di Cinzia Ficco da tipitosti.com
“Siate donne. Abbiate il coraggio di denunciare. Mettete da parte la paura e salvate la vostra dignità. Solo così potremo smascherarli e fermarli”. L’appello arriva da Mirella Cavallucci, avvocatessa, nata a Cortona, in provincia di Arezzo nel ’61, che il 6 marzo scorso ha incassato una sentenza di condanna per il suo ex marito, un uomo violento, con il quale è stata sposata per quaranta giorni.
Un anno e sei mesi di carcere, il risarcimento di 30mila euro e il pagamento di tutte le spese processuali: questa la sentenza del giudice Annamaria Cataldo, che ha accolto le richieste del pubblico ministero su prove raccolte dalla vittima, sostenuta dall’avvocatessa fiorentina Patrizia Polcri.
L’uomo, che per anni ha lavorato nell’Esercito italiano, ha avuto un altro matrimonio, finito male. Con la professionista, secondo la legge italiana, risulta sposato per 375 giorni. “Lui appariva l’uomo giusto – racconta – con cui poter condividere una vita semplice e serena come era avvenuto nell’anno precedente il matrimonio, durante la convivenza. Dopo il nostro sì mi sono trovata accanto un uomo che non conoscevo. Il mio ex ha cominciato ad avanzare richieste di mantenimento e soldi, cosa di cui non aveva mai fatto cenno prima.
Mi sono resa subito conto che si era sposato solo per sistemarsi. Era convinto che con il matrimonio non lo avrei più lasciato, quindi che sarei rimasta a subire le sue continue urla, i suoi frequenti scatti di ira. Una volta gli dissi che avevo intenzione di lasciarlo. Sa come mi rispose? “Troppo tardi. Ormai mi hai sposato. Se mi lasci, ti farò passare per pazza”.
Ma durante il fidanzamento davvero non si è mai accorta di niente?
Fortunatamente non avevo mai assistito a comportamenti violenti nella mia famiglia. Ma ho capito subito che si trattava di una persona violenta e che l’avrei lasciato. Ho voluto dargli delle opportunità per cambiare, pur essendo stata consapevole che certe persone, abituate ad atteggiamenti violenti e convinte di essere sempre nel giusto, non cambieranno mai.
Quanto è stato duro denunciarlo?
Dopo la separazione pensavo di ritrovare la mia vita e la mia serenità. In realtà, dopo la richiesta di separazione giudiziale da parte mia, è iniziato un vero e proprio incubo: chiare minacce di morte per me e i miei familiari. In presenza di una persona sentita poi come teste, spesso il mio ex diceva: ” Se non torni con me, do mille euro a un albanese e ti faccio ammazzare”.
Non si è mai pentita di averlo denunciato?
Non ho mai avuto ripensamenti. Dopo la prima denuncia ne ho fatte altre. Ho avuto molta paura per i miei familiari, per i quali mi sentivo responsabile. Ho provveduto immediatamente ad installare un sistema di allarme nella mia abitazione, dove li avevo ospitati.
Dove ha trovato la forza per non tornare indietro?
L’unica forza per andare avanti si deve trovare in se stessi. Si deve andare dritti come un treno, con determinazione, senza mai esitare, perché la tua paura e il tuo silenzio diventano la forza di persone vigliacche e violente, che si sentono forti con i più deboli.
Nel piccolo Comune sul Trasimeno in cui vive come hanno preso la sua decisione parenti, amici, colleghi? Ci sono state frasi, appunti fastidiosi che ha dovuto sopportare?
Non esistono frasi più o meno odiose quando in ballo ci sono la vita dei tuoi cari e la tua. Non ti puoi fermare sul significato delle loro parole. Devi difenderti dalla lucida follia di queste persone. Ciò che mi feriva era sentir pronunciare da lui il nome dei miei genitori, che erano all’oscuro di tutto. Lui non era degno neanche di nominarli. Devo ammettere che dopo la denuncia sono vissuta nel terrore. La sera, quando tornavo a casa dallo studio, in inverno e di notte, a volte chiamavo i carabinieri per sapere quale pattuglia fosse fuori.
Ma perché si è ostinata a non raccontare la sua storia alla sua famiglia ?
Ho cercato di tenere fuori i miei genitori, perché per loro, sapere che una figlia viveva quello che stavo vivendo io, sarebbe stato un immenso dolore. Alla loro età e con gli acciacchi che avevano non meritavano di soffrire per chi non merita nemmeno di essere pensato.
Si è appoggiata a qualche associazione?
Non mi sono appoggiata a nessuna associazione. Mi sono mossa da sola. Ho avuto accanto persone che mi conoscono da sempre e non hanno messo in dubbio ciò che riferivo. Molti, soprattutto i vicini, hanno fatto quadrato intorno a me. Nonostante questo, mi sono sentita spesso sola. Ti senti sola perché ti senti responsabile anche per le persone che ti vogliono stare vicino. Sai che questi uomini possono far fuori chi ami e solo per colpire te.
Qualcuno dirà: “Lei ha denunciato perché è un’avvocatessa, non ha figli, ha un reddito”.
No. Non ho denunciato il mio ex perché sono un avvocato, ma perché sono stata una figlia fortunata a vivere in una famiglia in cui certi atteggiamenti di violenza e mancanza di rispetto non sono mai esistiti. Avevo nella mia testa l’immagine di un uomo che mi proteggesse come aveva sempre fatto il papà, non di uno da cui avrei dovuto difendermi. La mia dignità di donna è stata la mia forza. Mi è stato detto che ho reagito presto perché non avevo figli. Sa cosa ho risposto? Che ho dato delle opportunità a questo essere – che non si può definire uomo – proprio perché non avevo figli. Se ci fossero stati i figli, lo avrei lasciato la prima volta che ha usato violenza nei mie confronti. Non avrei mai permesso o obbligato un figlio a vedere uno scempio di padre.
Si è rivolta per la difesa ad un’avvocatessa di Firenze. Perché e quanto questa donna le è stata vicina?
L’avvocatessa di Firenze è intervenuta solo legalmente dopo il rinvio a giudizio, perché come saprà, mentre nel civile possiamo stare in giudizio da soli, nel penale per costituirsi parte civile ci si deve far assistere da un altro legale. Certo, l’avvocatessa mi è stata vicina.
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