di Giovanna Pezzuoli da 27esimaora
Nel segno di Carla Lonzi e Simone Weil
Sono due donne che hanno tenacemente intrecciato vita e pensiero, la prova vivente della rara capacità di tradurre in pratica ciò che si è e si pensa. Simone Weil, scomparsa a 34 anni, e Carla Lonzi, a 51, incarnano, seppure in modo differente, due modelli carismatici. E ispirano il “Festival dei saperi e delle pratiche delle donne” che si svolge a Bari fino al 22 febbraio. Che cosa dunque ci insegnano oggi? Simone Weil (Parigi 1909-Ashford 1943) diceva di concepire la filosofia come “cosa in atto e pratica”. “Un personaggio di eccezionale coerenza”, spiega la filosofa Francesca Recchia Luciani, tra le ideatrici dell’incontro, che il 5 febbraio presenterà il suo libro “Simone Weil. Tra filosofia ed esistenza”.
“Poco più che ventenne Simone lavorò per un anno e mezzo nelle fabbriche parigine, nonostante la sua fragile salute, per sperimentare sulla sua pelle la condizione operaia, scoprendo quanto le donne fossero penalizzate e abbruttite dalla monotonia del lavoro”
E Simone Weil non ci pensò due volte ad arruolarsi nelle file dei Repubblicani che per lei rappresentavano gli umili, durante la guerra civile spagnola, anche se dopo un incidente, capitato nelle cucine a cui era stata assegnata, fu costretta a tornare a Parigi.
“Un’intellettuale eccessiva, rigorosa, o tutto o niente”, disse di lei Claude Levi Strauss, che la frequentò durante gli ultimi anni della sua breve vita, quando Simone Weil, sempre più vicina al misticismo cristiano, arrivava a digiunare per empatia nei confronti dei francesi durante l’occupazione tedesca.
“L’effort”, lo sforzo, era per la filosofa la chiave della fondazione dei valori, del bello, del vero e del bene. Una persona capace di “combaciare con se stessa”, espressione cara a Carla Lonzi (Firenze 1931-Milano 1982), alla quale è dedicato il festival di quest’anno, che nel 2012 aveva celebrato Ipazia, scienziata e filosofa neoplatonica, simbolo di sapienza e trasversalità culturale. E proprio all’incrocio fra sapere e pratica si situa questo appuntamento che individua quattro snodi tematici, ai quali corrispondono, a partire da oggi, specifici seminari: cura, lavoro, diritto e pedagogia.
Sempre nel segno di Carla Lonzi che è stata la prima in Italia ad avere liberato il femminismo dall’illusione paritaria, diffondendo le pratiche dell’autocoscienza e della relazione fra donne e scoprendo il valore della “differenza”.
“Basta chiedere la parità! – aggiunge Francesca Recchia Luciani – Ogni istituzione ha un comitato di pari opportunità che non è servito a nulla. Se accedi al potere con i mezzi che loro ti forniscono fai quello che vogliono… Occorre una modalità diversa di agire, ma non dobbiamo rifiutare il potere, bensì trasformarlo, scarnificarlo, diceva Carla Lonzi”
Anche lei, come Simone Weil, originale testimone di una perfetta (e talora sofferta) adesione fra vita e pensiero. Capace di abbandonare il suo lavoro di affermata critica d’arte, per dedicarsi totalmente all’impegno femminista, dando poi vita a “Rivolta femminile” e al Manifesto del 1972. “Una visione del mondo che le fa mettere in discussione ogni cosa, le rivolta la vita. – commenta ancora Francesca – Dopo “Sputiamo su Hegel” e “Taci, anzi parla”, il dialogo con il suo compagno Pietro Consagra in “Vai pure” rappresenta in un certo senso la chiusura del ciclo.
Carla registra le loro parole per pubblicare questi materiali che “rompono l’omertà del rapporto a due”. C’è una totale necessità di trasparenza nel raccontare la relazione e l’impossibilità di portarla avanti. La rottura con il grande scultore avviene nel 1980
anche se lei riconosce che nel bene e nel male è il rapporto più importante della sua vita, come racconta Loredana Rotondo nel suo bellissimo documentario”. Consagra le sarà comunque vicino fino alla morte, una fine drammatica per Carla, afflitta da un cancro incurabile e deformante.
Vite difficili, ispirate da grandi passioni. Vite al femminile come quelle raccontate in “Io, qui. Lo sguardo delle donne” da Costanza Quatriglio che a Barletta sta girando la storia delle cinque operaie morte nel laboratorio di maglieria. Con un richiamo al tragico incidente alla Triangle di New York in cui il 25 marzo del 1911 morirono 146 persone, per la maggior parte giovani operaie di origine italiana. Le nuove video narrazioni sono brevi ritratti di donne che fanno riflettere: dalla filippina dirigente di una ditta internazionale che viene scambiata per la tata, alla bambina della giovane precaria che battezza la sua bambola “Barbie precaria”, dalla ricercatrice pendolare con due figli che può lavorare solo grazie a una nonna a tempo pieno all’italiana di seconda generazione che aiuta le altre donne a trovare fiducia in se stesse e nuove competenze. Una costante ricerca d’identità che caratterizza anche “Il mio cuore umano” dove viene narrata la parabola artistica ed esistenziale di Nada Malanima, che fin da bambina venne “votata” dalla madre allo spettacolo.
Ma che valore può avere oggi la corenza in un mondo dove la doppia morale è la più diffusa filosofia di vita e l’apparire trionfa sull’essere? E chi potrebbero essere gli alfieri di questi valori che sembrano caduti nell’oblio?