di Nadia Cario e Giulia Penzo
Nebbia, acqua, mare, fiumi e terra, una terra distesa, bagnata, coltivata, e cielo che si confonde in essa fino a formarne un tutt’uno di incredibilmente vivo: questo è il Polesine, una cultura fatta di natura dove l’uomo è artefice, vittima e carnefice talvolta, dove la creatività e l’arte non prescindono mai dai luoghi. Rovigo ne è parte integrante.
Polesine, in ortografia classica, è una voce veneta che deriva probabilmente dal latino medievale pollìcinum o polìcinum o pollum ossia “terra paludosa”, “terreno molle”. Il suo territorio, compreso tra il basso corso dei fiumi Adige e Po, è soggetto a continui cambiamenti per il processo di abbassamento del suolo (subsidenza) e soprattutto per il lento avanzare del delta padano che conquista inesorabilmente il mare con i sedimenti depositati alle foci.
La provincia è tradizionalmente divisa in tre zone geografiche: l’Alto Polesine – il cui capoluogo è Badia Polesine – il Medio Polesine – il cui capoluogo è Rovigo – il Basso Polesine – il cui capoluogo è Adria, si susseguono da ovest verso est, seguendo il percorso ideale delle bonifiche.
Inglobata nel territorio di Rovigo c’è la Comuna di Grignano Polesine risalente all’anno 1.000.
In origine era un possedimento dell’Abbazia di Pomposa concesso in enfiteusi (utilizzo del fondo altrui con l’obbligo di migliorarlo e pagare un canone annuo) agli abitanti del villaggio per sei pesci cavedani e tre denari piccoli. Si tratta di uno dei pochi esempi di proprietà collettiva poiché il godimento dei terreni spettava ai “compartecipi”, ossia ai discendenti maschi delle famiglie originarie di Grignano che si adoperarono nei secoli per bonificare, rendere coltivabili e strappare alla palude quei terreni da cui ottenevano l’unico sostentamento alle loro vite.
Attualmente i terreni della Comuna vengono ripartiti ogni 5 anni fra i discendenti maschi delle famiglie originariamente investite e che risiedano tuttora a Grignano. La ripartizione del fondo avviene tramite estrazione a sorte con cerimonia pubblica all’interno dell’edificio chiamato pavajon.
Una tradizione patriarcale così consolidata ha lasciato poco spazio alla realizzazione socio-professionale delle donne, la cui memoria è poco presente anche nella toponomastica, dove l’indice di femminilizzazione si arresta al 5,6%, ben al disotto della media nazionale.
Le strade della Provincia di Rovigo (50 comuni) sono state interamente censite grazie al supporto della Consigliera di Parità della Provincia, Anna Maria Barbierato: su 4213 aree di circolazione totali, solo 110 (2,61%) portano nomi di donne a fronte di 1935 (46%) vie dedicate agli uomini.
Il territorio riconosce e rende omaggio a due mistiche locali.
A Rovigo Felicita Baseggio (Ferrara 1752 – Rovigo 1829). Anna Clara Giovanna Baseggio, nasce a Ferrara il 5 maggio 1752 da una famiglia di artisti: chi scultore in legno, chi pittore, chi ingegnere. A dieci anni, Anna, mandata a Ferrara a imparare l’arte della doratura matura la vocazione religiosa: nel 1783 viene accolta tra le Terziarie francescane della città, comunemente chiamate Le Muneghete. L’anno dopo veste l’abito religioso e prende il nome di suor Maria Felicita Fortunata. Ha doti contemplative e di preveggenza. È autrice di trattazioni ascetiche e teologiche, e di rivelazioni mistiche, in poesia e in prosa.
A Maria Bolognesi (Bosaro 1924 – Rovigo 1980) il suo paese di origine, Bosaro, stretto tra il canale Bianco e il collettore Padano-Polesano, intitola nel 2006 la piazza antistante la chiesa mentre il comune di Frassinelle Polesine le intesta un vicolo. Di poverissime origini, Maria si dedica al sostegno della famiglia e si adopera per l’aiuto dei bisognosi e degli ammalati. Dopo un periodo in cui venne considerata pazza comincia a manifestare doti di preveggenza di avvenimenti che puntualmente si verificano.
Nel comune di Rovigo troviamo 28 strade dedicate alle donne (4,6%).
Nella classificazione prevalgono le figure storiche e politiche. Tra queste amiamo ricordare Livia Bianchi, partigiana, nome di battaglia “Franca” (Melara, 19 luglio 1919 – Cima Valsolda, 21 gennaio 1945). Durante un’operazione la sua brigata venne catturata e a Livia fu offerta la grazia e la libertà in quanto donna. Ella rifiutò per la “sua dignità di donna e di partigiana” restando unita ai compagni nel supremo sacrificio.
In città, sulla facciata del Palazzo Montalti, è esposta una lapide commemorativa dedicata a Erminia Fuà Fusinato, patriota, poetessa, educatrice: il suo fu un femminismo liberale, moderato e non radicale in quanto ella rivendicava per le donne il solo diritto all’istruzione.
I primi decenni dell’Ottocento sono caratterizzati da un insolito fermento architettonico legato alla nascita dei teatri del Polesine: nel 1813 ad Adria, nel 1814 a Lendinara e Badia e nel 1819 a Rovigo, dove viene inaugurato il Teatro Sociale, prospiciente piazza Garibaldi. E’ un periodo storico caratterizzato da grande fermento culturale e anche quando le strutture odierne non rispecchiano le primitive costruzioni, esse sono comunque testimonianza della ricca storia che caratterizza la regione. L’amore per la cultura e il teatro si riconosce anche nelle intitolazioni. E allora troviamo via Rosetta Pampanini, dedicata alla soprano italiana, nata a Milano, dove il padre Gerolamo, polesano, si trovava a quel tempo a causa del suo impiego come ufficiale dell’esercito. Rosetta inaugurò nel 1935 il Teatro Comunale di Adria con il Mefistofele di Boito. Nel 1947, all’apice del successo, abbandonò il palcoscenico con Tosca per dedicarsi interamente all’insegnamento, che aveva iniziato con molto impegno già dal 1942. Colpita da un male incurabile, per sua espressa volontà fu trasportata a Corbola, suo paese di provenienza familiare in cui trascorreva fin da piccola le vacanze estive, e qui spirò il 2 agosto 1973.
Per continuare con le donne di spettacolo a Occhiobello troviamo una via dedicata alla grande attrice Giulietta Masina, ad Anna Magnani presente anche nei comuni di Stienta e di Ficarolo, a Eleonora Duse ricordata a Loreo e a Badia Polesine.
In quest’ultimo comune dell’Alto Polesine, troviamo 7 strade dedicate alle donne su 229 (3%). Sono per lo più letterate e donne di cultura come Alda Cortella (poetessa), Marina Guerra (professoressa, fondatrice biblioteca civica), Santa Rosa, Sorelle Maria e Santina Romani (maestre asilo Crocetta) ed Emanuela Setti Carraro, moglie del generale-prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, che a soli 31 anni rimase vittima dell’attentato mafioso in cui vennero uccisi il marito e l’agente di scorta Domenico Russo.
Nel basso Polesine, ad Adria troviamo solo 8 strade su 373 (2,14%) dedicate alle donne.
Vengono ricordate la filantropa Laura Renovati (il Centro Servizi Anziani di Adria, già Pia Casa di Ricovero della città di Adria, è stata fondata nel 1852 proprio a seguito di un lascito testamentario della signora Laura), la scienziata Maria Curie, Madre Teresa di Calcutta e S. Eurosia (che si invoca contro le tempeste, i fulmini, le grandinate e per i frutti della terra), la principessa d’Assia Mafalda di Savoia e la nobildonna Eleonora Calcagnini Contuga, che nel 1584 donò una barchessa per la costruzione della chiesa arcipretale.
Alla più energica e attiva Lina Merlin (1887-1979), senatrice viene dedicato un piazzale dove c’è la sede del Partito Socialista.
Lina Merlin è nota per la legge 20 febbraio 1958, n. 75 – conosciuta come Legge Merlin – con cui venne abolita la prostituzione legalizzata in Italia, ma la sua opera è stata molto più vasta e incisiva, tanto che, in occasione del 120° anniversario della nascita è sorto un Comitato promotore (il cui ente capofila è la stessa Provincia di Rovigo), con l’intento di promuovere e diffondere l’opera svolta dalla senatrice per l’avanzamento sociale e culturale del popolo italiano e in particolare delle donne (www.linamerlin.it/).
All’anagrafe di Pozzonovo era stata denunciata come Angelina. Visse l’infanzia e la giovinezza a Chioggia, dove il padre, Fruttuoso, era segretario comunale. Diplomatasi maestra elementare, proseguì gli studi in Francia e conseguì l’abilitazione all’insegnamento del francese nelle scuole medie. Durante il regime, per essersi rifiutata di prestare il giuramento fascista, fu dimessa dall’insegnamento. Arrestata a più riprese, nel 1926, per la sua attività antifascista, fu condannata a cinque anni di confino. Li scontò in Sardegna (a Nuoro, a Dorgali e a Orune, dove fu anche privata della “indennità” prevista per i confinati). Scontata la punizione, si trasferì a Milano, dove pensava d’essere meno controllata. Nel capoluogo lombardo, Lina sposò un medico (Dante Galloni, già deputato socialista di Rovigo) incontrato in una riunione clandestina. Nel 1936 restò vedova ma continuò l’attività antifascista. Dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla guerra di liberazione nelle file della Resistenza e, a liberazione avvenuta, entrò nella direzione del Partito socialista. Eletta alla Costituente, sembra si debba a lei se l’articolo 3, oltre che recitare “Tutti i cittadini… sono uguali davanti alla Legge”, precisa anche “senza distinzioni di sesso”. Eletta al Senato nel 1948 (suo è il primo intervento di una donna in quell’Assemblea), e rieletta nel 1953, è tra le fondatrici dell’UDI (Unione Donne Italiane). Nel 1951, anno dell’inondazione del Po, Lina Merlin (che nel maggio era stata anche eletta consigliere comunale di Chioggia), accorse in Polesine. Nel 1958 passò alla Camera, ma tre anni dopo uscì dal Partito socialista e in seguito rifiutò di ricandidarsi: allontanatasi dalla politica attiva, (lei che nel 1955 aveva pubblicato, con Carla Barberis, Lettere dalle case chiuse), si dedicò alla scrittura delle sue memorie. Il libro, intitolato La mia vita, verrà pubblicato soltanto dieci anni dopo la sua morte, a cura di Elena Marinucci .
Il comune di Corbola intitolando 3 strade a donne, oltre ad onorare la cantante lirica Rosetta Pampanini, e la nobildonna Elisabetta Pericoli, ricorda Anna Kuliscioff (1853/57 – 1925) la “dottora dei poveri” il cui vero nome è Anja Rosenstein. Femminista, rivoluzionaria, anarchica, socialista internazionalista di origini russe, visse molta parte della sua vita in Italia e in Italia morì. Sempre in prima fila nelle lotte politiche contro le ingiustizie ne pagò le conseguenze con la clandestinità e con il carcere. Fu detenuta a Firenze dove contrasse la tubercolosi. Per curarsi, studiò medicina specializzandosi in ginecologia prima a Torino e poi a Padova: con la sua tesi scoprì le origini batteriche delle febbri puerperali aprendo la strada alla salvezza di milioni di donne dalla morte post partum.
Ben 18 comuni su 50 della provincia, circa un terzo, sono privi di intitolazioni al femminile. Si tratta di piccoli comuni con popolazione che non supera i 5.000 abitanti (a parte Villadose che li supera di poco).
16 comuni hanno solamente una intitolazione: Arquà Polesine, Bagnolo di Po, Castelmassa, Crespino, Fratta Polesine, Guarda Veneta, Pontecchio Polesine San Bellino e Trecenta a figure religiose, mentre Bergantino intitola a Cordelia, Castelnuovo di Bariano alla Granduchessa, poi Regina d’Italia, Matilde di Canossa, Ceneselli alla partigiana Vittoria Nenni, presente anche ad Ariano nel Polesine. Salara e Taglio di Po omaggiano Grazia Deledda, San Martino di Venezze la maestra elementare del paese, Maria Teresa Reato. Polesella che fa parte dell’Unione dei Comuni dell’Eridano, dedica l’unica intitolazione femminile alla polesana Giannetta Ugatti (1868-1957). Personaggia che aveva avuto modo di abitare in grandi città italiane ed estere frequentando l’alta borghesia Mitelleuropea. Nel 1892 sposò un membro della casata Capnist, antichissima nobiltà russa da cui provenivano alcuni ambasciatori dello Zar. È stata collaboratrice di riviste, opinionista e scrittrice di novelle. Il tema delle condizioni lavorative delle donne e dei fanciulli era di prassi nelle sue conferenze, sempre seguite da un attento e colto pubblico.
Per ultimo una particolarità che troviamo nel comune di Rosolina. A ridosso della stazione ferroviaria una via è intitolata a Mariangela Marangon, la cittadina che fu vittima nella strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ecco che la storia individuale s’intreccia con la Storia.
Passare per il Polesine e trovare un sottile segno a testimonianza delle donne che vi sono vissute significa portare alla luce il contributo di quante, in prima persona, abbiano contribuito a migliorare l’esistenza in questa terra molle resa vivibile dal duro lavoro di trasformazione umana.