Quando cambiare fa bene. A tu per tu con Giovanna d’Alessio, coach e scrittrice e molto altro come vedremo durante l’intervista.
Ti conosco da quando lavoravi come content manager responsabile della start up di YAHOO
Era il 1998, c’erano solo 3 milioni di Italiani che navigavano su internet all’epoca, era appena uscito il browser Netscape Navigator che voleva contrastare Microsoft Explorer, nato solo nel 1995. E Yahoo! era la guida internet che tutti utilizzavano. Che tempi da pionieri. Devo dire che nella vita mi sono trovata spesso nell’occhio del ciclone quando sono emersi dei trend che hanno poi influenzato il mondo. Molti, all’arrivo di cambiamenti epocali si arroccano sulle loro posizioni e su ciò “che ha sempre funzionato”. Io salto invece subito sul treno, con piena fiducia e voglia di imparare. E’ successo cosi anche con il coaching nel 2001. Molti mi prendevano in giro. Ora si stupiscono che io gestisca una società di sviluppo organizzativo con 80 facilitatori nel mondo e che lavora con i top team delle più grandi organizzazioni internazionali.
Ci parli del tuo percorso professionale dalla pubblicità ad oggi?
In 25 anni di attività lavorativa, dal 1987 al 2013 ho fatto 3 mestieri molto differenti tra loro. La prima tappa e’ stata la pubblicità. Ho iniziato con una mia agenzia di comunicazione grazie alla quale ho fatto i primi passi anche nelle tecnologie. Ricordo di aver investito 20 milioni di lire, una cifra assurda se pensiamo ai costi dei PC oggi, pari all’intero contratto biennale che ero riuscita a firmare con un cliente, in una stazione di desk top publishing della Apple. Nel 1991, terminato il mio MBA, ho chiuso la mia azienda perché volevo crescere ed avere esperienze internazionali. Ho ricominciato dal livello di assunzione piu’ basso, cioe’ come assistente in Saatchi & Saatchi, all’epoca quarto gruppo pubblicitario al mondo, dove sono cresciuta professionalmente fino a diventare Direttore Clienti. In Saatchi ho avuto l’opportunità di lavorare con Federico Fellini nel suo ultimo spot pubblicitario prima di scomparire. Con quella campagna, per una banca, abbiamo vinto il Leone d’Oro a Cannes, massimo riconoscimento per la creatività. Nel 1998 ho cambiato pelle (professionale) e città per seguire il lancio di Yahoo! in Italia. Mi sono spostata a Milano e poi a Londra per sviluppare il brand Yahoo! in tutta Europa. Sono stati anni entusiasmanti. Nel 2001 un profondo ripensamento di me stessa e della mia vita mi ha portata a fare un nuovo profondo cambiamento. Ed ho iniziato la mia terza vita come coach e facilitatore di cambiamento. Sono tornata all’imprenditoria e ho sviluppato un’azienda di coaching che, attraverso gli anni, e’ diventata una società internazionale di sviluppo organizzativo che oggi si chiama Asterys (www.asterys.com).
Cosa ti è maturato dentro, tra pubblicità (fatua), imprese, coaching e la tua ultima impresa, il libro ‘’Il potere di cambiare’’?
E’ incredibile come ogni esperienza abbia costruito sulla precedente e mi abbia portato fin qui. Quella che e’ maturata e’ la consapevolezza di vivere in un sistema non sostenibile in cui le aziende multinazionali influenzano la vita di milioni di persone, tra coloro che vi lavorano e le loro famiglie, come fossero delle mega comunità transnazionali. E nelle aziende – come fuori – sono i nostri schemi reattivi che la fanno da padrone, rendendo i posti di lavoro dei luoghi dove invece di creare nuove soluzioni alle sfide globali e dare il meglio di sé, le persone si ritrovano prigioniere della “politica” aziendale e di leader poco consapevoli dell’impatto sugli altri dei propri comportamenti. La visione che mi spinge e’ quella di un mondo dove le corporation implementino pratiche che portino beneficio all’essere umano e all’ambiente, oltre che al portafogli. Dove i leader riescano a creare delle aziende efficaci, sostenibili e che sviluppino il potenziale delle persone. E dove ogni essere umano possa liberarsi dai propri meccanismi automatici e dalla sensazione di essere vittima delle circostanze, e possa invece sentirsi pienamente al timone della propria vita. Insomma, una società fatta da persone, leader e organizzazioni consapevoli.
Oltre al libro cerco di sviluppare anche esercizi e strumenti che possano aiutare le persone a rimanere su un percorso trasformazionale. Ad esempio nel mio sito personale www.giovannadalessio.com e negli app store di Apple e Android, si può scaricare gratuitamente una app chiamata TMP Meditation con la quale puoi allenare la tua mente a padroneggiare i tuoi stati di coscienza per accedere volontariamente a quegli stati che permettono la migliore performance in ogni data attività. Praticare regolarmente 15 minuti di Transforming Mind Practice, significa aumentare l’abilità di rilasciare lo stress e di essere in azione riflessiva che e’ fondamentale per sviluppare padronanza personale.
Quanto sei cambiata? E pensi che quello che teorizzi nel tuo libro sia applicabile a tutti e a tutte le cose?
Cambiare – o meglio, trasformarsi – e’ una scelta e questa scelta e’ alla portata di ogni essere umano. Viktor Frankl, autore di “Alla ricerca di un significato della vita” che ha venduto più di 10 milioni di copie nel mondo spiega bene questa scelta. Anche nelle situazioni più devastanti, come nei campi di concentramento, alcuni esseri umani scelgono di essere vittime della situazione e lasciarsi andare, e altri scelgono di trovare un significato anche nella sofferenza. E sopravvivere. La nostra vita e’ un processo evolutivo che ci offre continue opportunità di trasformazione… il problema e’ che spesso, invece di coglierle, la paura ci frena e perdiamo l’opportunità’. Il mio libro spiega come poter padroneggiare noi stessi e avviare o accelerare i processi di trasformazione.
Spesso i cambiamenti sono esterni e allora non si tratta di poter cambiare se stessi, ma di potertici adeguare?
Quando la vita ci offre dei cambiamenti esterni (ad esempio perdiamo il lavoro, sviluppiamo una malattia, il nostro partner chiede il divorzio) abbiamo la scelta di vedere questi cambiamenti come dei macigni che ci cadono addosso e ci schiacciano. Oppure possiamo domandarci “In che modo ho creato questo? Cosa devo apprendere che la vita sta cercando di insegnarmi?”. Il solo fatto di assumerci la responsabilità di utilizzare quello che ci accade per la nostra evoluzione, offre un senso di “empowerment” e di possibilità. Non e’ semplicemente adeguarsi, cioè tollerare la situazione. In questo caso mi sentirò sempre frustrata, infelice. La trasformazione sta nell’usare l’evento per creare un salto di coscienza e integrare aspetti di noi che abbiamo negato o disconosciuto. Ad esempio io ho scoperto nei recenti anni di avere una malattia, il rene policistico, che con buona probabilità tra qualche tempo comprometterà le mie funzionalità renali e potrebbe costringermi alla dialisi. Da allora sto facendo un profondo lavoro su me stessa per comprendere cosa il mio corpo vuole comunicarmi con questa malattia e sto scoprendo delle parti di me che ho sempre rinnegato e che ora sto piano piano reintegrando. La malattia non migliorerà, perché non esiste ad oggi una cura, ma posso scegliere come affrontarla e usarla per continuare ad espandere la mia coscienza.
La pubblicità oggi sembra morta. Cosa l’ha cambiata?
Sono 15 anni che non mi occupo più di pubblicità, quindi ho difficoltà a rispondere con cognizione di causa. La mia sensazione e’ che la vera comunicazione si sia spostata su internet e sui social media, e che però i messaggi vengono confezionati per lo più da tecnici informatici invece che da creativi, perché le agenzie di pubblicità classiche non hanno saputo reinventarsi efficacemente. Nel frattempo, guardando le pubblicità televisive e sulla stampa, sembra che non ci sia nessuna analisi o strategia di comunicazione dietro agli spot e agli annunci, nessuna vera trovata ben congegnata e allineata strategicamente al prodotto e ai suoi significati. Insomma, una crisi di strategia che si riflette sulla creatività.
E che ne pensi del sessismo spesso presente in questa? Basta una legge a cambiarla o a fermarla?
Il sessismo in pubblicità secondo me e’ la diretta conseguenza dello sviluppo di una immagine femminile molto stereotipata e obsoleta che vede ancora in auge la casalinga da una parte e della donna-oggetto di desiderio dall’altra. Dove e come sono rappresentate tutte le donne – e sono tantissime – che gestiscono lavoro e famiglia, che hanno sviluppato indipendenza e maturità, successi personali e professionali e che sono impegnate in rapporti paritari con gli uomini? In pubblicità qualcosa potrebbe forse la legge. Ma e’ il consumatore che fa la differenza. Proviamo a non comprare più – e non far comprare ai nostri mariti, figli e compagni – i prodotti che propongono donne discinte e che usano il corpo come merce di scambio. Il cambiamento sociale parte dalla nostra mentalità e dai nostri comportamenti.
Le aziende cosa chiedono dal coach? Si aspettano risultati miracolosi?
Le aziende, specialmente le più grandi, quelle che hanno più attenzione allo sviluppo delle proprie persone, hanno sperimentato negli ultimi 13 anni i benefici del coaching. Chi “sponsorizza” il coaching in azienda – spesso il responsabile delle risorse umane – e’ normalmente molto preparato, sa come distinguere i coach professionisti da coloro che improvvisano, sa perfettamente che il coaching funziona se c’e’ nel “coachee” la consapevolezza di un gap tra dove e’ e dove vorrebbe essere e se questi ha la volontà di mettersi in gioco per colmare questo gap. Il coaching ha acquisito popolarità e importanza nelle realtà aziendali anche perche riesce a dimostrare la sua efficacia e un livello alto di ritorno sull’investimento (ROI). Indagini come quella dell’ICF sui clienti del coaching (First Global Coaching Client Study 2009, studio commissionato da ICF e condotto da PricewaterhouseCoopers e Associazione Resource Center Inc.) parlano di un ritorno di 7 volte l’investimento iniziale per le persone che hanno utilizzato il coaching per motivi di lavoro. Altri studi dimostrano un ROI di 6,8 volte l’investimento iniziale. (The Business Impact of Leadership Coaching at a Professional Services Firm, Merrill C. Anderson, PhD, 2006).
In tempi di grande incertezza la forte domanda delle aziende di ricevere supporto non solo per sviluppare competenze nei manager, ma di effettuare cambiamenti organizzativi e culturali che abbiano successo ( il 70% dei processi di cambiamento fallisce o non sviluppa il proprio potenziale) ha spinto la mia azienda ad andare oltre il coaching per disegnare iniziative di cambiamento che utilizzano diverse altre metodologie di sviluppo come i diagnostici culturali, la facilitazione di trasformazione oppure l’allineamento strategico attraverso eventi su larga scala.
Tu viaggi moltissimo per lavoro e vieni an contatto con tante realtà ‘’estere’’. Dammi un motivo per rimanere in Italia che non sia marito e figli e per un giovane gli amici?
Per me un motivo valido e’ quello di partecipare attivamente al cambiamento sociale di cui questa Nazione ha bisogno. Dobbiamo tutti prenderci la responsabilità di co-creare l’Italia che vogliamo, senza rimanere alla finestra e senza accusare solo gli altri (politici, poteri forti, il sistema) di quello che non va, perché finora tutti ne abbiamo avuto (o abbiamo cercato di trarne) un beneficio personale. Dobbiamo passare dal “per me” al “per noi”. E cominciare a osservare che se cominciamo noi a cambiare, allora tutta la cultura del sistema cambia.
Torniamo al cambiamento. Cambiare fa bene?
Cambiare per il gusto di cambiare credo sia inutile. Se il cambiamento non produce una nostra crescita interiore e uno sviluppo della nostra coscienza, possiamo continuare a cambiare lavoro, fidanzato, hobby, ma non cambiera’ il nostro modo di vedere e interpretare noi stessi e il mondo. E cambiare modo di vedere e interpretare noi stessi e il mondo e’ la sola cosa che fa veramente la differenza.
E tu quanto ti senti cambiata? Ci vuoi parlare del tuo progetto?
Oltre al mio lavoro, sto coltivando assieme ad un’altra cinquantina di persone -per ora- una iniziativa no-profit e apartitica che ha l’obiettivo di generare un cambiamento sociale positivo in Italia, a partire da noi italiani.
Il nostro paese sta attraversando una situazione economica difficile, complicata da una mancanza di direzione chiara che ha segnato un allontanamento sempre maggiore tra i valori importanti per ciascuno di noi e quelli espressi dalla nostra nazione. Dobbiamo iniziare a confrontarci su questi valori, perché è da qui che le nostre azioni e comportamenti provengono. Quali valori riflettono come la nostra società opera oggi? Quali valori vogliamo invece vedere nella nostra società, nel futuro? Vogliamo iniziare un dialogo che possa generare un cambiamento positivo.
Il primo passo è stato quello di coinvolgere i cittadini italiani (partendo da un primo campione statisticamente rilevante) e dare loro una voce attraverso una indagine per capire quali sono i valori personali , quelli che vediamo riflessi nella cultura attuale della Nazione, e quali valori e comportamenti vorremmo vedere agiti in futuro per permettere all’Italia di essere il Paese che vorremmo.
Il secondo passo sarà quello, a partire dal 17 aprile, di condividere con tutti, inclusi i cittadini, le amministrazioni pubbliche, le organizzazioni pubbliche e private, i risultati dell’indagine. Questa comunicazione si avvarrà di mezzi come il web, i social network, i mezzi di informazione tradizionali, le interazioni formali e informali.
Il terzo passo è quello di coinvolgere cittadini, amministrazioni locali e nazionali, aziende e chiunque sia interessato in dialoghi collaborativi per discutere i risultati di questa indagine e le scelte da fare, per creare il cambiamento che vogliamo.
Tra 18 mesi poi condurremo una nuova indagine per capire se e come stiamo generando un cambiamento culturale. I modi per partecipare a questa iniziativa si trovano nel sito internet www.voc-azione.org e sulla nostra pagina Facebook voc-azione. A partire dal 17 aprile verranno pubblicati sul sito i risultati dell’Indagine 2013 sui Valori e il calendario dei Dialoghi.
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