di Maria Pia Ercolini
(fondatrice e responsabile di Toponomastica femminile)
Anna Maria Ortese, scomparsa oramai da quattordici anni, è stata riconosciuta come una delle voci più alte e originali
della letteratura italiana del secondo Novecento. A lei è stata intitolata una strada a Pomigliano d’Arco, in provincia di
Napoli. È una stradina decisamente secondaria che termina nei campi, accompagnata da villette geometrili dalle linee
pretenziose […]. Forse sarebbe piaciuta a Ortese questa strada, silenziosa, non del tutto cittadina, richiamata alla
campagna dal verde dei terreni coltivati ed incolti. Una strada estranea al movimento elegante del centro, senza palazzi
nobiliari, dimessa e periferica proprio come fu la nostra scrittrice.
Così esordisce Tiziana Concina nella sua analisi odonomastica dedicata alla scrittrice e pubblicata nel recentissimo volume” Le vie della parità”, risultato di un anno di lavoro del gruppo di Toponomasticafemminile. Un anno trascorso a censire le vie di migliaia di Comuni italiani, per dar prova, con fatti e non parole, che le nostre città parlano di uomini a uomini, ma non offrono alle nuove generazioni modelli femminili di alto spessore con cui identificarsi. Un anno passato a scrivere a sindaci e sindache di tutta Italia, per sottolineare la misoginia ambientale delle nostre aree di circolazione che ignorano la memoria delle loro donne.
E prosegue:
E tuttavia che solo questa strada richiami alla memoria la presenza e l’opera di un’artista ormai riconosciuta testimonia ancora una volta quanto sia difficile per una donna trovare un posto nell’orizzonte valoriale che condividiamo, anche se la donna in questione è stata, con colpevole e usuale ritardo, oggetto di interesse dei media e dell’industria della cultura.
Eppure Anna Maria Ortese ha conosciuto le strade di molte città in Italia e nel mondo, ha vissuto molti anni della sua vita spostandosi da una città all’altra, Napoli, Venezia, Milano, Roma, Genova, Rapallo, traslocando da una stanza all’altra, alla ricerca di un po’ di sicurezza economica e di serenità. È salita su moltissimi treni, attraversando da nord a sud un’Italia che, risvegliatasi dalla tragedia della guerra, stava cominciando a cambiare.
In questi viaggi, in questi spostamenti continui, ha potuto guardare il nostro Paese con gli occhi attenti di chi non ha radici, non ha potere, non ha chiese da difendere, e per questo è capace di vedere ben oltre l’apparenza. Anche quando, come spesso accade, l’occasione della scrittura ha una destinazione giornalistica, Ortese va oltre la cronaca e coglie una dimensione umana profondissima, che solo attraverso uno sguardo quasi allucinato può farsi strada oltre le barriere dell’ovvio.
Napoli, la città ove è cresciuta e che da adolescente attraversa in infinite passeggiate ansiose e visionarie, è il primo oggetto della sua osservazione: nascono i racconti, poi raccolti in Il mare non bagna Napoli. L’interesse si concentra sull’umanità abbandonata e degradata dei bassi, ma l’apparente finalità documentaristica rivela subito un intento narrativo più alto, che sostituisce alla denuncia una descrizione visionaria e fantastica.
Se Ortese non ha una sua strada a Napoli, è per quel dualismo pubblico-privato, frutto di una cultura
patriarcale e androcentrica, che ancora oggi si ostina a separare spazi maschili e femminili.
Anche la lingua, nel suo uso quotidiano del genere, si trova talvolta a ribadire la cesura: i governanti del mondo, le governanti di casa.
Raccontando di Anna Morandi Manzolini, artista bolognese del ‘700, Fiorenza Taricone nel suo contributo al volume ”Le vie della parità” afferma:
Siamo però sempre, anche con questo insolito autoritratto, con i dipinti, le sculture, le cappelle, gli edifici funebri, i mezzi busti, le opere d’arte, gli autoritratti delle artiste di ogni secolo, le incisioni, le statue, visibili solitamente nei musei, nelle case nobiliari, nelle biblioteche, nei monasteri, nell’ambito di un territorio ristretto, insomma in luoghi chiusi che devono aprire per essere visti e soprattutto ricordati. È invece nei luoghi pubblici, strade, vicoli, piazze, larghi, variamente denominati a seconda dei dialetti, che le donne sono maggiormente assenti, e questo non può non essere collegato alla millenaria dicotomia pubblico-privato, a quella sfera privata che non ha consentito al genere femminile quella ben nota circolarità privato-pubblico-privato, di cui ha goduto il genere maschile.
La Provincia di Napoli, con tre milioni di abitanti, 92 comuni e 18.321 aree di circolazione, conta appena 791 toponimi femminili – annuncia Daniela Sautto al convegno Toponomastica femminile: buone pratiche in Comune, che si è tenuto il 18 gennaio presso l’Antisala dei Baroni del Maschio Angioino – e ciò che lascia riflettere è la tipologia delle donne ricordate: 59% tra madonne, sante e suore, 13% di figure storiche, 8% di letterate, 1% di artiste e attrici, quasi del tutto assenti scienziate, sportive e lavoratrici.
Il Comune del capoluogo – censito e presentato al convegno da Livia Capasso – dedica il 7,2% di strade alle donne, contro il 45,4% di memorie maschili. L’indice di femminilizzazione è doppio rispetto alla media nazionale, ma la presenza di figure religiose è massiccia: su 274 aree di circolazioni, si hanno 102 madonne, 71 sante e 5 benefattrici.
Solo Maria Bakunin, tra le scienziate.
Eppure, Giuseppina Aliverti, geofisica, grande ufficiale al merito della Repubblica Italiana, socia corrispondente dei Lincei, meriterebbe l’omaggio di una città a cui ha dato la vita, insegnando meteorologia e oceanografia all’istituto navale, studiando l’interazione aria-mare nei processi oceanici e atmosferici, mettendo a punto un metodo di misurazione della radioattività
atmosferica che porta il suo nome. Perché è finita nell’oblio?
È ancora Fiorenza Taricone ne ”Le vie della parità’ ad analizzare le ragioni che ostacolano, in vita e in morte, la notorietà delle donne.
I criteri della celebrità appartengono a una sfera culturale e politica; rappresentano anzi il distillato di tale operazione e sono anche strettamente attinenti al perdurare della visibilità nel tempo e all’essere tramandati. Giova, in questa operazione, la cosiddetta ripetizione della tradizione, che però per le donne può giocare a sfavore, a causa delle difficoltà a liberarsi da una tradizione negativa, anziché gratificante. Il risultato di tradizioni consolidate nel corso dei secoli, impastate di misoginia, è che nella storia di genere maschile, anche oggi, è consentito fare solo brevi richiami, per indicare un concetto, una metafora, una simbologia comunemente accettati; l’autorità della storia o della scienza autorizza a non metterli in discussione e l’immaginario collettivo coglie immediatamente i cenni, con una sorta di riflesso condizionato. L’automatismo mentale, con cui ancora oggi ripetiamo schemi mentali vetusti e accettiamo la rimozione del femminile nei luoghi del vivere, è il segno di quanto essi siano rimasti vivi.
Per le donne rimontare la china non è stato facile e ci sono voluti secoli di impegno e sforzi. È stato necessario acquisire una visibilità storica, operazione in cui siamo ancora immerse, un’autorevolezza, un consolidamento della storia di genere di seguito alla storia sociale, dove la cultura materiale e del quotidiano avessero un posto degno; infine, c’è stato bisogno che la struttura ontologica femminile uscisse dalla sfera del naturale, cioè dell’immutabile, accedendo alla sfera culturale, quella del progresso, delle conoscenze, del cambiamento, individuale e collettivo
Eppure qualcosa sta cambiando a Napoli.
La delibera comunale del 3 ottobre 2012 è una tappa fondamentale per sostenere e mettere in pratica un reale riequilibrio nella toponomastica cittadina: d’ora in avanti, grazie ai nuovi criteri adottati dal Consiglio comunale, le assegnazioni avranno luogo “tenuto conto dei principi di pari opportunità nella declinazione toponomastica al maschile e al femminile” e le vie cittadine vedranno la concreta presenza di figure femminili di rilievo. Un’integrazione al secondo comma stabilisce di “reperire nuovi nomi
femminili da assegnare – tra cittadine napoletane o comunque campane; italiane o straniere che abbiano avuto un rapporto privilegiato on la città; donne di cultura scientifica, letteraria o di rilevanza sociale per istituti scolastici, biblioteche o luoghi di cultura di proprietà o nella disponibilità del Comune”.
Si tratta di un’iniziativa portata avanti da Toponomastica femminile per mano di Giuliana Cacciapuoti, co-referente per la Campania e componente del comitato scientifico del gruppo, e abbracciata dalle istituzioni che ne hanno valutato la portata innovativa in termini di applicazione fattiva delle pari pportunità.
Nascono nuove proposte di intitolazione da parte della cittadinanza.
Il Comune lancia un bando di concorso e le scuole accorrono – per osservare la città, le sue strade e le sue dinamiche di sviluppo; per riflettere sulle ragioni delle intitolazioni presenti e su quelle di tante esclusioni o assenze femminili; per individuare, attraverso la ricerca storica, figure meritevoli e significative per alunne e alunni della bella Napoli.
E la società civile si mobilita, con Giancarlo Ascione, per intitolare una via a Rita Levi Montalcini attraverso una raccolta firme su facebook (http://www.facebook.com/NapoliPerRitaLeviMontalcini
La Napoli che invade i labirinti mentali di Ortese, i viali delle sue lunghe passeggiate adolescenziali, la città maestosa e dolente, denunciata e trasfigurata nei suoi romanzi, lascia entrare spiragli di luce nei suoi vicoli bui e popolosi… e all’orizzonte s’affaccia il mare.