di Caterina Della Torre
Una storia dura, ambientata in un mondo lontano temporalmente, ma tuttavia vicino, in cui convivono antiche tradizioni e nuovi costumi, ma che ci lascia freddi, immobili, come se nulla fosse accaduto. Ma le immagini di vita e di morte ci scavano dentro e si depositano.
“L’educazione siberiana” è l ultimo film di Salvatores ispirato all’ omonimo romanzo di Nicolai Lilin. Uno strano tipo di “educazione”, mi sono detta, quella criminale, sebbene con precise regole d’onore, quella degli Urka una piccola comunità siberiana di criminali dove non si stupra, non si fanno estorsioni, non si fa usura. E’ difficile c0mprendere pienamente il film senza aver letto il romanzo di Lilin, un russo che scrive in italiano.
La storia raccontata dal protagonista Kolima ( e probabilmente quella del suo autore) è quella della sua infanzia, adolescenza e giovinezza all’interno della comunità degli Urka siberiani, la comunità di criminali deportata da Stalin al confine con l’attuale Moldavia, in una terra di nessuno che è la Transnistria (chiamata Fiume Basso nel film). L’arco temporale in cui si svolge la storia è quella degli anni che vanno dal 1985 al 1995, in cui ha luogo la caduta del muro di Berlino e la conseguente sparizione dell’Unione Sovietica.
Un mondo che cambia in fretta mentre penetrano dall’occidente altri usi e costumi. Ma la tradizione resta immutata ed anche gli obblighi dei giovani verso di questa.
Ogni Urka ha sempre al proprio fianco una donna che faccia da tramite. E gli anziani nel romanzo hanno un ruolo centrale nel tramandare le tradizioni non scritte. Come il tatuaggio che è una sorta di marchio e codice che serve a raccontare la storia della una persona. Per i siberiani il tatuatore è come un confessore.
Gabriele Salvatores nel film vuole raccontare l’incontro fra le generazioni togliendo al romanzo tutto quello che non segue la sua intuizione originale. Spersonalizza una comunità criminale siberiana radicata nella tradizione che si confronta e affronta la modernizzazione globale. Spesso i protagonisti vengono decontestualizzati ed avvicinati ad altra gioventù, la nostra.
I personaggi non vengono mai attraversati dalle passioni tanto che il loro destino ci risulta spesso indifferente.
Nemmeno Kolima,quando cerca di stabilire la sua verità e giustizia, risarcendo l’innocente uccisa, uccidendo l’amico di sangue si emoziona. Freddo, compie il suo dovere ed emigra verso poi verso ovest, come se l’emigazione servisse a lenire e cancellare la sua pena.
Le uniche figure femminili, la madre/zia di Kolima e la giovane ‘voluta da dio” non servono a riscaldare l’atmosfera gelida come il fiume che scorre e quando in piena, porta via case e persone.
Gli attori, sono un cast giovanissimo tenuto nelle griglie da John Malkovich.
Regia di Gabriele Salvatores. Con Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Jonas Trukanas, Vitalji Porsnev.