Santa Sede e Iran insieme contro le donne all’ONU.
di Lucina di Meco da Little Light Lab
Una volta l’anno, le sale dell’ONU a New York si riempiono di donne da tutto il mondo, membri di governo o della società civile, che vengono a negoziare in occasione della riunione della Commissione sullo Stato delle Donne (CSW per la sua sigla in inglese). Ci sono le africane, spesso con vestiti tradizionali bellissimi ma pericolosamente inadatti alle temperature ghiacciate del marzo newyorkese; le indigene andine meravigliosamente colorate e tutte le altre, in tailleur scuro e tacchi le neofite, scarpe comode per quelle che qui ci sono già venute e conoscono le estenuanti giornate di riunioni e negoziazioni fino a notte fonda che le aspettano. Un paio di volte, ci sono stata anch’io.
Stabilita da una risoluzione dell’ECOSOCnel 1946, la CSW è il principale organismo per le politiche globali sull’uguaglianza di genere. I rappresentanti di 45 Stati Membri (scelti a rotazione sulla base della distribuzione geografica) si riuniscono ogni anno a New York per valutare i progressi compiuti verso l’uguaglianza di genere, identificare le lacune, mettere in luce le buone pratiche globali e preparare “conclusioni concordate” su un tema prioritario. Le conclusioni contengono valutazione sui progressi compiuti e raccomandazioni per i governi, gli organismi intergovernativi e le ONG.
Anche se non vincolanti, queste raccomandazioni servono in genere da linee guida per la cooperazione internazionale, dettando i temi prioritari in cui verranno investite le risorse internazionali, in particolare quelle delle agenzie ONU. Nazionalmente, poi, le conclusioni sono utilizzate come strumento di advocacy per chiedere ai governi il tornaconto su quanto dichiarato in questa sede. In questo contesto, le ONG giocano qui un ruolo fondamentale, facendo pressione giorno e notte sui rappresentanti governativi affinché le conclusioni includano un linguaggio favorevole alle tematiche di loro interesse.
La 57esima riunione della CSW si è svolta a New York dal 4 al 15 marzo di quest’anno ed ha avuto come tema prioritario l’eliminazione di tutte le forme di violenze sulle donne e le ragazze. Invece di essere un luogo di scambio di idee e buone pratiche, la riunione si è presto trasformata nel campo di battaglia di idee e visioni del ruolo della donna (e del mondo) profondamente diversi. Forse come contraccolpo ai progressi sull’uguaglianza ottenuti negli ultimi anni, il livello di conservativismo sociale e religioso espresso da alcuni Stati durante le negoziazioni è stato senza precedenti.
Un piccolo ma agguerrito gruppo di paesi, infatti, guidato da Iran, Russia, Siria la Santa Sede ha cercato (senza successo) di eliminare dal linguaggio delle conclusioni qualsiasi menzione a “diritti riproduttivi” e femminicidio, riuscendo però a far sparire dal testo le disposizioni sulla violenza contro le donne per via della loro “identità di genere o orientazione sessuale” e sulla “violenza da partner sessuali”, un termine più amplio di “violenza domestica”, perché include una varietà maggiore di relazioni. L’alleanza tra Santa Sede e Iran non è una novità. Nelle riunioni del CSW capita spesso, infatti, che i nunzi apostolici (presenti nelle negoziazioni con status di osservatori permanenti) si allineino non con i rappresentanti dei Paesi cattolici, ma con i paesi fondamentalisti del Medio Oriente.
A negoziazioni inoltrate, poi, il governo egiziano si è fatto portavoce di una dichiarazione dell’Associazione dei Fratelli Musulmani che chiedeva a tutti gli Stati musulmani di rifiutare il documento di conclusioni concordate in via di approvazione, perché avrebbe “contraddetto i principi dell’Islam”, “distrutto la famiglia” e rappresentato “l’ultimo passo nell’invasione culturale e intellettuale dei Paesi musulmani”. Tra le conseguenze tanto temute del documento ci sarebbero state, secondo la dichiarazione “la possibilità per le donne musulmane di sposare uomini non musulmani, l’abolizione della poligamia e della dote”, “il passaggio di potere decisionale in caso di divorzio dai mariti ai giudici e la divisione dei beni dopo il divorzio” e “l’eliminazione della necessità che il marito autorizzi [la moglie] per temi quali viaggi, lavoro e contraccezione”.
Secondo Cynthia Rothschild, consulente per COC Netherlands, dietro ogni reticenza delle conclusioni c’è una forma di violenza che viene volontariamente ignorata e perpetrata. Per esempio, la ragione per cui l’Iran ha cercato (senza successo) di eliminare la frase “matrimonio precoce e forzato” è che in Iran sposarsi a 13 anni è legale. In nome della sovranità nazionale e del rispetto delle tradizioni culturali e religiose di alcuni gruppi, dunque, certi stati cercano di frenare i progressi sull’uguaglianza e i diritti delle donne a livello internazionale, perché temono un simile trend nei loro Paesi.
Alla fine, a prevalere sono stati, in larga misura, i diritti delle donne. Le conclusioni concordate includono infatti raccomandazioni piuttosto innovatrici e controverse, per esempio la necessità di migliorare l’accesso a contraccezione d’emergenza e aborto legale per le donne vittima di violenza. Le conclusioni, inoltre, pongono grande enfasi sul ruolo di ragazzi e uomini, chiamando gli Stati a mettere in atto politiche tese ad eliminare gli stereotipi di genere ed educare uomini e ragazzi affinché assumano la piena responsabilità dei loro comportamenti e diventino non solo alleati ma protagonisti della lotta contro la violenza sulle donne. Secondo UN Women, l’Entità delle Nazioni Unite per l’Uguaglianza di Genere e l’Empowerment Femminile, si tratterebbe della conferma che “discriminazione e violenza sulle donne non hanno spazio nel 21esimo secolo”.
Speriamo. Una cosa è però certa. La guerra contro i fondamentalismi che si oppongono alla libertà delle donne non è finita e ci aspettano ancora battaglie non facili.