di Cristina Obber
Sui giornali di oggi la sentenza da L’Aquila: 8 anni.
8 anni che a lei, stuprata e picchiata con una spranga e lasciata nella neve seminuda, in una pozza di sangue, faranno male, male ancora, violenza nella violenza.
8 anni che a noi sembrano niente.
8 anni che a lui, Francesco Tucci, 21 anni, sembreranno troppi.
Come ad Antonio, che in carcere voleva parlare solo di sé, dei suoi 8 anni, dell’ingiustizia in quella condanna per lui troppo lunga.
Mi faceva i conti Antonio, sulle dita delle mani, proiettato solo sulla propria vita, in stand-by dentro una cella.
Lo guardavo negli occhi, gli dicevo Ma sono pochi!, E lui mi rifaceva i conti, concentrato su di sé.
Gli ho chiesto se a lei ci pensa mai, se si domanda come sta lei adesso.
Ma nei suoi occhi lei non esisteva, lei era lontana, dissolta.
Mi sono chiesta tante volte con quale rancore verso il mondo ingiusto e verso le donne uscirà Antonio dal carcere dopo altri sei anni degli otto che alzando la voce definisce troppi.
Mi torna in mente Marco, di 35 anni, che nel libro racconta come ha fatto violenza su una ragazzina di 15 che aveva abbordato al ritorno da scuola, e mi ha detto che in accordo con l’avvocato ha cercato di dimostrare che lei era consenziente.
Il suo unico obiettivo per lui era uscire al più presto e solo durante il trattamento intensificato rieducativo ha capito fino in fondo quanto male ha fatto, e oggi si augura solo che lei possa dimenticare.
Un altro ha detto che prima del trattamento pensava che i pedofili fossero molto peggio di lui, e che soltanto ora sa che sono pari, che la violenza è violenza e basta; la consapevolezza gli ha portato il rimorso e la vergogna con cui è giusto che faccia i conti. Ma questa consapevolezza prima del trattamento non c’era.
Chiediamoci perché il trattamento intensificato non è obbligatorio per tutti gli autori di violenza sessuale ma riguarda invece poche realtà.
Chiediamoci perché il progetto del CIPM non viene fatto parte integrante del lavoro nelle carceri e invece ha risorse sempre più limitate.
Perché è solo apparentemente un problema di soldi. La violenza costa, costa il carcere, costano i ricoveri, le cure per le patologie post-traumatiche, la ricostruzione delle vite.
Dove sono le istituzioni? Dove sono i partiti? Dove sono i candidati e le candidate?
Nella Costituzione si parla del carcere non come un deposito merci ma come un luogo di rieducazione.
Noi non vogliamo più che gli uomini escano dal carcere come da un freezer, intatti, senza il riconoscimento di ciò che hanno compiuto, del lutto arrecato, del male che hanno fatto.
Da L’Aquila ci dicono che Francesco Tuccia starà in carcere 8 anni (salvo sconti).
Mi chiedo se qualcuno si occuperà di lui, qualcuno si prenderà l’onere di “rieducarlo” alla vita o se ci verrà restituito, con 8 anni in più, esattamente come è ora, o più incattivito.
1 commento
8 anni sono pochi, ma potrebbero essere inutili se Tuccia non verrà rieducato… un omicida in più a piede libero…