I miei pensieri, inevitabilmente, tornano sempre all’amante mio adorato.
Sveglia alle 6.45, come di routine quando il marito è fuori per lavoro. Sì, ma a questo giro è semplicemente il quarto giorno che sono sola. I miei pensieri, inevitabilmente, tornano sempre all’amante mio adorato. Mi alzo già “cotta”. Solita colazione con caffè, rigorosamente senza biscotti da ormai tre anni a questa parte, da quando cioè sono diventata celiaca. Già che il caffè non mi piace… figuriamoci se lo rovino ulteriormente coi Biaglut al sapore di zero! Quindi – dicevo – solita colazione con solita vista dell’alba perugina che ogni mattina è più bella, perché ogni giorno è diversa. Sì, sono fortunata: mi godo uno dei panorami più intensi della città, quello che scopre Assisi e tutta la vallata umbra di Monteluce. Ma dura poco… 20 minuti, bagno, sigaretta, sveglia ai figli e lavatrice. Il pensiero torna a lui, spero di aver tempo, anche poco, da dedicare al mio amante in giornata. Solo Daniele, il mio amico editore, sa di chi sto parlando, appunto perché ne abbiamo discusso spesso. Ci diciamo tutto io e Daniele: questa è l’amicizia vera. Anche se, secondo me, pure mio marito, più o meno consciamente, ne è al corrente…
Passo una mattina di fuoco. Appuntamento da un amico che gentilmente mi aiuta nella professione, mi passa un contatto col quale però riesco a malapena a chiarire qualcosa al telefono, dati i tempi ristretti più del solito, spesa volante e corro a casa. Per fortuna avevo avuto l’accortezza di lasciare già apparecchiata la tavola, ma devo comunque scaricare la lavapiatti del giorno prima. Tornano i bimbi, ai quali rifilo il polpettone riscaldato, avanzato dalla sera prima: il giusto che ben riempie dopo il solito piatto di pasta condito col sugo che fa mamma: quello che per loro è il più buono del mondo. Mentre scolo la pasta, arriva la telefonata di un lettore che non riesce ancora a trovare in vendita in ibs l’ultimo libro della nostra collezione. Chiamo l’editore. Giustamente, essendo l’ora di pranzo, non risponde, quindi mando sms a quella che io scherzosamente chiamo “la capa in seconda”, spiegando l’urgenza della cosa – che peraltro sto sollecitando da mesi – in quanto l’acquirente, con la possibilità di cui sopra, ha la facoltà di pagare con carta di credito e senza che gli venga addebitata nessuna spesa aggiuntiva: né commissioni né spese di spedizione. Comunque, visto l’inizio di giornata, già so che oggi sarà difficile dedicare del tempo al mio “lui”.
Suonano alla porta: è la mia vecchia donna di casa che ha portato una sua amica rumena in prova per il lavoro di colf e mi metto all’istante, con ancora l’ultimo pezzetto di polpettone in bocca, ad aiutare mio figlio con le espressioni a due piani. O meglio: a cercare di aiutarlo, poiché gli unici piani di cui mi è dato sapere, in genere, sono quelli degli edifici. Per non parlare delle potenze! Mia figlia, invece, mi chiede di risentirle storia, che poi sarebbe la mia materia preferita, ma la difficoltà di fronte ai compiti del fratello davvero non mi permette distrazioni. Squilla di nuovo il cellulare: è mamma. Papà, che a settant’anni suonati ancora si diletta nel passatempo agreste, si è tagliato un dito con la motosega.
Lascio la matematica, la storia e le rumene, ognuno al proprio destino e porto papà in ospedale dove, per la prima volta nella vita della nostra famiglia entriamo subito sparati e veniamo ricevuti all’istante: non perché riconoscono mio padre, ma appunto perché la situazione è abbastanza grave. Codice rosso, quindi. Nel tragitto tra l’astanteria e l’entrata vera e propria del pronto soccorso, l’infermiera si raccomanda per la terza volta a papà: “Lo tenga dritto, dottore!”. Il dito, intendeva. E lui, che neanche nel dolore perde mai la sua fantastica verve ironica, guardando me, mi fa: “Sarà un problema…”
Ridendo, entriamo quindi in radiologia. Aspetto fuori, nell’indecisione se utilizzare l’attesa per finire di correggere un testo, che casualmente mi era rimasto in borsa, o se schiacciarmi un pisolino. Cosa che peraltro mi riesce benissimo in qualsiasi situazione e in altrettanta qualsiasi scomodità, dato che il mio secondo figlio non ha dormito per tre anni dalla nascita, per cui ho imparato a dormire quando voglio, per recuperare. Mi bastano dieci minuti, vado in REM e torno. Tuttora mi viene molto utile questa cosa che ho imparato a fare, ma certo la si può utilizzare solo per brevi periodi. La realtà dei fatti è che i pannelli di un finto Mirò che avevo proprio davanti a dove ero seduta mi stavano ipnotizzando. Risolta la questione: la ventina di telefonate e di sms che riesco a ricevere in quei dieci minuti da – in ordine di apparizione – mia madre, mia sorella e mio marito non mi fanno chiudere occhio. Oh, che rammarico, se almeno avessi portato lui qui con me… intanto, mi torna su il polpettone.
Bando ai rimpianti. Lui non c’è e comunque io per il momento ho il mio bel da fare: da lì, infatti, passiamo in medicheria. Rifiuto nettamente la proposta di papà di entrare con lui nella stanza in cui lo avrebbero ricucito. Ormai sono le cinque di pomeriggio. Vado in bagno: “strano – direbbe il mio amico Giovannelli – che hai retto finora!”. Effettivamente all’università, avendo problemi di calcoli renali, ero una strenua utilizzatrice dei bagni di facoltà. Oggi i calcoli non li ho più, ma l’abitudine di fare la pipì ogni due per due mi è rimasta!
In bagno squilla di nuovo il cellulare, che ovviamente mi cade pure per terra data la scomoda posizione in cui ho dovuto rispondere. E’ un mio amico giornalista che mi domanda se ricordo per caso il soprannome che avevano dato a Laika, la cagnolina dello spazio. Cudrievka, sì, “la ricciolina”: questo è il soprannome, anche se non so come si scrive “Ma… me sai di’ a che te serve ‘sta cosa strana a ‘st’ora de pomeriggio? Non te funziona internet?” “No, sono fuori ufficio, l’i-Pad è scarico e mi serve l’informazione che sto scrivendo un pezzo.” Uscendo dal bagno colgo l’occasione per specchiarmi, do un’occhiata ai capelli, giusto per rimetterli a posto, visto che fanno più schifo del solito, ma d’altronde sono uscita di corsa tre ore fa… Bene, papà è pronto, ricucito a puntino: torniamo dalla mamma, che nel frattempo ha portato lei a musica mio figlio e mio marito, senza passare dal via, di ritorno da Milano, lo va a riprendere. Un’altra ora buona in farmacia a ritirare le ricette e le medicine del caso: io aspetto in macchina, sintonizzata alle 18.12 su Umbriaradio per ascoltare la mia prima intervista telefonica. Era l’unico must di oggi che, purtroppo, ora non posso registrare, ma visto e considerato come si è svolta la giornata… poteva andare pure peggio. Almeno, così chiusa in macchina tutta sola soletta, posso ascoltarmela. Sono emozionata nel risentirmi. La mente mi torna a “lui”. E’ più forte di me. Non posso resistere. So che anche “lui” mi sta aspettando ed entrambi sappiamo che finalmente stasera sta rientrando mio marito… quindi mi ricaverò sicuramente una mezz’oretta per poter scrivere.
Eccoti, mio foglio bianco, amante mio adorato. Finalmente siamo insieme… stavo per morire, senza averti mai avuto sotto di me, oggi…
La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità.
(Marguerite Duras)
tratto da TRACCE, antologia scelta di racconti brevi, Bertoni Editore http://www.gruppoletterariowomenatwork.com/tracce/