di Caterina Della Torre
Sono passati solo quattro anni dal terribile terremoto dell’Aquila e non se ne parla quasi più, sommersi da altri problemi nazionali e globali. Ma gli aquilano continuano a lottare per non far morire la loro città.Tra una scossa e l’altra. Ce la faranno?
Abbiamo intervistato Marilena De Ciantis,classe 1955, residente da oltre 40 anni all’Aquila. Sposata, due figli, laureata in Lingue e Letterature Straniere (inglese, tedesco e spagnolo) e successivamente in Giurisprudenza.
Abilitata alla professione di avvocato, che esercita soprattutto con riferimento al diritto amministrativ è anche Mediatore Civile e Commerciale, nonché professore a contratto presso l’Università dell’Aquila.
Eri all’Aquila nel periodo del terremoto?
La tragica notte del 6 aprile 2009, ero in casa con mio marito ed il figlio minore. E’ stata una esperienza terribile, indicibile, che ha cambiato le nostre vite nel giro di trenta secondi! Sul momento, ci siamo ritenuti fortunati per essere scampati alla morte, ma, una volta realizzato che la nostra città era stata distrutta, lo sconforto ha preso il sopravvento!
Come lo hai vissuto? Ed ora ti senti sicura?
Abbiamo dovuto fare un grande sforzo, e ancora lo facciamo,per riprendere una parvenza di vita normale e dare conforto ai nostri giovani, che, insieme agli anziani, hanno maggiormente subìto una destabilizzazione psicologica, che, a mio parere, li segnerà a vita. Successivamente al terribile evento, la città è stata “spalmata” sul territorio circostante il centro storico inagibile, con la edificazione di 19 quartieri dormitorio, anonimi, senza servizi, dove, ormai, gran parte della gente vive quasi al limite della rassegnazione. Dopo 4 anni, i cantieri della ricostruzione si contano sulla punta delle dita, in periferia alcuni edifici sono stati “risistemati” e gli abitanti sono rientrati nelle loro case di origine,u na minima parte, però, rispetto alla massa della popolazione sfollata! Ciò che preoccupa è che le scosse continuano e le case ristrutturate presentano un basso grado di sicurezza antisismica (che va dal 60 all’80%),insomma la ricostruzione, appena avviata, non rientra nei parametri di sicurezza del 100%, necessari per un territorio così altamente sismico come il nostro.
Adesso che la situazione è più calma? Si conduce una vita vicina alla normalità?
Siamo diventati cittadini di una città che non c’è, abbiamo perso l’ identità pregressa al sisma, considerato da moltissimi di noi l’anno zero, lo spartiacque tra la nostra vera, normale vita di prima e quella di oggi, costellata di paure, di disagi psicologici ed economici,acuiti dagli episodi continui di microcriminalità (furti, scippi, rapine, violenze alle persone
ed alle cose), cresciuti in maniera esponenziali dopo il terremoto!
Sai bene che quando il cittadino non si sente sicuro,tende a deprimersi, ad isolarsi, a rinchiudersi nel proprio nucleo familiare e ciò non fa bene ai rapporti sociali, già tanto provati e “sfilacciati” dalle vicende tragiche susseguitesi al sisma (sfollamento per mesi, anni, sulla costa; distruzione di interi nuclei familiari, per decesso dei componenti; alterazioni dei rapporti interni alle famiglie, causate dalla coabitazione forzata, cui molti sono stati costretti per aver titolo ad ottenere l’assegnazione delle famose case costruite dal governo (che,a dire il vero, hanno dato ricovero
solamente a 14.000 persone su un totale di 70.000 sfollati); crollo dell’economia cittadina.
Come si fa a tornare ala normalità dopo un evento simile?
Gli aquilani stanno vivendo una doppia crisi: quella globale e quella post terremoto! La disperazione è acuita dalla circostanza che l’economia non riparte, è in fortissima sofferenza, le poche, coraggiose attività commerciali che avevano, con sacrificio, riaperto i battenti, stanno chiudendo! E’ in continuo aumento il numero dei disoccupati e degli inoccupati,sicché in tanti stanno andando via: solo la scuola, in toto, ha perso oltre 2000 studenti!
E tu? Sei rimasta?
Io appartengo a quella categoria di persone che ha deciso di rimanere, ci siamo rimboccati le maniche, non avendo, per fortuna, grandi problemi psicologici, tali da richiedere un aiuto specialistico. All’inizio eravamo convinti di potercela fare, motivati dalla volontà di dare almeno una speranza ai giovani, ma ora cominciamo a capire che, se non arriveranno gli aiuti promessi dallo Stato, la nostra città- comunità non rinascerà più!