, delle acidificate, delle infibulate, delle sepolte vive, delle punite a frustate, delle scampate all’infanticidio neonatale, del turismo sessuale. Ma la lista non finirebbe neanche qui.
Torniamo, però, alla violenza come risoluzione dei conflitti interpersonali, che è ciò che riguarda più da vicino il nostro paese. È un massacro perso in partenza, non c’è dubbio, poiché basato sulla forza e quindi sulla superiorità fisica che la natura ha voluto concedere al maschio, di qualsiasi specie animale si tratti, rispetto alla femmina. Ed è ovvio che stiamo parlando di un retaggio sociale che non riescono a scalfire neanche i traguardi delle sempre più numerose quote rosa nei CdA o nelle liste elettorali. Ancor più ovvio è quindi quanto sia diventato necessario, allo stato attuale, lavorare sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica per abbattere gli stereotipi che vedono le donne come un soggetto debole e subordinato. A mio avviso, perciò, è solo a livello culturale che dovremmo (s)muoverci.
La globalizzazione, dal canto suo, non ha certo cambiato i termini della questione quanto al concetto dei confini entro i quali i crimini vengono commessi. Al contrario, lo sviluppo tecnologico, azzerando le distanze e facendo in modo che la maggior parte delle persone siano costantemente connesse tra loro, ha avuto senso in questa “guerra” – come, d’altronde, in tutti gli altri conflitti – per aver dato voce e aver esportato fuori delle mura domestiche il problema. Ma… rimane un “ma”: alzi la mano chi di noi non ha avuto, in vita propria, un’amica che le abbia confidato di essere stata picchiata o vessata in qualsiasi altro modo dal marito, fidanzato, compagno o chi per lui, e che, in seguito a tale confidenza, ci abbia poi chiesto di “non dire niente a nessuno, mi raccomando”! Ecco, questo è il silenzio di cui parlavo all’inizio del mio articolo ed è assolutamente da qui che si deve partire per poter arrivare a urlare il dissenso e a far sì di non essere complici di tali misfatti. Denunciare, parlare e gridare: dirlo a tutto il mondo cosa succede di sconveniente dentro le mura domestiche, prima che sia troppo tardi. Dirlo, affinché non accada più e, soprattutto, perché non accada di peggio.
La violenza privata è l’unico reato in cui è la vittima a vergognarsi la maggior parte delle volte, proprio perché si tratta di un misfatto consumato dentro le mura domestiche. Oltre al fatto che è scaturito da un rapporto vittima/carnefice del quale è quasi impossibile prenderne coscienza, prima, e affrontare il problema, poi. La denuncia, se e quando avviene, arriva solo dopo iterati soprusi sebbene, stando alle statistiche, si aggira al misero 10% il numero dei processi conclusisi con la condanna del carnefice. Ciò accade perché, data anche la lunghezza dei processi, la vittima nel tempo che intercorre tra la denuncia e lo svolgimento del processo stesso si vede costretta a ritrattare per la paura o per la mancanza di alternative economiche a cui andrebbe incontro. Quindi, auspichiamo: processi per violenza di genere più brevi, assistenza materiale, oltre che spirituale e tecnica alle donne che trovano il coraggio di denunciare, veicolazione massima con tutti gli strumenti e su tutti i mezzi di comunicazione, di massa e non, a partire dalla “parola”. Scritta o verbale, purché se ne parli…
<<continua>>
4 commenti
Siamo assolutamente d’accordo. Il problema nasce in ambito culturale ed è da questo che bisogna partire per realizzare un cambiamento profondo.
Per questo noi di AIED Roma stiamo preparando un evento sul tema della violenza contro le donne con l’obiettivo di unire intorno all’argomento giovani, leader di opinione, esperti di vari settori e istituzioni.
Prossimamente potrete trovare informazioni dettagliate sul nostro sito e sui nostri ambienti social: Facebook (https://www.facebook.com/aiedroma), Twitter (https://twitter.com/aiedroma) e YouTube (www.youtube.com/aiedroma).
AIED Roma
Ricordi:”Una donna non si tocca nemmeno con un fiore”e tu non usi certo le spine delle rose per colpirle a tradimento, per straziare la loro vita.
Noi madri di uomini insegnamoai nostri figli maschi l’amore e il rispetto!
Tutto giusto, ma fino a un po’ di tempo fa, quando si sentiva parlare di segregazioni femminili da parte della famiglia, di infibulazioni perpetrate anche in Italia, ovviamente in maniera clandestina, da immigrati, quando si sentiva parlare di padri che richiedevano insegnanti maschi per i loro figli e questo veniva loro accordato dai direttori didattici, molte e molti di noi cittadini italiani si erano scandalizzati e avevano protestato contro queste violenze. Ma una parte di cittadini, ci aveva accusato di essere razziste e di non rispettare le culture altrui. Non sono legata a nessun partito, ma non sopporto la demagogia politica dell’una e dell’altra parte. Ci sono settori della vita in cui tutti i partiti politici esistenti al monto non possono non essere d’accordo. Per quanto riguarda il problema più vicino a noi e quindi gli omicidi di donne da parte di ex mariti, compagni o fidanzati, dovremmo cambiare anche la mentalità di carabinieri e polizia, i quali all’inizio sono sempre scettici e titubanti e a loro volta prendono in maggior considerazione la testimonianza di un uomo piuttosto che di una donna. Gli uomini non accettano il cambiamento dei costumi da parte delle donne, non accettano la loro libertà, perchè ci considerano come un animale o peggio ancora un oggetto, come una macchina, ma che vale meno di una macchina che infatti non aggredirebbero mai per paura che si sciupi. Molto è determinato dal livello culturale, ma non sempre è vero, ci sono esempi di uomini quasi analfabeti, ma buoni e rispettosi, al contrario ci sono uomini coltissimi e terribili. Penso che quando una donna arriva a denunciare un uomo per stalking dovre essere protetta con un programma come quello per i testimoni di mafia e questa potrebbe essere una proposta di legge. Lottiamo per proposte di legge simili, ma anche per proposte di legge atte a imporre l’applicazione delle leggi. Proprio così perchè l’Italia ha molte buone leggi, solo che non vengono applicate!!!!!
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