di Caterina Della Torre
Lo afferma Alessia Mosca
candidata per il PD alle prossime elezioni politiche del 23 e 24 Febbraio prossimo venturo.
La potremmo annoverare tra le donne di punta di dols, tanto ha fatto per le donne nella sua prima e unica (finora) legislatura. E che considera la politica uno strumento alto e bellissimo da onorare.
Onorevole, come preferisce essere chiamata? Crede alle differenze di genere nella lingua italiana?
Non amo essere chiamata “onorevole”, so che può sembrare retorica ma davvero preferisco che mi si chiami semplicemente con il mio nome di battesimo. Per quanto riguarda le differenze di genere sul piano linguistico, mi rendo conto della loro importanza. Le definirei condizione necessaria e non sufficiente, nel panorama del dibattito sull’equità di genere.
Da quanto tempo siede alla Camera, quante legislature? Si sente fresca dell’esperienza?
Questa che si avvia a conclusione è stata la mia prima legislatura. Mi sento più consapevole, rispetto a cinque anni fa. Sperimentare in prima persona le dinamiche di funzionamento dell’istituzione parlamentare aiuta a essere più incisivi nella propria azione legislativa. Sono soddisfatta perché, pur essendo la prima esperienza, sono riuscita a vedere realizzati risultati a cui tenevo molto (la legge n. 120/2011, sulle quote di genere nei cda, e la legge Controesodo ma anche il congedo obbligatorio per i papà, i congedi orizzontali, la legge sulle startup, la legge n. 215/2012, sull’equità di genere nelle elezioni degli enti locali).
Che ne pensa dei nostri parlamentari? Per lei che è così timida e schiva non è difficile stare in cotanta arena? Non ho mai avuto grandi problemi. In Parlamento faccio il mio lavoro e cerco di farlo al meglio. Non mi curo di molto altro. Ci sono colleghi, di entrambi gli schieramenti, con cui ho ottimi rapporti, come dimostrano le leggi e le proposte a cui abbiamo lavorato insieme. C’è una cosa che mi dispiace molto, però: la tendenza a dire, davanti ai tanti scandali che sono emersi negli ultimi mesi, che “sono tutti uguali”. Mi ferisce profondamente, non solo perché io nello specifico non sento di avere alcun punto di contatto con i comportamenti di alcuni colleghi protagonisti della cronaca ma anche perché mi spaventa molto il messaggio che passa: il rifiuto della politica, il rifiuto delle istituzioni. La politica è uno strumento alto e bellissimo, che ci riguarda tutti e da cui tutti ci dovremmo sentire coinvolti. Sono i singoli esponenti politici a sbagliare e a dover essere giudicati, non la politica in sé. Questo discorso vale anche per le istituzioni, massime garanzie della nostra stessa democrazia. Gettare discredito su di esse è populista e pericoloso. I cittadini devono, anzi, pretendere che i loro rappresentanti le onorino con i loro comportamenti.
Passiamo al Pd nelle cui file lei si trova. Le primarie sono state un grande strumento, considerata la legge elettorale che non è stata cambiata e che non permette di scegliere i propri rappresentanti. Ma non crede che in una certa percentuale sia stata un tradimento con i listini bloccati?
Credo che il Partito democratico abbia fatto un enorme sforzo con queste primarie, nel tentativo di dare ai cittadini prova concreta delle proprie intenzioni non limitandosi a fare promesse. Detto questo, il sistema presentava sicuramente dei limiti, molti dati da vincoli inevitabili, come ad esempio la scarsità di tempo per l’organizzazione complessiva. Per quanto riguarda il cosiddetto “listino bloccato”, non si tratta di un tradimento del risultato delle primarie in quanto nel regolamento approvato dalla direzione nazionale prima ancora di decidere definitivamente di fare le primarie era già prevista l’esistenza di una lista di personalità scelte dal partito. Ritengo giusta l’esistenza di un “listino bloccato”: molte grandi personalità che abbiamo l’onore di ospitare nelle nostre liste non appartengono alla sfera della politica attiva (penso a Pietro Grasso, Maria Chiara Carrozza o Carlo Dell’Aringa, ad esempio) e difficilmente avrebbero avuto la possibilità di essere eletti con le preferenze. Eppure rappresentano un enorme patrimonio di esperienza e conoscenza, che ci sembrava giusto mettere al servizio del Paese.
Molte donne sono entrate grazie alle primarie. Ma talvolta anche se avevano ottenuto grandi preferenze maggioritarie sono state scavalcate d’ufficio da un uomo. C’è molto da fare ancora per avere una vera parità? Crede potrà mai esistere? Gli uomini cederanno il passo?
Ribadisco quanto detto sopra, aggiungendo che sono state rispettate tutte le linee del regolamento approvato dalla direzione nazionale. Sono consapevole del fatto che in merito alla questione femminile ci sia ancora molto da fare ma voglio rivendicare con forza il grande risultato ottenuto in queste elezioni, che vedono il Pd unico partito a presentare il 40% di donne in posizione eleggibile nelle proprie liste.
In Puglia non è stata rispettata l’alternanza dal PD: i primi tre sono uomini. Il sud è ancora sopraffatto dal maschilismo?
Non è un problema solamente del Sud, ovviamente. Purtroppo, però, è vero che nelle regioni meridionali permangono una serie di elementi di contesto – il più grave è sicuramente il dato sulla disoccupazione femminile (lo scorso ottobre il tasso di occupazione per le giovani sotto i trenta anni era al minimo storico del 16,9%) – che rallentano e contrastano fortemente l’emergere di figure femminili nei ruoli chiave della società e, ancora prima, la conquista di una autonomia e indipendenza economica da parte di molte donne.
Se dovesse votare per una donna che non sia lei per chi voterebbe?
Sarei felice di votare qualsiasi donna che si impegni seriamente anche su tematiche che diano opportunità al genere femminile, in termini di accesso alle posizioni di vertice ma anche di politiche di conciliazione, di rappresentanza, dell’immagine della donna nella società.
Con la Golfo avete finalizzato la legge per le quote rose nei CDA. Legge trasversale quindi. Sarebbe possibile farne altre tra donne?
Assolutamente sì! Ne ho tutte le intenzioni. Ho in mente diversi progetti, soprattutto nell’ambito della conciliazione tra il lavoro e la cura della famiglia, che ancora oggi resta il primo grande problema delle donne che vorrebbero continuare a lavorare senza rinunciare al proprio desiderio di maternità. Problemi come questi non possono e non devono avere colore politico: riguardano ogni donna e credo che tutte noi, che sediamo in Parlamento e possiamo avere potere decisionale, dovremmo sentirci responsabili di trovare soluzioni in merito.
Infine Berlusconi. Crede davvero che sia finita la sua epoca o persistono sacche resistenti anche tra le donne, grazie alla TV?
Credo che l’attuale situazione dell’Italia e degli italiani sia sotto gli occhi di tutti e sia, purtroppo, pagata sulla pelle di tutti. Per quanto Berlusconi possa colonizzare il palinsesto televisivo, non credo otterrà i risultati che spera. Credo, infine, sia una responsabilità mia e di tutti quanti sono candidati per questa corsa elettorale non ripiegarsi sul passato. Voglio concentrarmi sul futuro, sulle possibili soluzioni da mettere in atto per migliorare le condizioni dell’Italia, in primo luogo rispetto all’urgentissimo problema del lavoro e poi sulle tante voci del programma presentato dal Partito democratico. Non ho più intenzione di spendere una sola parola su Berlusconi, guardiamo oltre.
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