Le donne dovrebbero essere più forti, più rudi, più di potere ed intolleranti così come lo fu la signora inglese?
Riportiamo le opinioni di due collaboratrici di dols su un articolo apparso su questo magazine:
di Rosa Amorevole
Nei miei interventi su Dol’s tendo sempre ad apportare il mio punto di vista, ad integrazione di quanto espresso dall’autrice o dall’autore. Proprio per questa modalità consolidata, oggi mi sento fortemente in imbarazzo nel commentare l’articolo di Rita Cugola perché mi sento totalmente in dissenso con alcuni dei concetti espressi e, forse, anche sulla modalità di costruzione dell’articolo stesso.
Il primo punto sul quale dissento è che con Margaret Thatcher “la Gran Bretaglia abbia davvero spiccato il volo verso un reale cambiamento politico”
La Lady di ferro mi fa pensare: alla prima (ed ancora unica) donna Premier del governo britannico e al senso di liberazione manifestato dagli inglesi per le elezioni vinte da Tony Blair. In quegli anni mi è capitato di frequentare, per studio, quei gruppi che avevano sviluppato sistemi alternativi di scambio, che utilizzavano baratto o monete alternative proprio perché di denaro non ne avevano affatto, anche per far fronte e coprire quegli spazi che i servizi sociali tagliati avevano lasciato a non si sa bene quale mercato. E mentre analizzavo l’impatto di queste sperimentazioni su donne e uomini, mai ho pensato al vantaggia di avere quella donna come riferimento di governo.
Più dura e determinata dei suoi colleghi di partito, ma quanto è costata alle persone questa dimostrazione di carattere! Sui giornali inglesi è avvenuta una sorta di canonizzazione, ma il dissenso si è diffuso nei blog. Attraverso l’ironia in molti hanno sottolineato di non concordare con questa santificazione: il regista Ken Loach – ad esempio – ha suggerito di “privatizzare la cerimonia funebre”; Ian Mc Ewan ha sottolineato come film e romanzi inglesi si siano nutrici delle conseguenze sociali delle sue politiche (la chiusura delle miniere, i tagli alla sanità, i detenuti nord-irlandesi morti per sciopero della fame, …).
Non condivido la costruzione dell’articolo come un confronto tra l’approccio politico della Thatcher e quello di Laura Boldrini. Quello che evince tra righe, forse ho capito male, è forse che le donne dovrebbero essere più forti, più rudi, più di potere ed intolleranti così come lo fu la signora inglese?
Trovo sempre complicate le analogie fra culture diverse (pensate solamente a come stampa e televisioni britanniche si differenzino da quelle nostrane), e difficilmente riscontro una reale trasferibilità dei modelli esteri tal quali in Italia per le tante specificità territoriali. Penso anche che, nonostante la sua mitezza, la competenza pregressa, il lavoro svolto e lo stile sobrio siano visibili ed apprezzai dai più (uomini e donne).
Ma dal confronto presentato dall’articolo parrebbe venire un invito a assumere modelli di comportamento più aggressivi, come o più di quelli maschili. Ma è un suggerimento che non ritengo opportuno seguire.
Una donna come Presidente della Repubblica più che una speranza, rappresenta l’obiettivo di un lavoro comune che passa inevitabilmente da una maggiore presenza delle donne in tutte le posizioni di rappresentanza e nei luoghi decisionali. Oggi, straordinariamente, abbiamo un Parlamento con il 30% di donne, sarebbe un vero peccato lasciarlo andare.
Più donne negli staff delle aziende, nei gruppi di lavoro e ricerca, nei consigli di amministrazione, nelle commissioni di concorso, nei partiti, dai partiti, agli ordini professionali, ecc. Perché se in ogni occasione lavorativa e di rappresentanza non saranno presenti anche le donne, sarà sempre più difficile esserci.
Risposta di Rita Cugola:
Non nego affatto che il decisionismo della Thatcher abbia generato una buona dose di malcontento e di conseguenza sia stato oggetto di rimostranze. Purtroppo, però, talvolta alcune scelte sono impopolari ma necessarie. Il valore dell’ex premier britannico sta, a mio giudizio, nella fermezza incrollabile con cui ha saputo fronteggiare situazioni estremamente complesse e delicate. Questo non solo relativemente ai problemi interni al Regno Unito ma anche a livello internazionale (ad esempio durante il conflitto nelle Falkland). Ed è proprio su questa sua deteminazione all’azione dovrebbe vertere l’attenzione femminile. Non credo che ciò significhi necessariamente adottare comportamenti “maschili”.
Quanto alla Boldrini, non ho mai neppure immaginato di tracciare parallelismi impropri tra due figure sostanzialmente così diverse: fredda e inflessibile l’una, sensibile e pacata l’altra. Tuttavia è un dato di fatto che la neo presidente della Camera sia riuscita in poco tempo ad ottenere risultati apprezzabili e tangibili in ambiti (quali il taglio – sebbene parziale e dunque ancora insufficiente – delle spese politiche) in cui gli uomini avevano precedentemente fallito, senza peraltro mostrare aggressività.
Sono d’accordo sul fatto che una donna al Colle “rappresenta l’obiettivo di un lavoro comune”, come sottolinea Rosa, che inviterei comunque a riflettere su un aspetto imprescindibile ai fini della discussione. Come infatti lei ricorda giustamente, il Parlamento annovera ora circa il 30% delle presenze femminili. Questo però non implica che tutte le deputate siano realmente degne di rappresentare adeguatamente le donne italiane. Molte di loro si sono trovate catapultate nel mondo politico grazie a consultazioni online senza avere alcuna esperienza costituzionale (vogliamo ricordare le gaffes della capogruppo alla Camera del M5S, Roberta Lombardi?) nè tantomeno governativa.
Il problema pertanto non è e non deve essere legato astrattamente alle quote rosa nelle istituzioni , nei consigli di amministrazione ecc. Il problema resta quello di individuare e far emergere personalità femminili davvero incisive, realmente capaci. In grado di assumere responsabilità in quanto persone idonee e non semplicemente in quanto donne. Sotto questo profilo – mi spiace ammetterlo – abbiamo ancora molta strada da percorrere.