Sembra che qualcosa si stia finalmente muovendo in Arabia sul piano dell‘emancipazione tra i sessi.… MA IL GRANDE FRATELLO OSSERVA
Se ci dovessimo limitare a un esame superficiale delle notizie che giungono in questo periodo dall’Arabia saremmo indotti a credere che qualcosa si stia finalmente muovendo sul piano dell‘emancipazione tra i sessi.
Recentemente, infatti, re Abdullah si è pronunciato in merito alla nuova composizione del Consiglio Consultivo della Shura stabilendo che i 150 membri in carica per un quadriennio dovranno d’ora in poi annoverare la presenza di trenta donne, una quota pari almeno al 20% dei seggi disponibili.
Una decisione di notevole spessore politico e sociale, se non fosse per il fatto che che il Consiglio rappresenta in realtà un organismo parlamentare privo di alcun potere legislativo: il suo ruolo infatti rimane esclusivamente propositivo in materia di norme che potranno essere però varate solo dall’autorità reggente. Una sorta di specchietto per allodole, insomma.
Ovviamente le neodeputate saranno tenute al rigoroso rispetto delle regole stabilite dalla Sharìa, vale a dire che oltre a indossare l’immancabile hijab, esse dovranno servirsi degli appositi ingressi separati e accettare di sedere in parlamento schermate agli occhi dei colleghi maschi.
Wajeda al-Hawidar, molto attiva nella lotta per i diritti civili, si è tuttavia espressa positivamente sulla questione, “anche se le questioni femminili”, aaggiunge, “sono ancora tutte da risolvere. Ci sono così tante leggi e misure da sospendere o emendare”, aggiunge, “prima che le donne possano essere trattate come adulte senza il mandato di un guardiano”.
“Anche se il Consiglio fosse composto solo da donne”, commenta invece sarcasticamente Abdulla, “esse verrebbero comunque oppresse e considerate cittadine di decima serie”.
Più drastica l’opinione di Faisal Alkantani, per la quale il decreto “non significherà nulla finchè non avrò il diritto di eleggere i membri del Consiglio”.
Nonostante i timidi approcci al cambiamento sociale e civile attuati dall’ormai 88enne monarca saudita (nel 2009, ad esempio, ha inaugurato la prima università mista, l’anno seguente ha concesso alle avvocatesse il diritto alla difesa in aula dei rispettivi clienti e nel 2011, oltre ad aver consentito a due atlete di gareggiare alle Olimpiadi di Londra, si è detto favorevole alla candidatura e al voto femminile a partire però dal 2015, in occasione delle consultazioni municipali), il potente clero wahabita continua a rappresentare un grosso ostacolo per la modernizzazione effettiva del paese.
Se da un lato, poi, il Ministero degli Interni conferma orgogliosamente che i servizi di intelligence del Regno sono pronti ad accogliere profili femminili – sebbene per il momento con ruoli relegati alla sfera socio-umanitaria – dall’altro ecco che il medesimo governo si attiva contemporaneamente per smentire se stesso e complicare ulteriormente la vita all’altra metà del cielo. Questa volta ricorrendo all’ausilio della tecnologia più avanzata.
In una nazione che insiste a penalizzare le donne negando loro qualsiasi possibilità di praticare sport, di guidare o di circolare liberamente in assenza di un accompagnatore, lo scorso aprile è stato messo a punto uno strano ed emblematico sensore che debitamente applicato alle vittime designate è perfettamente in grado di segnalare via sms a tutti mariti e al relativo virile parentado qualsiasi loro spostamento ritenuto improprio. Una sorta di Grande Fratello orwelliano in chiave saudita, insomma.
La giornalista Badriya al-Bashr ha perfettamente ragione quando critica senza mezzi termini “lo stato di effettiva schiavitù a cui è condannato l’intero universo femminile”; certo è impossibile, per chiunque abbia un briciolo di sensibilità, rimanere indifferenti di fronte a questo ennesimo, vigliacco, subdolo, inaccettabile atto di sottile sopruso attuato a danno della psicologia femminile.