di Caterina Della Torre
La vita di Carlotta non era stata né comune, né piana. Aveva viaggiato molto, sia con i genitori, sia dopo, una volta cresciuta, per studio e per lavoro. Aveva accumulato esperienze di vita, conosciuto persone, soddisfatto le sua curiosità di sapere. I suoi ricordi erano spesso un groviglio di informazioni variegate che non riusciva ad ordinare nella mente se non soffermandosi e partendo da un punto fisso.
Per esempio, quanti fiumi e corsi d’acqua aveva visto nella sua vita. Come la Moscova a Mosca, per esempio, quando studentessa universitaria si era recata per un viaggio di studio prima d’estate e poi per una borsa di studio di sei mesi.
Ma quel fiume possente che attraversava la capitale russa, lo ricordava ancora. A due passi dal Cremlino e dalla tomba di Lenin. Era una fanatica comunista allora, o perlomeno le piaceva crederlo e farlo credere.
Invece a ben vedere criticava in cuor suo la vita a cui era condannato un popolo una volta glorioso e ricco. Una povertà uniforme, non di idee, ma di mezzi. Uniforme per tutti tranne che per la nomenclatura o per i privilegiati.
Eppure le piaceva scorazzare per le vie di Mosca a piedi o in metrò. La famosa metropolitana moscovita. Enorme, estesa e esteticamente bella nei tratti centrali, da Prospekt Marksa in poi, più deludente ed anonima nei tratti nuovi. Tutti leggevano in metrò, per passare il tempo, forse, o per sete di cultura. Quei libricini minuscoli in carta giallognola che odoravano di polvere anche se uno scaffale non lo avevano mai visto.
Gente di tutti i colori e di tutte le etnie, ma principalmente di pelle bianca. O meglio rosata. Il classico colore di una pelle che il sole lo prende solo d’estate, ma senza scottarsi eh…
La cosa che rammentava Carlotta con maggior piacere era la sensazione di sicurezza individuale che aleggiava anche nei posti più in ombra ed isolati. Come quella volta in piazza Rossa all’una di notte con Larisa, o meglio Lara la sua amica russa. Faceva freddo, fioccava leggermente, ma si erano avventurate sulla grande spianata per sentire i rintocchi della torre del Cremlino e vedere il cambio della guardia davanti al mausoleo di Lenin. Loro due da sole e nessuno più. Da una parte la torre Spasskaja e dall’altra le cupole variopinte della Chiesa di San Basilio.
Pensare che, come aveva sentito narrare, l’autore di tale gioiello architettonico fosse stato fatto accecare dallo zar Ivan il Terribile che glielo aveva commissionato, le trasmetteva dei lunghi brividi ogni volta che si soffermava a guardarlo.
Quella volta il deserto di voci e di persone venne ad un certo punto interrotto da un profilo umano che si avvicinava loro con passo incerto.