Rita Levi-Montalcini è nata a Torino, insieme alla sorella gemella Paola, il 22 aprile del 1909 ed è deceduta il 30 dicembre 2012 a Roma, all’età di 103 anni.
“Ebrea, donna, perseguitata dal fascismo, vincitrice del Nobel”. Così si potrebbe sintetizzare la sua vita, ma sarebbe un elenco riduttivo per chi come lei ha dedicato interamente la vita alla ricerca e all’impegno sociale.
“Il mio unico merito è stato l´impegno e l´ottimismo, non certo l´intelligenza che è più che mediocre”, aveva esordito Rita Levi-Montalcini nel 2008 in un’aula magna gremita di studenti, dopo l’assegnazione della laurea honoris causa in Biotecnologie industriali dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca. In un discorso ironico e appassionato, applaudito da centinaia di giovani, la senatrice a vita aveva invitato gli studenti “ad avere fiducia, credere nel proprio lavoro e guardare la vita con ottimismo”.
Rita Levi-Montalcini era figlia dell’ingegnere Adamo Levi e della pittrice Adele Montalcini, colti borghesi di origine ebraica. Ebbe un fratello – Gino – scultore e architetto e una sorella – Anna – che dopo studi letterari si dedicò completamente alla famiglia. Il padre si aspettava anche dalle altre due figlie una classica vita da mogli e madri, ma Rita si è sempre sentita “assolutamente inadatta a ricoprire quei ruoli tradizionali”, come ha dichiarato nella sua autobiografia Elogio dell’imperfezione, pubblicata nel 1987.
A vent’anni decise di studiare medicina. Sostenne da esterna l’esame di maturità e si iscrisse all’università della sua città natale. Il professore Giuseppe Levi, famoso istologo con cui avrebbe collaborato tutta la vita, le diede una buona base di biologia e le insegnò l’arte della ricerca scientifica. Rita si specializzò poi in neurologia e psichiatria, finché le leggi razziali imposte da Mussolini che escludevano gli ebrei dalle università interruppero la sua carriera di medica e di assistente universitaria.
Per questo motivo, nel 1939, accettò un posto di ricercatrice a Bruxelles, ma l’anno successivo quando l’esercito tedesco occupò anche il Belgio dovette nuovamente fuggire. Tornata in Italia dalla famiglia, allestì nella sua stanza un laboratorio di fortuna dove poté continuare le ricerche neurobiologiche. Si occupava dello sviluppo del sistema nervoso nell’embrione del pollo e lavorava con mezzi casalinghi: per sezionare i cervelletti degli embrioni ottenuti dalle uova, utilizzava aghi che levigava con le pietre fino a renderli sottili e taglienti come lame di bisturi.
Nel 1944, dopo la liberazione della città, trovò lavoro come medico in un campo profughi di Firenze. Qui però si rese conto che quel lavoro non era adatto a lei, in quanto non riusciva a trovare il sufficiente distacco dal dolore dei pazienti. Finita la guerra riprese quindi la sua attività di ricercatrice presso l’Università di Torino. Riprese le sue ricerche sullo sviluppo e sulla differenziazione dei centri nervosi e su questi argomenti pubblicò numerose Memorie, con il professor Giuseppe Levi.
Nel 1947 accettò l’invito a recarsi negli Stati Uniti offertole dal professor Victor Hamburger, alla cui opera si era ispirata durante le sue ricerche casalinghe. Lavorò nel laboratorio della Washington University di St. Louis, dove rimase quasi trent’anni occupandosi dello sviluppo del sistema nervoso. Insieme alla ricercatrice tedesca Herta Mayer dimostrò biologicamente l’esistenza di un “fattore di accrescimento” delle fibre nervose, il cosiddetto NGF (Nerve Growth Factor), e nel 1954, in collaborazione con il biochimico Stanley Cohen, arrivò all’isolamento e all’identificazione di tale sostanza: una proteina che viene sintetizzata da quasi tutti i tessuti e in particolare dalle ghiandole esocrine.
Alla luce degli sviluppi successivi, possiamo oggi cogliere appieno il significato di questa scoperta: alcune cellule del sistema simpatico sono stimolate dall’organo di cui regolano l’attività; una maggior richiesta è in grado di modificare in senso ipertrofico le cellule di questo sistema. Dopo aver sperimentato che, trattando alcuni topi con un siero anti-NGF, questi presentavano gravi problemi neuroendocrini dovuti ad alterazioni irreversibili dell’ipotalamo, Rita Levi-Montalcini lo utilizzò per controllare la crescita dei tumori delle cellule nervose.
Le sue ricerche pionieristiche furono il punto di partenza per la scoperta di numerosi altri fattori di accrescimento che giocano un ruolo importante nello sviluppo degli organi e dei tumori e oggi l’NGF viene impiegato per una maggiore comprensione e cura delle malattie neurologiche degenerative come l’Alzheimer.
Nel 1958 la scienziata ottenne una cattedra presso la Washington University di St. Louis e, nonostante inizialmente volesse rimanere in quella città solo per un anno, vi lavorò e vi insegnò fino al suo pensionamento, avvenuto nel 1977. Dal 1962 si era spostata continuamente tra gli Stati Uniti e l’Italia, dove costruì e diresse l’Istituto di Biologia Cellulare dell’Università di Roma per il Consiglio Nazionale delle Ricerche e dove ricoprì il ruolo di professore ospite, dal 1979 in poi.
Il Premio Nobel per la medicina, che ottenne nel 1986 insieme al collega Stanley Cohen per la scoperta dell’ NGF, fu per lei una grande soddisfazione. La scienziata devolse una parte del premio alla comunità ebraica per la costruzione di una nuova sinagoga a Roma.
Rita Levi-Montalcini ha sempre avuto molto a cuore la questione della parità dei diritti delle donne in ambito scientifico e per le donne si è molto adoperata attraverso la sua Fondazione Rita Levi-Montalcini, un’istituzione che tra l’altro, ha sostenuto negli anni oltre 6 mila donne africane nel diritto allo studio. Ha continuato inoltre a prodigarsi con intensità in molteplici attività di ricerca in campo medico e di divulgazione attraverso numerose pubblicazioni.
Nel 2000 ha pubblicato Cantico di una vita, un altro libro autobiografico in cui offre un ritratto del suo percorso esistenziale e scientifico, attraverso le lettere scritte ai familiari, soprattutto alla madre e alla sorella gemella Paola, pittrice e scultrice scomparsa nello stesso anno, a cui il libro è dedicato. Nel prologo all’epistolario l’autrice cita una frase di Primo Levi che ha ispirato la sua vita: “Amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”.
Rita Levi-Montalcini è stata socia nazionale dell’Accademia dei Lincei per la classe delle Scienze Fisiche. Nel 2001 fu eletta Senatrice a vita dall’allora Presidente della repubblica Carlo Azelio Ciampi.
Dal 2000, Rita Levi Montalcini aveva prospettato la possibilità di creare un istituto scientifico dedicato interamente alle ricerche sul cervello. Possibilità che si realizzò nel 2002 con l’European Brain Research Institute (EBRI), un polo di eccellenza che ha accolto e accoglie ancora molti giovani ricercatori, con una particolare attenzione alle donne. La scienziata vi si recava quasi tutti i giorni per seguire nei laboratori le ricercatrici, come a volerle sostenere anche solo con la sua presenza.
Con la vittoria di misura dell’Unione alle elezioni politiche del 2006, Rita Levi-Montalcini, in qualità di senatrice a vita, ha tenacemente accordato la fiducia al governo di Romano Prodi. Per questo motivo l’ex ministro Francesco Storace la contestò pubblicamente in maniera inusitata, ironizzando sull’età della senatrice quasi centenaria e suggerendo di fornirla di un paio di stampelle.
La scienziata gli rispose con una lettera – pubblicata sul quotidiano La Repubblica – da cui traspare la sua educata, elegante, ferrea intelligenza, di cui riportiamo il testo.
Caro direttore,
ho letto su Repubblica di ieri che Storace vorrebbe consegnarmi, portandomele direttamente a casa, un paio di stampelle. Vorrei esporre alcune considerazioni in merito.
Io sottoscritta, in pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche, continuo la mia attività scientifica e sociale del tutto indifferente agli ignobili attacchi rivoltimi da alcuni settori del Parlamento italiano. In qualità di senatore a vita e in base all’articolo 59 della Costituzione Italiana espleterò le mie funzioni di voto fino a che il Parlamento non deciderà di apporre relative modifiche. Pertanto esercito tale diritto secondo la mia piena coscienza e coerenza.
Mi rivolgo a chi ha lanciato l’idea di farmi pervenire le stampelle per sostenere la mia “deambulazione” e quella dell’attuale Governo, per precisare che non vi è alcun bisogno. Desidero inoltre fare presente che non possiedo “i miliardi”, dato che ho sempre destinato le mie modeste risorse a favore, non soltanto delle persone bisognose, ma anche per sostenere cause sociali di prioritaria importanza. A quanti hanno dimostrato di non possedere le mie stesse “facoltà”, mentali e di comportamento, esprimo il più profondo sdegno non per gli attacchi personali, ma perché le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria.
Roma, 10 ottobre 2007
Rita Levi-Montalcini ha partecipato fino all’ultimo e con passione alla vita politica del nostro Paese e alla conduzione della sua Fondazione. Anche dopo la perdita della vista, avvenuta quando la scienziata aveva 92 anni, è sempre stata attiva in campo scientifico e civile, dove ha espresso con coraggio e autorevolezza un parere laico e anticonformista su temi scottanti come quello del testamento biologico, dell’eutanasia, della clonazione a scopo terapeutico e dell’ingegneria genetica.
Alla morte, dopo essere stata cremata, è stata sepolta nel Cimitero Monumentale di Torino nella tomba di famiglia.Di sé stessa diceva: “Il corpo faccia quello che vuole, io non sono il corpo, io sono la mente”.
La biografia di Rita Levi-Montalcini è tratta dal libro: Sara Sesti e Liliana Moro, “Scienziate nel tempo. 70 biografie”, edizioni LUD, Milano, 2010