“O mia bela Madunina/ che te brilet de luntan…”.
Una storia che viene da lontano
La musica, un po’ ovattata, che proveniva dalla strada, colpì Hans come una stilettata. Dove l’aveva già sentita, quella musica? Non lo sapeva, non ricordava: ma la conosceva, eccome. Chissà perché, le lacrime gli salirono agli occhi, prepotenti.
Sì: finalmente era in Italia. Finalmente qui, nella terra promessa dei suoi sogni.
Rivedeva gli occhi dei suoi genitori, e dei suoi nonni, pieni di luccichii, mentre parlavano del Bel Paese, di come qui, su queste spiagge, si erano conosciuti e innamorati.
Da quanto tempo sognava di visitare l’Italia? Forse sin da quando era alto una spanna, e quei racconti gli sembravano fiabeschi, ricchi di armonia, quasi parlassero di una terra perduta.
Per svariati motivi i suoi non ci erano più tornati, qui: prima la malattia del nonno paterno, poi quella della nonna materna. Infine i problemi di lavoro.
E così Hans si era deciso. Raggranellando soldo su soldo, anno dopo anno, aveva deciso di scegliere, per quell’estate, una lunga, lunghissima vacanza in Italia. Non aveva troppi punti di riferimento: però avrebbe incominciato da Milano. Qui ci abitava un vecchio amico dei suoi genitori con la famiglia, Kurt: aveva sposato un’italiana e lo avrebbe ospitato per una settimana. Poi il viaggio sarebbe proseguito, anche se non aveva ben definito le tappe: forse avrebbe visitato Venezia, Firenze, Roma e… chissà.
Era rimasto subito affascinato dal Duomo di Milano, dalla gente che affollava la Galleria Vittorio Emanuele, si sentiva come un bambino perduto nel Paese dei Balocchi.
Aveva un sorriso stampato sul volto, un sorriso di felicità. Questa terra promessa colma di meraviglie cominciava a sorridergli.
Lanciò un’occhiata all’orologio: forse era meglio incominciare ad avviarsi verso la casa di Kurt. L’amico del padre gli aveva dato tutte le dritte per arrivare a destinazione.
Si era stupito, perché non aveva voluto che lo andasse a prendere alla stazione. Poi si era arreso: sapeva che Hans era un ragazzo un po’ strambo.
Fu in quel momento, mentre camminava con la testa alzata per rivedere la Madonnina del Duomo, che si sentì catapultare addosso qualcuno.
Uno schianto, e finì per terra, insieme al malcapitato.
O meglio, la malcapitata. Una massa di capelli neri e ondulati, che incorniciavano un viso stupendo, anche se alterato per la rabbia.
– Accidenti che salame. Ma perché non guardi dove vai? Sei proprio tonto!
Hans non aveva capito un accidenti. Ed era rimasto imbambolato a guardarla. Sì, doveva avergli detto qualcosa di poco carino, a giudicare dalla faccia. Ma era stupenda. Tipica bellezza mediterranea…
– Come ti chiami? – le domandò in inglese.
Lei si rialzò sbuffando: – Oh, mamma. Pure straniero mi è capitato. E guardandolo bene è anche carino: ma ha un’aria così tonta… – e poi alzò la voce: – Alice. Mi chiamo Alice. Do you understand?
– Oh, sì, capito. Alice!
La ragazza sparì quasi all’istante, inghiottita dalla folla.
Hans rimase a guardarla, rialzandosi a fatica, incurante del resto.
Cielo, doveva affrettarsi: o Kurt si sarebbe chiesto che cosa gli era accaduto. Forse sarebbe stato meglio avvisarlo del ritardo. Perché ormai non c’erano dubbi, che si sarebbe presentato da lui con un bel po’ di ritardo…
Ma ne valeva la pena. Oh, Italia, Italia… questa terra promessa si stava rivelando davvero superiore alle aspettative. Alice compresa.
Chissà se l’avrebbe mai rivista. Sogno impossibile…
– Alice! Alice! Ma sei in ritardo!
Prima quel ragazzo straniero che l’aveva fatta cadere. Poi la metrò persa per un soffio. Dannazione. Che giornataccia.
– Eccomi! Eh, scusa, Mirella. Me ne sono capitate di tutti i colori…
Entrò come un ciclone in pizzeria, sorrise alla titolare, che era anche sua cugina, e una delle sue più care amiche, si infilò nel retrobottega per indossare il grembiulone colorato che faceva anche da divisa, la graziosa cuffietta per raccogliere i capelli.
Si guardò allo specchio, con una smorfia buffa sospirò e poi passò di corsa in sala, pronta a prendere le prime ordinazioni.
Da quando aveva accettato di lavorare per la pizzeria, il tempo era diventato ridottissimo. Lezioni all’università, lo studio nel tardo pomeriggio e nei ritagli di tempo, e l’occupazione serale, per potersi mantenere agli studi come aveva promesso a mamma e papà. E poi le amiche le chiedevano come mai non avesse tempo per l’amore!
Il fatto era che gli studi le piacevano tantissimo. E il suo sogno era quello di mettersi a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia, visitare il suo paese come non aveva mai fatto, anche per poter sostenere meglio gli esami all’università. Perché no?
L’estate ormai era alle porte. Con le mance guadagnate poteva programmare una vacanza, proprio quella che aveva sempre sognato.
Alzò gli occhi e…
“No. Impossibile. Non può essere veramente…”, si disse, incrociando quegli occhi.
Ma sì, era lui. Il ragazzo straniero che l’aveva fatta cadere in piazza Duomo. Milano era enorme! Possibile che…
Anche lui la riconobbe e le sorrise: – Alice! Tu, Alice! – esclamò.
– Sì – rispose in tono rassegnato. – Sì. Io, Alice.
Era pure carino. Due occhi fantastici e un fisico niente male.
Si trovava insieme a due abituali clienti della pizzeria di Mirella, li conosceva bene, Kurt e sua moglie Giusy.
Chissà chi era: un parente di Kurt, forse, o un amico.
Cercò di soffermarsi troppo sulla questione: pratica e sbrigativa com’era, sorrise, chiese dove volevano accomodarsi, se nel tavolo d’angolo come di consueto, o se preferivano, visto che erano in tre, quello vicino alla finestra.
– Il solito tavolo d’angolo – rispose Giusy, – Hans è figlio di un caro amico, in visita in Italia. E lo conosciamo da quando era alto una spanna. Ci teniamo che si senta qui come se fosse a casa sua. Che ami le nostre stesse abitudini: compreso il “nostro” posto, qui in pizzeria!
Alice apparecchiò velocemente e prese le ordinazioni. Intanto Hans non le sganciò gli occhi di dosso. In un modo così dolce e timido, e al tempo stesso insistente, che per poco ad Alice non cadde il blocchetto dalle mani, con la penna e tutto quanto.
Ritornò poco dopo a portare le ordinazioni, con le guance in fiamme, mentre Elena, la sorella piccola di Mirella, rideva di gusto.
– Come ti guardaaava! – esclamò dopo aver consegnato il foglietto a Mario, che cominciò a preparare le tre pizze. – Si capiva da qui, sai? Quel bel tedesco è cotto di te. Colpo di fulmine! Beata te, Alice. Che ci farai, agli uomini, dico io?
Elena era tondetta e non tanto bella, ma aveva anche lei il suo bravo stuolo di spasimanti. Non poteva lamentarsi.
<<continua>>