di Antonio Turi
Ormai lo sappiamo tutti, il governo appena insediato registra un record di presenze femminili, 7 su 21 ministeri, una cosa mai accaduta nel nostro paese. E ovviamente di questa novità ci è stato chiesto di gioire, di apprezzarne in pieno un valore che però non è chiaro dove dovrebbe risiedere. Perché, infatti, se andiamo oltre i titoli alla “uomo morde cane” o “agenti di polizia rapinano banca ma sono arrestati da borseggiatori fuori servizio”, di questa roboante presenza femminile restano solo le ceneri. Peggio, addirittura, perché questa larga presenza femminile non è per niente il simbolo del cambiamento in atto, come vorrebbero disperatamente farci credere, ma la foglia di fico messa su una impotenza della politica e sulla disperata lotta che alcuni dei suoi esponenti più noti e datati stanno conducendo per non essere definitivamente riposti nel loro luogo naturale, il museo degli orrori.
La realtà è che ancora una volta le donne sono state usate dal mondo maschile, usate e prese in giro perché attraverso una operazione di rovesciamento del loro ruolo e del significato della loro presenza potranno soltanto fare da portatrici d’acqua ai rappresentanti peggiori di quel mondo che dovrebbero invece contribuire a cambiare, Berlusconi su tutti, giusto per citare il primo nome che mi viene in mente. Ed è veramente un peccato vedere Emma Bonino agli Esteri, per non parlare di Cecile Kyenge alla Integrazione, perdere gran parte della propria forza esplosiva per fare da appoggio a sette poveri nani che ancora provano a imporre al paese i propri stupidi giochini.
Per fortuna oggi sembra che la realtà sia finalmente più forte di ogni tentativi di negarla e respingerla. E allora bisognerà solo attendere e avere pazienza. Attendere che, per esempio, Cecile Kyenge porti in parlamento una proposta di legge per dare il diritto di cittadinanza a chi nasce nel nostro paese per vedere esplodere tutte le contraddizioni che questa tristissima operazione di restyling presenta. Quando questo accadrà, o se non dovesse accadere, capiremo se queste 7 ministre sono lì per portare novità e freschezza, nonché la ricchezza del pensiero femminile o se sono complici coscienti dell’ultimo atto e degli ultimi sussulti della peggior politica maschile del dopoguerra.
1 commento
La “roboante” presenza femminile non è tanto roboante, perché nella media europea avrebbe dovuto essere più alta (per un confronto internazionale, vedi qui: http://www.ingenere.it/segnalazioni/donne-al-governo-numeri-e-confronti).
Due fatti in particolare mi rendono perplessa.
Primo, è più facile avere ministre donne che donne presidenti di municipio, sindache, consigliere regionali, e se non ci sono donne alla “base”, come pensare di raccogliere al vertice profili femminili con un’esperienza solida e accreditata?
Secondo: anche altri governi italiani hanno avuto quote femminili altrettanto significative (es. il governo d’Alema I, con Bindi alla Sanità, Turco alla Solidarietà, Balbo alle pari opportunità, Melandri alla Cultura, Iervolino agli Interni, Belillo agli Affari regionali, e forse non ho finito). Perché, solo per le donne, tutte le volte sembra sia “la prima volta”? Non sarebbe meglio, per la nostra autostima, fare anche la storia dei successi, oltre che dei fallimenti? Altrimenti sembra un benevolo regalo, e non il giusto riconoscimento di un lavoro che non nasce oggi.