di Andrea Zennaro
La libera repubblica partigiana della Val d’Ossola sulle strade delle nostre città
A Garlasco, in provincia di Pavia, un breve cul de sac si diparte da via Mulino, costeggia da un lato villette con giardino e dall’altro magazzini industriale per chiudersi poco dopo contro un muro di mattoni grigi. A Domodossola, in provincia di Verbania, un quadrilatero alberato si stacca da via Salvo D’Acquisto e delimita un’area residenziale di analoghe villette e condomini discreti.
In comune hanno il nome: Gisella Floreanini, una delle poche donne ricordate dalle aree di circolazione di Garlasco e una delle sei ad avere strade intitolate a Domodossola (le altre sono le scrittrici Rosanna Benzi e Ida Braggio del Longo, le Madonne della Neve e del Re e Matilde Ceretti).
Gisella (1906-1993), musicista milanese povera, comunista e ottima oratrice, attiva nel CLN di Novara, fu la prima ministra nominata sul territorio italiano: ministra, prima ancora di aver ottenuto formalmente il diritto di voto.
Una tale anomalia è giustificata dagli eventi eccezionali di quegli anni.
Nell’aprile 1944 iniziava infatti un’operazione di rastrellamento sui monti lombardi e piemontesi da parte dei tedeschi e dei soldati della Repubblica Sociale Italiana contro partigiani e civili.
In quel momento gli angloamericani, dopo lo sbarco, avanzavano in Italia. Parigi e Bruxelles erano già state liberate, così come la Bulgaria e la Romania, queste ultime dall’avanzata dell’Armata rossa.
I partigiani liberarono la Val d’Ossola, mentre i fascisti rimasero asserragliati intorno a Salò.
Il 9 settembre 1944 i tedeschi abbandonarono Domodossola.
L’indomani vi entrarono le brigate partigiane acclamate dalla popolazione civile e guidate dai comandanti Alfredo Di Dio e Vincenzo Moscatelli.
La gente poteva finalmente vivere in libertà, festeggiare, ballare, ascoltare musica con le luci accese fino a tardi e senza coprifuoco: l’occupazione nazista era finalmente finita.
Le formazioni partigiane governavano in trasparenza e condivisione con la popolazione locale, soprattutto attraverso le riunioni politiche e le assemblee di gestione serali (in cui cattolici, liberali e comunisti riuscivano a collaborare) e le gazzette territoriali, non più clandestine.
Oltre a Domodossola, furono coinvolti in tutto 38 attuali comuni, tra i quali Bognanco, Crodo, Pieve, Vergante e Villadossola, ma nell’odonomastica locale restano ben poche tracce di questa recente storia.
Per rendere tempestiva ogni decisione, Domodossola venne gestita da assemblee quotidiane in cui a votare erano solo i capi di ogni famiglia, che elessero un governo provvisorio, mai reso definitivo a causa della reazione nazifascista.
Le assemblee sindacali, invece, costituirono esempi di democrazia diretta in cui tutti i lavoratori, donne incluse, partecipavano e votavano, non schiavi dell’élite di capi partigiani illuminati dalla cultura della teoria politica, ma attivi e consapevoli in quanto direttamente coinvolti nelle proprie lotte politiche e sociali.
La Val d’Ossola era al centro della stampa dell’Europa liberaldemocratica, soprattutto per le sue avanzate riforme tra cui l’abolizione della pena di morte, che in Francia verrà realizzata solo nel 1981 e in Gran Bretagna nel 1998.
Così i gerarchi fascisti catturati e arrestati non solo non vennero fucilati, ma furono trattati con tanto rispetto da infastidire, a volte, gli stessi partigiani.
Gisella, nominata ministra dell’assistenza sociale nella Libera Repubblica della Val d’Ossola, in collaborazione con il prete don Cabalà, dovette combattere soprattutto contro la fame, scegliendo di usare il termine laico assistenza anziché il cattolico beneficienza. Ma Gisella si batté con forza anche per promuovere e far accettare la partecip/azione femminile nelle assemblee politiche e sindacali. Nei 45 giorni di repubblica furono elette commissioni operaie, cogestite le fabbriche e alzati i salari dei lavoratori e delle lavoratrici. Ma, come fece notare la ministra (o, come avrebbe preferito dire lei, la compagna), per migliorare l’economia, soprattutto in periodo di guerra, serviva tempo. E nella Repubblica dell’Ossola il tempo era poco, così come pochi erano i viveri.
Negli anni ’40, far arrivare una donna a capo di un ministero, soprattutto se preparata e combattiva, significava non soltanto lottare concretamente per la parità tra i sessi, ma anche, simbolicamente e non solo, contribuire a cancellare il maschilismo e il patriarcalismo di cui era impregnata tutta la cultura fascista.
La seconda ministra, nella storia della Repubblica Italiana, è arrivata dopo oltre vent’anni, quando a Tina Anselmi venne affidato il Ministero del lavoro e della previdenza sociale del terzo governo di Giulio Andreotti (1976).
In seguito, Gisella Floreanini prese parte all’ala comunista dell’Assemblea Costituente repubblicana. Dal 1948 al 1958 sedette alla Camera dei Deputati come eletta del PCI per due legislature. Lasciato il Parlamento, fu consigliera comunale a Domodossola (città che già la ricordava con amore per il ruolo svolto durante la Resistenza), a Milano (suo luogo natale) e a Novara (dove aveva militato, sempre nel PCI, e diretto il CLN prima delle repubbliche partigiane). Scrive Rita Ambrosino che quando il CLN di Novara la nominò sua Presidente, ci tenne a dichiarare che ciò non avveniva perché lei appartenesse ad una determinata formazione politica, “ma in quanto donna, perché rappresentava il coraggio e la partecipazione di migliaia di donne italiane”.
Sempre negli anni ’60 Gisella Floreanini, proprio per il messaggio che trasmetteva in quanto donna forte, ex partigiana e antifascista, fu nominata presidente dell’ANPI.
Cosa aspetta il capoluogo lombardo che le ha dato i natali a intitolarle una via? Cosa aspetta il Comune di Novara, che l’ha vista all’opera, a fare altrettanto?
Dopo 45 giorni, la Libera Repubblica Partigiana della Val d’Ossola cadde per via del mancato arrivo dei viveri e dei rinforzi promessi dalle truppe angloamericane e proprio Floreanini si occupò di far evacuare in Svizzera i civili per sottrarli alle rappresaglie naziste. Ma sei mesi dopo finì anche la guerra e il fascismo fu definitivamente sconfitto.
L’esperienza ricorda quella, simile ma più breve, narrata da Beppe Fenoglio nel racconto “I ventitré giorni della città di Alba”.
Attraverso queste realizzazioni di un’apparente utopia, l’Italia ribelle e antifascista ha dimostrato di saper essere civile, anche più dell’altra, quella obbediente, omologata e comodamente asservita nel silenzio complice.
Anticipando alcuni degli ideali della Costituzione della futura Repubblica Italiana, le Repubbliche Partigiane, nonostante le sconfitte (di natura militare ma non politica), hanno messo in pratica la capacità di autodeterminarsi in giustizia, libertà, democrazia e dignità, e con queste il valore imprescindibile dell’Antifascismo.
Lo storico ed ex partigiano Giorgio Bocca (1920-2011) ha testimoniato che “in quanto a democrazia, ha fatto più questa piccola repubblica in 45 giorni che quella grande in tutti i decenni successivi”.
Ricordiamoci di lei, dedicando a Gisella una strada, una rotonda, un giardino, una scuola o un’aula per ognuno dei comuni della valle.
2 commenti
Una vita vissuta all’insegna del dovere, con alti incarichi e in un periodo storico complesso… una donna che ha saputo coniugare abilmente l’amore per gli altri e l’amore per il proprio Paese.
Penso sia il minimo poterle dedicare una strada, un giardino o una scuola per ricordarla, ma per farla conoscere a coloro che sanno poco di lei.
Faremo di tutto!
Paola
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