Pistorius, Il dubbio di una ferocia trattenuta fulminea e violentissima
Ventisei anni, un sorriso da attore hollywoodiano, rassicurante e sereno, una volontà senza confini, una serie di vittorie che nemmeno un atleta con le gambe può vantare di aver ottenuto in così breve tempo, ma per ”the fastest thing on no legs”, la cosa più veloce su nessuna gamba, il dubbio resta molto forte e l’ergastolo potrebbe diventare una realtà assai vicina.
Il dubbio di una ferocia trattenuta fulminea e violentissima, di un rancore verso il mondo dei bipedi, verso il palestrato corteggiatore di Reeva Steenkamp e anche se si è ancora lontani dalla verità, il corpo martoriato di una delle 100 donne più seducenti del mondo pretende immobile chiarezza di risposte.
Ora rilasciato su cauzione deve provare la sua non premeditata ferocia.
Ancora una volta parliamo della tragedia che colpisce una donna, uccisa forse per gelosia, forse per errore, ma sempre a tradimento e dal compagno, dall’uomo amato dal quale non si aspetta di essere massacrata.
Donne apparentemente libere, schiave nel rapporto di coppia, dal quale non è possibile evadere nemmeno per un attimo, perché di possesso e non di amore si tratta.
Questo ragazzone australiano che tanto ampiamente ha dato al mondo sportivo e non solo, prova della sua forza, della sua determinazione e sicurezza nel superamento estremo di barriere nella diversa abilità, nella sua mente, se veramente colpevole, covava un così sopito disagio verso la normalità degli altri tanto da averne paura, una paura sfociata nella cancellazione violentissima dell’oggetto del suo amore, che forse avrebbe potuto abbandonarlo.
Le testimonianze sembrano fornire particolari che confermerebbero una premeditazione nell’omicidio, le sue lacrime iniziali hanno lasciato il posto ad una freddezza composta, ad una presenza assente di questi ultimi giorni in tribunale, atteggiamenti questi che possono far rivelare una fragilità contrastante con la sistematica potenza nella lotta che Pistorius deve aver sostenuto dall’amputazione degli arti fino alla sfida olimpica, per riuscire ad affermare a se stesso e al mondo che nulla, proprio nulla nemmeno una tragedia infantile può limitare la certezza di essere fisicamente uguale a milioni di altri ragazzi.
Può accadere che la mente si concentri non su quello che ha o fa o su dove è arrivata, in certi casi non si riesce a soffermare l’attenzione sul presente, sulle battaglie vinte, sui risultati ottenuti, ma come un pensiero ossessivo e compulsivo si corre al disagio che ha generato la lotta, alla fatica dello sforzo, alla paura di perdere ciò che a costo di grandi rinunce e fatiche si è conquistato.
Ecco allora l’esplosione della follia non controllata, l’eliminazione violentissima della causa di sofferenza e di incertezza quasi a voler ripristinare la quiete della mente, a togliere la paura della perdita.
Chissà se questo fatale meccanismo autodistruttivo ha colpito anche l’atleta australiano, fino ad ora esempio etico e vincente delle enormi possibilità che l’uomo ha nel dimostrare di poter sconfiggere ogni disagio.
Vogliamo per Reeva e per tutte le donne come lei colpite dalla violenza dei partner che si rivelino subito giustizia e verità.